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Ravenna ha ospitato l'ennesima edizione dello stage di alto perfezionamento diretto da Muti

Quarta Academy col Macbeth

servizio di Attilia Tartagni

Pubblicato il 06 Agosto 2018

180806_Ra_00_Academy_MutiRiccardoRAVENNA - Il 2018 per Riccardo Muti è stato decisamente l’anno del Macbeth di Giuseppe Verdi. Dopo l’opera in forma di concerto con  il Maggio Musicale Fiorentino a Firenze e al Ravenna Festival, essa è stata materia di studio per l’alta formazione in direzione d’orchestra e in accompagnamento pianistico dei cantanti nella 4° edizione dell’Italian Opera Academy svoltasi dal 21 luglio al 3 agosto al Teatro Alighieri di Ravenna.
Hanno concluso l’Academy due concerti con lo stesso programma  dall’opera verdiana, il primo agosto diretto dal M° Riccardo Muti, il 3 agosto in successione dai  quattro direttori d’orchestra selezionati fra le molte richieste di partecipazione pervenute da tutto il mondo (titolo preferenziale il pianoforte). Il M° Muti, in apertura della seconda serata, ha spiegato quanto sia importante capire il senso del teatro e ha spiegato che anche direttori già in possesso di una notevole tecnica direttoriale quali i quattro della Academy edizione 2018 non necessariamente lo possiedono, avendo alle spalle background  e formazioni diverse. Oggi manca proprio quel senso del teatro che nel secolo scorso e decenni precedenti veniva tramandato oralmente e che passò, per esperienza diretta, da Verdi a Toscanini e da questi ad Antonino Votto che fu maestro di Riccardo Muti. «Spero che questi giovani direttori portino con loro un pensiero di sano rispetto nei confronti di Verdi, così come si usa verso Mozart e altri autori d’oltralpe» ha detto Muti, aggiungendo che altrettanto importanti per l’opera sono i maestri accompagnatori con conoscenza di regia musicale collegata alla drammaturgia dell’opera. L’Academy, che per due settimane ha trasformato il teatro in una laboratorio rinascimentale di teoria e pratica operistica, si è aperta al pubblico nelle prime due giornate di lavoro e ne ha consentito l’accesso in tutte le giornate successive, cosa che ha permesso di toccare con mano i progressi non solo dei quattro direttori, ma anche dei cantanti presenti per tutta la durata dell’Academy e degli strumentisti dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Nella sua “crociata a favore dell’integrità della partitura e contro la compiaciuta disattenzione con cui il melodramma è spesso presentato per la mancata comprensione del rapporto fra musica e testo”  li ha guidati il M° Muti perfetto bilingue, alternando inglese e italiano, con l’obiettivo di una lettura di assoluta fedeltà alle note e alle parole.
Macbeth, decima opera di Verdi, miscela tragedia ed elementi fantastici generalmente estranei alla produzione verdiana. Forgiata frettolosamente nel 1847, nei cosiddetti “anni di galera”, fu rivista nel 1865, prima della rappresentazione parigina, e contempla varie novità linguistiche fra cui un uso inconsueto del declamato.  I personaggi hanno uno spessore psicologico inedito e se la figura trainante della Lady è universalmente riconosciuta come un’icona di ambizione e perfidia è certamente dovuto più all’opera verdiana che alla tragedia di Shakespeare. Tutto origina da una profezia delle streghe e tutto si conclude con il nuovo vaticinio completando quella circolarità del destino che porterà la coppia a uccidere più volte (“Nuovo delitto, è necessario”, declama convinta la Lady nel 2° atto) fino al sollevamento del popolo (coro “Patria oppressa”) contro l’oppressore. Ma la coppia diabolica si corrode soprattutto interiormente, lui annientato  dalle visioni degli uccisi, lei dal peso del rimorso. “Non potrebbe l’oceano queste mani a me lavar” canta Macbeth nel 1° atto dopo avere pugnalato il re Duncano equo e amato, quando ancora la Lady sa infondergli forza e ambizione. Ma nell’ultimo atto, nella gran scena del sonnambulismo, è lei a cercare inutilmente  di lavare via il sangue dalle proprie mani delirando “Chi poteva in quel vegliardo tanto sangue immaginar?” Parole crude a cui fa riscontro una musica talvolta disturbante come il magma infernale in cui si dibatte la coppia. Macbeth ha un sussulto di dignità finale quando sente “la vita nelle sue fibre inaridita” e canta “Pietà, rispetto, onore”, sentimenti a cui ha rinunciato con la sua condotta. Neanche la notizia della morte di Lady  lo scuote. “La vita, che importa, è il racconto di un povero idiota! Vento e suono che nulla dinota.”  E come Verdi esortava gli interpreti a essere più attenti al poeta che al compositore, così il M° Muti nell’Academy indulge sulla parola, sulla sua pronuncia e sul legato, servendo il compositore che più di ogni altro ha affidato al canto i caratteri, l’estetica e lo stile del proprio linguaggio. “In Verdi c’è una verticalità perfetta tra parola e musica - ha ripetuto più volte Muti durante l’Accademia, fra sale cantanti e prove con l’orchestra, tutte rigorosamente aperte al pubblico - ogni nota, ogni accordo, tutto è calibrato sul significato della parola, ed è su questa verticalità che devono lavorare direttori e maestri collaboratori”.

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Diversi nella gestualità,  ma con la stessa visione dell’opera rivelata dal M° Muti, nella serata del 3 agosto hanno diretto sostanzialmente con continuità Pak Lok Alvin Ho, nato a Hong Kong e John Lidfors, nato in Germania, entrambi attivi negli Stati Uniti, lo statunitense Wilbur Lin e l’ucraino Aleksandr Poliykov, forse il più passionale dei quattro, coordinando ottimamente orchestra, cantanti e coro e determinando il successo della serata.
La coreana Vittoria Yeo, già splendida Lady Macbeth nella Trilogia verdiana ravennate del  2016, ha confermato le sue eccezionali qualità come pure il basso Riccardo Zanellato, formidabile cesellatore di Banco. Originariamente orientato in senso “eroico”, il tenore Giuseppe Distefano nel ruolo di Macduff sotto la guida del M° Muti si è espresso con un canto più intimo e doloroso in Ah la paterna mano. Ma l’autentica sorpresa è stato il baritono rumeno Serban Vasile, classe 1985, laureatosi nella sua città con la specializzazione “Vocalità nella partitura di Verdi”,  che con duttilità e splendido timbro ha sviscerato i sentimenti contraddittori di Macbeth regalando emozioni profonde. Altri buoni interpreti sono stati Riccardo Rados (Malcom), Antonella Carpenito (Dama della Lady), Adriano Gramigni (medico). Particolarmente bravo è stato il Coro Costanzo Porta preparato dal M° Antonio Greco, per inciso docente dell’Istituto Musicale Verdi di Ravenna; e impeccabile è risultata l’esecuzione dell’Orchestra Giovanile Cherubini, tutti coinvolti nelle giornate dell’Academy e nelle serate conclusive.
Momento cloud della seconda serata è stato quello della consegna dei diplomi ai quattro direttori già citati e ai quattro maestri accompagnatori, gli italiani Alessandro Boeri, Andrea Chinaglia, Luca Spinosa e la coreana Jeong Jieun, tutti rigorosamente under 35.  L’Italian Opera Academy, giunta al quarto anno e alla quarta opera verdiana vivisezionata dopo Falstaff, La traviata e Aida, è patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e dal Comune di Ravenna e sostenuta da vari sponsor. Grande è stato il riscontro sulla stampa italiana ed estera come il Times di Londra, Le Monde, giornali tedeschi e ucraini. Numerosi sono stati i giovani auditori orientali che hanno appreso con piacere che l’anno prossimo ci sarà una Academy anche in Cina.

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L’ultimo riverbero di tanto studio e perfezionamento benedetto da autentici talenti canori, corali e strumentali, veicolati dalla magica bacchetta del M° Muti, è passato sabato 4 agosto su RAI5 in diretta da Norcia, città ancora in ricostruzione dopo il terremoto, nel concerto con brani dal “Macbeth” che ci auguriamo abbiano seguito in tanti perché semplicemente sublime.

Crediti fotografici: Silvia Lelli per la Italian Opera Academy
Nella miniatura in alto: il maestro Riccardo Muti
Al centro: le prove di John Lidfors e di Aleksandr Polykov
Sotto: la prova di Pak Lok Alvin Ho






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