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Con il Trio di Brahms op.8 e quello di Schubert op.100 grande serata di musica da camera

Il Trio di Parma fa il pienone

servizio di Edoardo Farina

Pubblicato il 06 Novembre 2018

181106_Fe_00_TrioDiParma_EnricoBronziFERRARA - Prosegue la stagione 2018/2019 di Ferrara Musica presso il Teatro Comunale Claudio Abbado; dopo gli entusiasmanti concerti  per opera della European Union Youth Orchestra e Kammerchor Stuttgart Hofkapelle, appuntamento inedito con uno dei più prestigiosi  ensemble  cameristici italiani, il Trio di Parma, preceduto dalla consueta brillante conferenza di inquadramento storico-musicale tenutasi presso la Sala del Ridotto della stessa cornice teatrale a cura del musicologo Valentino Sani.         
Costituitisi nel 1990 nella classe di musica da camera di Pierpaolo Maurizzi all’interno del Conservatorio “Arrigo Boito” della città emiliana, il Trio è composto da Alberto Miodini (pianoforte), Ivan Rabaglia (violino) ed Enrico Bronzi (violoncello). Successivamente l’insieme ha approfondito la formazione musicale con il leggendario Trio di Trieste presso la Scuola di Musica di Fiesole e l'Accademia Chigiana di Siena, e tra i vari e numerosissimi riconoscimenti, ne hanno ottenuti di prestigiosi con le affermazioni ai Concorsi Internazionali "Vittorio Gui" di Firenze, di “Musica da Camera di Melbourne”, poi della “ARD” di Monaco e di “Musica da Camera di Lione”. Inoltre nel 1994 l'Associazione Nazionale della Critica Musicale ha loro assegnato il "Premio Abbiati" quale migliore complesso cameristico e nel 2000 è stato scelto per partecipare all' “Isaac Stern Chamber Music Workshop” presso la Carnegie Hall di New York. Superato l’importante traguardo dei venticinque anni di attività,  veri e propri specialisti nell’esecuzione di progetti monografici, i tre artisti hanno registrato inoltre le opere integrali per trio di Brahms, Beethoven, Ravel, Šostakovič  (disco dell’anno 2008 edito dalla rivista “Classic Voice”), Pizzetti, Liszt, Schumann, Dvořák e Schubert.
Sono due i capolavori proposti per la prima volta sul palco ferrarese nella serata del 5 novembre apertasi nel cuore del repertorio romantico con il giovanile Trio in Si maggiore per violino, violoncello e pianoforte n. 1 op. 8, scritto da l’allora appena ventenne  Johannes Brahms (1833 – 1897) fra il 1853 e il 1854, ritenuta meritevole di essere data alle stampe ed eseguita per la prima volta nel dicembre del 1855. Al pianoforte sedeva Clara Schumann che aveva manifestato delle perplessità stilistiche su alcuni passaggi tecnici, così il compositore riprese in mano la partitura nel 1889 dopo ben trentaquattro anni dalla prima stesura per una revisione molto profonda: dei quattro movimenti solo il secondo rimase pressoché invariato, mentre gli altri tre subirono considerevoli modifiche e ripensamenti mettendovi mano per correggerne alcune ingenuità frutto di inesperienza, riducendo drasticamente alcune sezioni eccessivamente ridondanti e riassestando alcuni disequilibri formali.
Sebbene egli  fosse poco incline a questo tipo di operazioni, il risultato non snaturò la freschezza e l'estroversa esuberanza originale di pagine che tanti entusiasmi avevano saputo suscitare. Costituite dai tempi Allegro, Scherzo, Adagio, Allegro, il primo tema si dispiega in maniera sublime tra i diversi strumenti, giungendo a un luminoso assieme di tutto il trio. Un intreccio di terzine che smarrisce la propria pulsione ritmica in una mesta successione di accordi è l'anello che congiunge alla seconda esposizione: una melodia dall'incedere meno fluido, quasi da recitativo in grado di liberare pienamente la propria espressività e mentre il primo tema ritorna di soppiatto per poi riemergere gradualmente manifestandosi radioso, il secondo si ripresenta invece con una sua rielaborazione e una ripresa parziale, seguito da una serena e libera rievocazione intesa come coda conclusiva. Lo Scherzo che contiene la sua energia e il suo dinamismo in un geometrico ordinato rincorrersi di frasi melodiche punteggiate nella seconda parte, libera la sua espressività evocando corni da caccia su pedale degli archi per poi lanciarsi in una sfrenata fantasia con il violino che svaria in tessitura acuta. Dopo una ripresa del tema arricchita da nuovi elementi, un repentino cambiamento di scena porta nell'oasi serena dell'episodio centrale. Un rarefatto corale del pianoforte e un delicato intreccio a due voci degli archi costituiscono le due antifone che danno vita all'Adagio, la regolare alternanza di queste due frasi sembra visualizzare due anime separate che si richiamano a vicenda, per poi ravvicinarsi e infine fondersi assieme. In base alle affermazioni del compositore e storico Carlo Francesco De Marchi, l’Allegro finale  appare enigmatico e indeterminato a causa delle sue ondulazioni cromatiche iniziali, svelando la sua cantabilità solo nella frase conclusiva e nella sua appassionata elaborazione che fa da ponte al contesto successivo scorrendo risoluto, passando dalle ottave del pianoforte al suono degli archi, per poi lasciare spazio a un frammento secondario al quale era intrecciato. Torna quindi il primo tempo con una nuova orchestrazione e una concitata elaborazione di suoi frammenti melodici, seguito dal secondo tema in modo maggiore e da una libera fantasia di chiusura ancora sulla prima esposizione. 
Riapertura di sipario con il Trio archi e pianoforte n. 2 in Mi bemolle maggiore, op. 100, D. 929, il secondo dei due scritti da Franz Schubert  (1797 – 1828) di cui non si hanno notizie biografiche così numerose né aneddoti suggestivi. Una data sul manoscritto è tutto quello che sappiamo sulle circostanze della composizione: «novembre 1827». Fu presentato al pubblico il 26 dicembre di quello stesso anno, a opera del pianista Bocklet, del violinista Schuppanzig e del violoncellista Linke, strumentisti prestigiosi, già distintisi come interpreti di Beethoven. Secondo Schubert «piacque molto a tutti»: che la sua musica cominciasse finalmente a far breccia nell'indifferenza degli austriaci può essere comprovato da una seconda esecuzione in occasione del memorabile concerto da lui stesso organizzato a proprio beneficio il 26 marzo 1828, primo anniversario della morte di Beethoven e dalla pubblicazione da parte dell'editore Probst nell'ottobre di quello stesso anno. Iniziato nel novembre 1827, come nel precedente la stesura appare nei medesimi quattro quadri secondo la prassi compositiva di allora, Allegro, Andante con moto, Scherzando – allegro moderato – trio e Allegro. Lavoro di ampie e solide proporzioni nonostante gli sviluppi imprevisti guidati apparentemente dalla sola fantasia, è attentamente architettato con un'evidente ricerca d'unità fra i movimenti per mezzo di richiami tematici molto precisi, in base anche le osservazioni del critico Mauro Mariani.  L'Allegro si presenta con un tema risoluto, beethoveniano, enunciato all'unisono dai tre strumenti, in un ritmo «ben marcato» aprendosi con un vigoroso motto che disegna un arpeggio discendente. È un gesto drammatico quanto pregnante.

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Subito dopo il primo tema prosegue avviando il finissimo rapporto di interazione e dialogo cameristico che lega i tre strumenti lungo l'intero corso della composizione. Il metro ternario, l'incisività ritmica, i contrasti di dinamiche, il succedersi di brevi frasi separate da pause, il gusto fantastico dato dall'alternanza di una scrittura ora piena ora leggera conferiscono al primo tema, e di conseguenza al movimento tutto, quasi il carattere di uno scherzo. Una transizione con rapidi passaggi cromatici del pianoforte e trilli degli archi ne conduce immediatamente al secondo, esitante da accordi ripetuti e angosciosi, smussati però dalle volute del pianoforte accentuandone l'atmosfera arcana e magica. Alcune battute di straordinario slancio melodico servono d'introduzione a un altro episodio nutrito di un  lirismo tipicamente schubertiano, che spinge tutti i commentatori ad avvicinarlo alla Sinfonia "Incompiuta".
Ed è  proprio questo a predominare nello sviluppo del movimento, in un clima reso inquieto e instabile dalle continue modulazioni e dalle frequenti opposizioni dinamiche fra fortissimo e pianissimo, finché il ritorno del primo tema porta una sensazione di riposo e di stabilità, avviando la riesposizione della parte iniziale.  L'Andante con moto si apre con uno stentato ritmo di marcia, che ha in sé qualcosa di funereo, su cui dopo due battute entra un tema di penetrante malinconia, ispirato da un Lied del compositore svedese Isaac Berg: «Vedi, il sole declina», un poco più lento, sembra restare in sospeso. Lo Scherzo è invece brillante e pieno di slancio e non conosce che qualche leggera e fugace ombra. L'Allegro moderato, il movimento più ampio del Trio, si basa su due temi principali: enunciato dal pianoforte in un'atmosfera di candida allegria giovanile, si contrappone il secondo, affidato a turno al violino, al violoncello e al pianoforte, rivelandosi la solida preparazione del compositore e l'abilità nel trattare con straordinaria sicurezza le capacità dinamiche qui bene espresse dal complesso strumentale presente.
Teatro dalla platea incredibilmente esaurita, situazione che ben di rado accade a meno che non si tratti dell’opera o della sinfonica, l’attenzione è stata focalizzata in modo particolare dalla carismatica figura di Enrico Bronzi posto al centro del palco, anche per via delle numerose parti tematiche soliste, in grado di esprimere passione, dinamismo e grande coinvolgimento emotivo:  «Sinceramente non credevamo di riempire totalmente il teatro trattandosi di un repertorio in parte “biedermeier” e come tale prevalentemente da salotto… essendo per la prima volta a Ferrara è stata sicuramente una piacevole sorpresa… …abbiamo voluto concludere invertendo l’ordine cronologico rispetto Brahms per dare maggiore risalto alla bellezza del Trio di Schubert soprattutto nel contrappuntistico e pirotecnico ultimo tempo, tenendo conto del fatto che giunti alla fine credo oramai non ci sia più nient’altro da aggiungere!!» – esclama dietro le quinte al termine del concerto.
Invece il fuori programma è stato eseguito proponendo il secondo movimento tratto dal Trio in Sol minore op. 110 di Schumann, scaturendone nuove e calorosissime ovazioni. Eccellente capacità interpretativa, studio meticoloso e attento sincronismo hanno caratterizzato l’esatta definizione di un difficile insieme da parte di una formazione tecnicamente assolutamente perfetta e priva di discussione, dalla versione più italiana e meno viennese supportata dalle belle sonorità filologiche grazie a l’utilizzo degli strumenti antichi di  Rabaglia, in possesso di un violino “Giovanni Battista Guadagnini” costruito a Piacenza nel 1744 e il violoncello di Bronzi, “Vincenzo Panormo” di liuteria londinese datato 1775.

Crediti fotografici: Ufficio stampa di Ferrara Musica - Teatro Comunale Claudio Abbado
Nella miniatura in alto: Enrico Bronzi






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