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Una bella regia e un ottimo cast caratterizzano la produzione monegasca del capolavoro di Verdi

Aguilera propone l'Otello d'Amore

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 26 Aprile 2019

190426_MonteCarlo_00_Otello_GregoryKunde_phAlainHanelMONTE-CARLO - Tante sono le motivazioni che spingono a parlare di Otello come un (se non addiritutta "il") capolavoro del Cigno di Busseto dove lo stigma  più evidente, quello della gelosia, diventa l'indiscusso motore dell'azione scenica, ma... proprio durante l'ascolto dell'opera nell'affascinante Salle Garnier dell'Opéra di Montecarlo la sera del 24 aprile 2019 la mia attenzione ha naufragato oltre l'apparenza e l'evidenza dei fatti e si è affacciata alla mia mente una parola che, secondo me, potrebbe racchiudere la reale essenza dell'opera ed in particolare di questo allestimento: Amore.
Giuseppe Verdi era innamorato di Shakespeare e questa intensa passione è stata la principale musa ispiratrice per comporre sì affascinanti pagine; la forma poi è stata conferita da Arrigo Boito in veste di librettista ed il loro connubio ha portato alla suprema incarnazione del dramma. Proprio queste pagine, frutto di cotanto amore, trasudano di perfezione tra testo e musica, scavano nella profondità del personaggio, sanno creare e rilasciare la tensione laddove la musica lo richieda e soprattutto fremono di armonie audaci, complice un'orchestrazione sottile, raffinata, sempre più variegata e ricca di sfumature; molto probabilmente l'atteggiamento patriottico, diventato ormai realtà politica, ha lasciato il passo alla libertà di lasciarsi andare nello sfoggio di un inimitabile estro drammatico; un estro che non aveva più bisogno di mettere in luce ideali politici, ma di andare a scandagliare gli abissi dell'animo umano in maniera ancor più profonda rispetto a quanto già fatto in precedenza con altri lavori; ed il motore di tutto ciò non può che essere dunque l'Amore per quell'arte dal quale egli stesso si sarebbe voluto smarcare credendo di non avere più nulla da dire.
Ecco che per godere appieno di quest'opera che porta in sé una grande modernità ed una sconvolgente attualità, sia d'uopo gustarla con animo aperto, sincero e disposto ad accogliere la miriade di sfaccettature insite  nella musica che di ascolto in ascolto rivelano sempre più quella magia d'Amore che nutre ed alimenta ogni nota della partitura.

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E sempre di Amore possiamo parlare anche per la regia di Allex Aguilera che non ha voluto "sporcare" nessun momento del dramma con iniziative personali traducendo le numerose didascalie del libretto in una elegantissima messinscena. Colpiscono molto le tinte e le sfumature echeggianti colori shakesperiani che, partendo da una tonalità di base grigia, ma non tetra, si illuminano di sprazzi più fulgidi ed armonici sposando il rigo musicale e diventando per essi una ulteriore didascalia. Anche questa è una forma di Amore che si fonde con il rispetto per un capolavoro che ha già in sé tutti gli elementi per tradursi in scena; il carattere e le particolarità di ciascun personaggio emergono naturalmente nella lettura del regista spagnolo, ma sono soprattutto le loro interazioni a formare dei tableaux vivants densi di fascino. Ne voglio ricordare due di questi momenti che reputo catartici al punto quasi di togliere il fiato: il Credo di Jago quando tutto d'un tratto la scena si fa densa, quasi impalpabile e sotto le sue parole che trasudano il pensiero scapigliato boitiano, compaiono sullo sfondo cupo, ombre funeste quasi a voler tradurre visivamente i pensieri e le macchinazioni di quella mente tanto infida. Non da meno è stato il concertato finale del terzo atto che rappresenta uno dei momenti più alti del dramma: tutti i personaggi qui sono protagonisti, ma ognuno porta avanti un proprio discorso e non è facile individuare le loro logiche relazionali; ecco che con ineccepibile disposizione e con elegante interazione, tutto è risultato chiaro e nitido con esaltazione del significato pieno della parola scenica. Collaboravano con l'Amore di Aguillera, lo scenografo Bruno de Lavenère per l'ambiente scenico che con semplici elementi aveva ricostruito mare in tempesta, piazze ed interni in maniera armonica facendo erigere a comune denominatore una passerella sospesa nel centro a cui si accedeva sia dagli interni del palazzo che circonda su tre lati tutto il palcoscenico sia da una scala a chiocciola che conduceva sul plateau in cui si concretizzava ogni momento del dramma. Nobili e di sicuro fascino i costumi di Francoise Rybaud che si sposavano appieno con le luci di Laurent Castanigt che sapevano infondere alle scene una tonalità di colore molto vicina allo spirito del drammaturgo inglese.

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L'Amore è stato anche il motore dell'esecuzione dell'Orchestra Filarmonica di Montecarlo con alla guida il M° Daniele Callegari, altro "pasionario" della musica verdiana; egli ha saputo trarre il meglio dagli strumentisti che hanno risposto magistralmente alla sua lettura attenta e vera. Il fragore iniziale creato dall'accordo di undicesima e cio che ne consegue, sono stati un meraviglioso momento di avvio ed un corroborante viatico per condurre l'ascoltatore nell'innovativa orchestrazione verdiana; tante sono le pennellate pittoriche per tradurre altrettanti momenti scenici senza mai travalicare l'interprete, anzi per valorizzarne ogni parola ed ogni afflato. Ecco che la chiusura del primo atto con il celeberrimo duetto fra Otello e Desdemona, Gia nella notte densa, si fa quasi etereo con il quartetto di violoncelli conferendo ad esso una notevole carica di sensualità ed erotismo; ancora il Credo diventa momento di emblema del male, la conversazione tra Cassio e Jago un quadro quasi settencentesco ed il corno nel quarto atto traduce con efficacia il dolore di Desdemona ed i colori cupi della stanza in cui da lì a poco sarà protagonista solo la morte...
E se questo non è Amore!
Un cast vocale di buon livello ha completato l'ultima produzione del Teatro monegasco.
Nel ruolo eponimo il tenore americano Gregory Kunde si è messo in luce per la varietà degli accenti; la parte è impervia e si possono evidenziare alcune peculiarità che non rendono il ruolo uniforme bensì lo conducono in un percorso che, movendo dalla liricità del tenore romantico, ad essa si riconduce nell'epilogo con moto circolare; qui "l'emozione romantica" deve esplicitarsi in maniera ancor più delicata rispetto all'inizio proprio perchè scevra di passione, ma densa di rimorso e di vero Amore; l'interprete ha saputo ben adattarsi a queste esigenze drammaturgiche con un canto elegante, sensuale, morbido e a tratti commovente; i due atti centrali sono pieni di logoramento morale, dubbio e furia animalesca che hanno messo in luce la sua vena di "mattatore da palcoscenico".
In merito al personaggio di Desdemona scrive Verdi a Ricordi: "Non è una donna, è un tipo! Il tipo della bontà, della rassegnazione, del sacrifizio!" Per essa il compositore voleva un soprano lirico senza toni eccessivamente drammatici e Maria Agresta ha saputo dare al personaggio movenze e afflati richiesti dal compositore; il suo canto è sempre morbido e in esso il lirismo più puro ed etereo trova la sua cifra migliore nella zona più acuta del rigo musicale dove il fraseggio è ben curato ed elegante.
George Petean nell'ingrato ruolo di Jago si è dimostrato un interprete di ottimo livello; qualificato da Boito come artista della frode con particolari doti sceniche, lo stesso librettista nella pubblicazione della disposizione scenica così lo definì: "Spigliato e gioviale con Cassio, con Roderigo ironico; con Otello... bonario, riguardoso, devotamente sommesso; con Emilia brutale e minaccioso; ossequioso con Desdemona e con Lodovico". Egli si nutre del suo stesso male ed il suo canto difficile per la mutevolezza degli atteggiamenti richiede un artista di grande esperienza e bravura; Petean lo è stato, sapendo assecondare con naturalezza ogni sfaccettatura che la partitura e la scena impongono; il suo canto è fermo, la voce salda e robusta che non fatica ad affrontare anche le note più impervie con ragguardevoli timbro, volume e suadente morbidezza; il rischio spesso è quello di scadere in toni beceri e rozzi, ma la regola della misura è data proprio dallo stile e dalla bravura interpretativa di Petean che hanno fatto di un momento come la Chanson a boire del primo atto un autentico quadro giocoso e gaudente; la trasformazione vera e propria avviene poi nel secondo con il Credo che grazie al suo approccio magistrale ha conferito a musica e parole quella caratteristica profonda di "genio del male" ben sottolineando quel nichilismo che imperversa il suo dire: La morte è il nulla. E' vecchia fola il ciel sono lame di affilati coltelli che incollano lo spettatore fisicamente ed emotivamente.
Ioan Hotea interpreta egregiamente il ruolo di Cassio con uno squillo ragguardevole e con grande musicalità.
Sempre a fuoco e ben centrato il Roderigo di Reninaldo Machas.
In-Sung Sim si rivela sempre un cantate di grande affidabilità e restituisce un Lodovico sonoro e tonante.
Bene anche il Montano di Jean-Marie Delpas e completa egregiamente il cast Cristiana Damian nel ruolo di Emilia per la quale ha messo in luce una vocalità ben salda con interventi precisi e ben a fuoco.

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Ottimamente preparato come sempre dal M° Stefano Visconti il Coro dell'Opéra di Montecarlo che con la sola formazione di base ha saputo ben completare la scena drammaturgica grazie ad una potenza di suono tutto sommato ragguardevole; mi permetto di dire che qualche elemento in più sarebbe stato opportuno soprattutto per la grande pagina Fuoco di gioia nella quale gli interventi delle sezioni sono risultati talvolta un po' privi di quel mordente a cui siamo stati abituati; ma è solo una considerazione del cronista, che non vuole svilire un impegno encomiabile di tutti gli Artisti del Coro e del suo preparatore.
Il Teatro era gremito e non ha fatto mancare il suo entusiasmo per tutti nonostante qualche dissenso per il quale sinceramente non ho capito la motivazione.
Amore vuol dir gelosia... recitava una vecchia canzone e qui può sembrare pleonastico, ma l'Amore può diventare quel motore vitale che trasforma semplici note in momenti paradisiaci ed un palcoscenico vuoto in una grande scultura vivente in cui perdersi per vivere un momento di assoluta bellezza.

Crediti fotografici: Alain Hanel per il Teatro dell'Opéra di Monte-Carlo
Nella miniatura in alto: il tenore Gregory Kunde nel ruolo di Otello
Sotto in sequenza: Gregory Kunde con Maria Agresta (Desdemona); George Petean (Jago); Maria Agresta; Ioan Hotea (Cassio) e George Petean; Gregory Kunde e Maria Agresta
Al centro: Maria Agresta; Cristiana Damian (Emilia) e George Petean; Gregory Kunde e George Petean
In fondo: bella panoramica di Alain Hanel sull'allestimento monegasco






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