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La terza opera di Verdi molto applaudita nell'allestimento di Andrea Cigni ripreso da Danilo Rubeca

Convincente Meoni nel Nabucco

servizio di Rossana Poletti

Pubblicato il 21 Gennaio 2019

190121_Ts_00_Nabucco_ChristopherFranklinTRIESTE -  Ha debuttato al Teatro Verdi il Nabucco di Giuseppe Verdi, frutto di una coproduzione della fondazione lirica triestina con il Teatro Ponchielli di Cremona, il Teatro Grande di Brescia e il Teatro Fraschini di Roma. L’allestimento ha alcuni punti di forza: le scene imponenti, i grandi muri di pietra bianca del tempio dedicato a Jehova, il sipario raffigurante immagini tratte dai bassorilievi assiri, i costumi, la loro scelta cromatica simbolica, il bianco per gli ebrei, oppressi e puri, e il viola con altre tinte cupe per i babilonesi sopraffattori. Tutto questo contribuisce a creare un affresco permanente della vicenda, che esalta la gioia del sentire.
L’opera è il trionfo degli ottoni: il successo del debutto dell’opera verdiana alla Scala di Milano fu, proprio per l’eccessivo e inusitato uso al tempo di fiati e percussioni, stroncato a Parigi. Cominciava così il nuovo corso del melodramma a cui Giuseppe Verdi avrebbe con preponderanza contribuito. E fu proprio col Nabucco che il compositore raggiunse fama e onore. Era richiesto dagli impresari per nuovi lavori e dagli uomini influenti, che con lui volevano accompagnarsi, farsi vedere in “società”, allo stesso modo in cui molti oggi rincorrono i big della canzone, per un autografo o un selfie.
Il “Va pensiero”, coro simbolo dell’opera, non era stato scritto e composto perché Verdi, o il librettista, avessero in mente la condizione degli italiani dominati dallo straniero. L’opera andò in scena per la prima volta nel 1842, quando c’eran già stati i primi moti risorgimentali nel 1820, il pensiero di un’unità nazionale peraltro si era formato da un tempo più lontano.  Avrebbe potuto quindi esserci in Verdi uno scopo che non fosse prettamente quello musicale. Tuttavia la critica fa risalire proprio ai movimenti irredentisti e al sentire popolare l’assunzione del famoso componimento a simbolo della propria lotta, tant’è che ancora in epoche recenti si è parlato di promuoverlo a Inno nazionale al posto del meno amato e soprattutto meno pregiato Inno di Mameli (“Fratelli d’Italia”).
Per Verdi il Nabucco è qualcosa d’altro: il riscatto da una tragica serie di sventure personali, la morte della moglie e di due figli in rapida successione, l’insuccesso di una sua opera comica Il finto Stanslao, ovvero Un giorno da re. E’ anche il libretto di Temistocle Solera, che gli è stato proposto e che il compositore trova perfetto per dispiegare in campo lirico conflitti umani e storici, amore, guerra, Dio che punisce e consola. Per Verdi è l’occasione di affermare un nuovo modo di concepire l’opera, nella quale inserisce prepotentemente appunto un gran numero di ottoni e percussioni, una banda in scena, una percezione popolare della musica, con l’uso di grandi masse, dei cori che fanno pervenire al pubblico la forza di quel messaggio, il dolore accorato del popolo ebraico oppresso col “Va pensiero” e il tripudio a Dio dei due popoli, ebreo e babilonese, con (ancora) il coro per "Immenso Jehova".
Tratteggia alcuni personaggi significativi: “Nabuccodonosor”, re dei babilonesi, anima pagana, violenta e sopraffattrice, che sarà nel disegno di Dio condotto a pazzia e portato a ravvedersi per aderire al suo messaggio di amore e pace; la figlia Abigaille, oscura manovratrice della trama, soprano drammatico di grande agilità, ma nel contempo capace di flessibilità, che richiede difficoltà tecniche non da poco. Si può dire che Verdi costringesse questa protagonista a passare da acuti a voce piena a note gravi, costellati di trilli e salti d'ottava importanti per evidenziare proprio il carattere facile all’ira della donna; l’autorevole Zaccaria, a capo degli ebrei, personaggio di grande moralità e condotta incorruttibile, e Fenena, figlia legittima di Nabucco, vittima dell’amore che la lega all’ebreo Ismaele.

190121_Ts_01_Nabucco_facebook

L’Orchestra del Teatro Verdi è per l’occasione diretta da Christopher Franklin, che in Italia ha cominciato la sua carriera e che a Trieste è stato recentemente impegnato in Tristan und Isolde di Wagner. Franklin ricorda che l’Ouverture, da lui condotta con perizia, «racchiude i momenti memorabili dell’opera e anticipa non solo il famoso tema del “Va pensiero”, ma anche il motivo de “Il maledetto.»
La regia di Andrea Cigni, ripresa da Danilo Rubeca, mette in scena le masse senza movimento, quasi a farli assistere agli eventi, immobili ed impotenti; se fosse questo l’intento non è dato sapere, ma è ciò che emerge dalla visione. Manda nel mezzo dell’azione Nabucco, quasi un dio, su un cavallo, animale in verità stranamente strutturato, che sembra più un ippopotamo. Quando alla fine sarà ridotto in pezzi, sarà il simbolo della caduta del re, del fallimento del suo progetto di sottomettere il popolo ebraico, della sconfitta del piano perverso di Abigaille per ottenere il potere, allo scopo di vendicarsi del mancato amore di Ismaele.
Il coro del Teatro Verdi, diretto da Francesca Tosi, è come di consueto ben preparato ed efficace.
Il baritono Giovanni Meoni propone per il suo Nabucco una convincente interpretazione teatrale e vocale, dal suo ingresso fino alla fine quando affida la sua anima a Jehova.
Dopo qualche indecisione iniziale l’Abigaille di Amarilli Nizza mostra la sua capacità di esprimere appieno il carattere della donna. Nicola Ulivieri si cala in Zaccaria con la piena consapevolezza della sacralità del personaggio. Aya Wakizono dà vita alla Fenena, dalla voce morbida e ben calibrata e dal timbro brunito, come Verdi ha previsto per questa giovane innamorata. Riccardo Rados, alle prese con Ismaele, è un giovane tenore triestino dotato di bella voce, agli esordi della propria carriera; è stato applaudito dal pubblico e dai tanti giovani fan presenti nella platea del teatro lirico triestino. In scena inoltre Andrea Schifaudo, Rinako Hara e Francesco Musinu. Le repliche sono previste fino al prossimo 26 gennaio 2019

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Verdi di Trieste
Nella miniatura in alto: il direttore Christopher Franklin
Sotto: scena finale del II atto con Giovanni Meoni (Nabucco) E Amarilli Nizza (Abigaille)






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