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Chiusa la stagione lirica invernale della Fondazione Arena nel Teatro Filarmonico

Salome dei triangoli relazionali

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 22 Maggio 2018

180522_Vr_00_Salome_0_FotoEnneviVERONA - Il 20 maggio 2018 con la rappresentazione di Salome di Richard Strauss si è chiusa nel Teatro Filarmonico la stagione invernale della Fondazione Arena di Verona, in attesa del Festival estivo che avrà il suo primo appuntamento venerdì 22 giugno prossimo nell'Anfiteatro scaligero. Non mi accingerò ad analizzare quest'opera nel suo complesso, ma voglio attraverso qualche flash riportare alcune sensazioni che questa partitura ha suscitato nel passato. Sul "Figaro" il musicista Gabriel Fauré, recensendo l'opera straussiana così scriveva: "concerto per orchestra con accompagnamento di voce umana": in questa frase si condensa la sintesi di un lavoro complesso in cui l'orchestra è molto enfatica e roboante anche se non è assolutamente avara di quelle raffinatezze che ci riportano a sonorità quasi "esotiche" capaci di materializzare gli aspetti più depravati e privi di  freni inibitori.
E' bello anche leggere - tratto da Note di passaggio riflessioni e ricordi edito dalla Edt le memorie del compositore stesso intorno a questa composizione: "Ero al Piccolo Teatro di Max Reinhardt, a Berlino, per vedere Gertrud Eysoldt nella Salomé di Wilde. Dopo la rappresentazione incontrai Heinrich Grünfeld, che mi disse: «Strauss, questo sarebbe proprio un soggetto d'opera per Lei». Fui in grado di rispondere: «Già lo sto componendo». Il poeta viennese Anton Lindner mi aveva già mandato il raffinato dramma e si era offerto di trarne un "libretto" per me. Acconsentii, e mi mandò alcune scene iniziali messe in versi con ingegno, senza che io mi decidessi a iniziare la composizione della musica. Finché un giorno mi domandai: perché non comincio subito, senza aspettare altro, da «Wie schön ist die Prinzessin Salome heute Nacht!» (Com'è bella la principessa Salome questa sera!)? Da quel momento in poi non fu difficile ripulire il testo dalle fioriture letterarie, fino a farlo diventare proprio un bel «libretto». E ora che la danza e specialmente l'intera scena finale sono intessute di musica, non ci vuol molta bravura a dire che il lavoro «reclamasse la musica». Sì, sicuro. Ma bisognava saperlo intendere! Già da tempo disapprovavo che nelle opere di soggetto orientale ed ebraico mancassero il colore autenticamente orientale e il sole ardente. Questa esigenza m'ispirò un'armonia veramente esotica, variegata da insolite cadenze come seta cangiante. Il desiderio di caratterizzare al massimo i personaggi mi portò alla bitonalità: una caratterizzazione soltanto ritmica, quale è impiegata da Mozart nel più geniale dei modi, non mi pareva sufficientemente forte con il contrasto fra Erode e i Nazareni. Il mio si può considerare un esperimento isolato adatto a un particolare soggetto, ma non ne consiglierei l'imitazione. - Schuch, persona straordinaria, ebbe il coraggio di accettare di eseguire anche Salome; ma le difficoltà cominciarono già alla prima prova di lettura al pianoforte. Tutti i cantanti si erano dati appuntamento per restituire le loro parti al direttore; tutti tranne il cèco Karl Burrian (Erode) che, interrogato per ultimo, rispose: «La so già a memoria». Bravo! - Allora gli altri si vergognarono e le prove poterono effettivamente iniziare. Considerando che la parte era faticosa e corposa l'orchestra, il ruolo della principessa sedicenne dalla voce di Isolda - una cosa così non si scrive, signor Strauss: o l'una cosa o l'altra! - era stato affidato alla trentasettenne Marie Wittich, soprano drammatico spinto. Alle prove di scena ogni tanto faceva sciopero protestando indignata come la moglie di un borgomastro sassone: «Questo non lo faccio, sono una donna per bene». Il regista Wirk, che pretendeva da lei «perversità ed empietà», era disperato! Eppure la signora Wittich, che naturalmente come figura non era adatta alla parte, aveva ragione, ma in un altro senso: perché ciò che attrici esotiche, degne di un varietà di infimo ordine, si sono permesse di fare in rappresentazioni posteriori muovendosi come serpenti e facendo volteggiare per aria la testa di Jochanaan, ha spesso superato ogni limite di decenza e di gusto! Chi è stato in Oriente e ha osservato il decoro delle donne di laggiù capirà che Salome, giovinetta casta e principessa orientale, deve essere rappresentata con la massima semplicità e nobiltà di gesti; altrimenti, incapace com'è di fronteggiare il miracolo del mondo straordinario, ostile che si trova davanti, invece di pietà susciterà solo raccapriccio e orrore. (A questo proposito si osservi che i si bemolle acuti del contrabbasso al momento dell'uccisione del Battista non sono le grida di dolore lamentoso bensì il gemito della vittima che sfugge dal petto di Salome in spasmodica attesa. Alla prova generale questo passo inquietante suscitò tanto spavento che il conte Seebach, temendo una reazione di ilarità, mi indusse a coprire un poco il contrabbasso con un si bemolle tenuto del corno inglese). In contrasto con una musica estremamente nervosa, la recitazione degli interpreti deve attenersi sulla scena alla massima semplicità; soprattutto Erode, invece di muoversi continuamente come un nevrastenico, dovrebbe riflettere che, da parvenu orientale, desidera imitare nel contegno il maggior Cesare di Roma in presenza dei suoi ospiti romani: mantenendo cioè sempre compostezza e dignità, nonostante momentanei sbandamenti erotici. Agitarsi sul palcoscenico e davanti al palcoscenico contemporaneamente è troppo! Per questo basta l'orchestra! «Dio mio, che musica nervosa! È proprio come se tanti scarafaggi ti scorrazzassero nei pantaloni», gemette disperato mio padre quando gliene pestai qualche parte al pianoforte, pochi mesi prima che morisse. Non aveva tutti i torti. Sebbene l'avessi sconsigliata, Cosima Wagner insistette una volta a Berlino che le suonassi singoli brani; dopo la scena finale osservò: «Questa è pura pazzia! Lei è per l'esotico, Siegfried per il popolare!». Bum!
A Dresda il successo fu quello che là tocca a tutte le prime. Ma dopo: all'Hotel Bellevue, gli aruspici scrollavano la testa profetando che l'opera sarebbe stata data forse in qualche grande teatro, ma sarebbe scomparsa presto. Tre settimane dopo era stata messa in programma da dieci teatri, mi pare, e a Breslavia, con un'orchestra di settanta elementi, ebbe un successo sensazionale. Poi la stampa cominciò a sfornare un mucchio di sciocchezze; cominciarono le opposizioni del clero - all'Opera di Vienna la prima rappresentazione si ebbe solo nell'ottobre 1918, dopo uno scabroso scambio di lettere con l'arcivescovo Piffl - e quelle dei puritani a New York dove, dopo la prima, l'opera dovette venir tolta dal cartellone per l'intervento di un certo signor Morgan. L'Imperatore della Germania permise la rappresentazione soltanto quando Sua Eccellenza Hülsen ebbe la trovata di alludere, alla fine, all'arrivo dei Re Magi, con la comparsa della stella del mattino. Guglielmo II disse una volta al suo sovrintendente: «Mi dispiace che Strauss abbia composto questa Salome; mi è molto simpatico, ma con questa si farà un danno terribile». Questo danno mi permise di costruirmi la villa a Garmisch! A questo proposito, voglio ricordare con gratitudine l'intrepido editore berlinese Adolphe Fürstner, che ebbe il coraggio di pubblicare l'opera: cosa che dapprincipio non suscitò affatto l'invidia dei suoi colleghi (per esempio di Hugo Bock). Così però quell'ebreo intelligente e gentile si assicurò anche Il cavaliere della rosa. Onore alla sua memoria!"

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L'idea registica di Marina Bianchi ha voluto sottolineare le caratteristiche peculiari del personaggio principale proprio come lo hanno delineato lo stesso compositore e lo stesso librettista che poi non è altro che lo scrittore inglese Oscar Wilde su una traduzione di Hedwing Lachmann; si evidenzia il mito femminile, fatto di triangoli relazionali e sullo sfondo un'eco dello stesso personaggio che precede e accompagna; ma è proprio attraverso le note di regia della Bianchi che si percepisce questa lettura intelligente e direi quasi sopraffina che all’atto pratico forse non è stata poi così fedelmente trasposta sulla scena - problema dell’interprete o della regia? -: "... Salome è una giovane donna, allevata in un ambiente deviato da una madre incestuosa e lussuriosa e un patrigno corrotto dalla cupidigia. In questo universo non ci sono valori morali ma solo diffusa sete di piacere e imperioso soddisfacimento di bisogni ancestrali. Possiamo considerare Salome un vero e proprio tema-mito della fin de siècle, in cui si rispecchia ogni periodo di decadenza. Salome è una ragazzina lunare, magnetica che – come tutti gli adolescenti – non ha ancora delineato in sé esatti confini di genere; vive un’adolescenza di greve femminilità in un orizzonte esclusivo di sorellanze, dove lo sguardo maschile prorompe con violenza generando un cortocircuito di vendetta. Salome è il mito femminile, trasgressivo, folle, notturno, magico e inafferrabile. Salome, educata in un ambiente in cui la soddisfazione degli impulsi è assoluta, resta schiava delle proprie passioni. Salome brama Jochanaan nell’unico modo che conosce: la via carnale del desiderio proprio perché Jochanaan è la nemesi di Erode. Jochanaan è l’uomo puro che ha governato le passioni, il mistico, l’asceta al di sopra degli impulsi della carne e del vizio. In una notte di luna profumata della Galilea, non potendo ottenere la soddisfazione del piacere carnale, l’unico che conosce, Salome sfida ogni ragione e chiede la testa del Battista, come fosse una sublimazione erotica, un feroce senso di vendetta per la brama non soddisfatta. In questo immaginario di erotismo pervasivo, l’opera è affollata di triangoli relazionali: Salome è figlia di Erodiade ma bramata dal patrigno (Erode), triangolo primario fonte di ogni efferatezza; tra Erode ed Erodiade si staglia ancora l’ombra del fratello morto, primo sposo di lei; il Paggio è l’amante di Narraboth, il quale è invaghito di Salome; Jochanaan soffre della dicotomia estrema tra le pulsioni erotiche e l’amore del suo Dio; ancora più profondo è il triangolo Erode-Salome-Jochanaan, motore delle storia. Immagino Salome accompagnata da un suo doppio, un’amica del cuore, amante e compagna di intimità, interpretata da una danzatrice come un’eco del personaggio principale: una presenza che la precede e l’accompagna continuamente. Insieme a Salome e alla sua “anima” irrompono e partecipano all’azione altre due giovani donne-maschio che ricreano attorno a Salome l’immagine di un mondo di ragazze perverse su uno sfondo saffico..."

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L'aspetto visuale ha trovato ottimo completamento con un'importante scenografia di Michele  Olcese che ha elegantemente allestito un portico con colonne sormontato da lampadari, piazzato di fronte a una grande parete con delle porte che lasciano immaginare la sala interna in cui si svolge il banchetto di Erode; la cisterna è un volume posto in primo piano sulla scena, accessibile tramite una scala, di materiale ferroso arrugginito ed un pannello verticale sul quale a mano a mano che il profeta esterna le sue profezie appare il suo volto proiettato; il disegno luci di Paolo Mazzon evoca il sapore di una notte lunare che piano piano diventa sangue; di dubbio gusto i costumi di Giada Masi che mescolano antico e moderno kitsch in maniera piuttosto grottesca e decisamente fuori luogo; completavano la scena eleganti movimenti mimici curati da Riccardo Meneghini.
La voce che come ricordavo prima nelle parole di Fauré diventa "accompagnamento orchestrale" ha visto impegnato un cast dalla resa alterna.
Nel ruolo eponimo il soprano Nadja Michael ha restituito una prova molto alterna e talvolta poco atta a delineare il personaggio in tutte le sue sfaccettature - problema registico o piglio personale? -; il suo canto è stato prepotentemente volto ad un'emissione poco incline al fraseggio in cui è mancato spesso il dosaggio delle dinamiche – tutto forte e tutto urlato - e dove l'intonazione e la messa a fuoco dei suoni sono sovente stati periclitanti; poco convincente anche dal punto di vista scenico dove ha mostrato aspetti di "isterismo motorio" sin dall'inizio perdendo quell'aura più fanciullesca, ancorché depravata, che si dovrebbe respirare all'inizio dell'opera.
Elegante, sensuale e densa di fascino è stata l'interpretazione di Anna Maria Chiuri nel ruolo di Erodiade; nella sua interpretazione ha saputo trasferire tutta quella meschinità che è legata alla figura materna poco edificante; la voce è salda e fa tremare nelle sue esternazioni governando tutto il rigo musicale con estrema sicurezza.
Nei panni del profeta Jochanaan un corretto Fredrik Zetterström che se scenicamente si è messo in luce per un'elegante interpretazione, vocalmente seppur preciso non ha tradotto quella pregnanza  che è richiesta ad un cantante che spesso canta dietro le quinte e che quindi deve avere nelle sue peculiarità vocali un'emissione fortemente proiettata che restituisca un suono nitido e tonante in platea.
Bravo scenicamente l'Erode di Kor-Jan Dusseljee soprattutto nell'interazione con la protagonista; la voce non è grande, ma sufficientemente proiettata per dominare diligentemente l'orchestra.
Molto convincente nella sua interpretazione il tenore Enrico Casari che ha ricoperto il ruolo di Narraboth; la voce cristallina, ben puntata e sicura di un elegante fraseggio ha saputo elegantemente restituire le note di un personaggio dotato di un'esterrefatta umanità che lo porterà ad un suicidio inascoltato. 
Completano egregiamente il cast Belén Elvira sicura e determinata vocalmente come Paggio di Erodiade; i Cinque Giudei Nicola Pamio, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Paolo Antognetti, Oliver Pürckhauer, i Due Nazareni per le corroboranti voci di Romano Dal Zovo e Stefano Consolini, i Due soldati per le ottime sonorità di Costantino Finucci e Gianfranco Montresor, l’Uomo della Cappadocia, un penetrante e sicuro Alessandro Abis e lo Schiavo di Cristiano Olivieri.
Sorprendente anche la prova direttoriale del M° Michael Balke che con la collaborazione dell'Orchestra dell'Arena di Verona ha saputo ben tradurre tutte le sfumature e le intenzioni di una partitura; intenzioni che tendono a mettere in luce un'isteria generale che è fatta di parole, pensieri, sentimenti e azioni che vengono sempre visti in modo parossistico; in tutto questo la grandezza dell'organico – che è stato collocato anche nei palchetti della barcaccia – e le allusioni tematiche che si rincorrono durante tutta l’opera, sovrapponendosi e snodandosi con metamorfosi dinamiche spesso contrappuntistiche; seducente e sensuale la grande scena della Danza dei sette veli; è l'unico "numero chiuso" assieme al grande momento conclusivo di  Salome, del componimento ed è l’ultima pagina che Strauss scrisse prima di licenziare alle stampe la partitura; può comunque essere considerato brano a sé, non foss’altro per l’ampiezza del disegno musicale che lo informa. Ottimo anche il rapporto della buca con il palcoscenico tra i quali si è registrato un sodalizio encomiabile.
Un pubblico tra l'attonito e lo stupito ha plaudito compiaciuto ad una rappresentazione elegante e complessivamente ben riuscita.

Crediti fotografici: Foto Ennevi per la Fondazione Arena di Verona - Teatro Filarmonico
Nella miniatura in alto: Nadja Michael (Salome)
Al centro: ancora la Michael; e Anna Maria Chiuri (Erodiade)
Sotto: foto istantanee sui costumi disegnati da Giada Masi
In fondo: panoramica di Foto Ennevi sulla "Danza dei sette veli"






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