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L'opera desueta di Donizetti ha avuto successo a Pisa grazie soprattutto al cast |
Pia tra fascisti e antifascisti |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 16 Ottobre 2017 |
PISA - Il Teatro di Pisa ha inaugurato sabato 14 ottobre 2017 la stagione lirica 2017-2018 con la rappresentazione di Pia de' Tolomei di Gaetano Donizetti. Un buffet aperitivo ha accolto gli spettatori nel foyer per dare un segno di festa e di condivisione di questo importante e fiorente momento del teatro pisano; prima che l'opera avesse inizio il sindaco Marco Filippeschi, il presidente Giuseppe Toscano ed il direttore artistico Stefano Vizioli, hanno dato il loro saluto agli astanti ricordando e congratulandosi per i risultati raggiunti con un boom di abbonamenti sia per la stagione lirica che per le altre stagioni; in effetti anche quella sera tutti i posti erano occupati e, di fronte ad un titolo desueto come quello andato in scena la sera dell'inaugurazione, la cosa fa assolutamente ben sperare. Pia de' Tolomei, donna toscana di origini senesi, ha trovato nella rielaborazione del librettista Salvatore Cammarano un terreno fertile per il compositore bergamasco che ha tradotto in partitura i versi del librettista partenopeo. Della Pia troviamo origini nelle terzine dantesche del V Canto del Purgatorio: non appena Bonconte da Montefeltro ha terminato di parlare, prende la parola l'anima di una penitente: costei chiede a Dante, quando sarà tornato nel mondo e si sarà riposato del suo lungo cammino, di ricordarsi di lei, Pia de' Tolomei: era nata a Siena e poi morì violentemente in Maremma, come ben sa l'uomo che l'aveva chiesta in sposa e le aveva dato l'anello nuziale e proprio così il sommo poeta le dà parola:
"Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via", seguitò 'l terzo spirito al secondo, "Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che 'nnanellata pria disposando m'avea con la sua gemma" (Purgatorio, canto V, 130-136)
Si tratta di un passo pieno di tenerezza e cortesia anche se contiene pochi dati storici certi, che ha per secoli colpito l'immaginario di scrittori famosi e meno che l'hanno sovente raccontata, chi in prosa, chi in poesia, chi in teatro, chi in musica; la vicenda ha colpito soprattutto la gente comune, che attraverso i canti tradizionali orali e i poemetti recitati per le strade nei "bruscelli" dai cantastorie di strada toscani, o nelle veglie davanti al fuoco nelle notti d'inverno, ha tenuto vivo il ricordo di questo fatto delittuoso fino a oggi. Testimonianza anche ne è la novella del Bandello, altrettanto popolare, scritta nel Cinquecento e famosa in tutta Europa, che nel 1554 la definì come "una istoria di un senese che truova la moglie in aduelterio e la mena fuori e l'ammazza". La vicenda donizettiana prende invece abbrivio dalle rime di Bartolomeo Sestini che aveva per titolo "La Pia. Leggenda romantica"; mi piace ricordare qui il pensiero dello scrittore che prima dei canti intitola "L'autore a chi legge": "Nuove non sono in Italia le leggende e nuova tampoco non è fra di noi la romantica poesia, benché scevra di questo titolo: nulladimeno molto rimane a farsi in quanto alle prime, essendo, quelle poche che noi conosciamo, di niun valore, e non poco resta a tentarsi in quanto alla seconda, se vogliamo osservare che Boiardo, Ariosto, Alamanni, ed altri poeti romanzieri hanno sempre prese a celebrare le cose cavalleresche dei Francesi e di altre estere nazioni. Di quanto interesse e di qual bellezza sieno però i fatti italiani avvenuti nei feroci, melanconici e superstiziosi tempi delle fazioni, lo denotano alcuni di essi per incidenza cantati dal Dante, e i poemi romantici dei forestieri, che ora tradotti e letti con avidità in Italia, ci mostrano sovente tolti dal silenzio degnissimi argomenti della nostra istoria sui quali tacciono, e non a buon diritto, gli ausonici vati. Per questo io reputo che una leggenda romantica di argomento del tutto italiano, sia capace di ricevere i colori poetici usati in tali materie dai riferiti nostri romanzieri, e meno disgradevole in questo secolo, che altre materie di poesia delle quali sovrabbondiamo; e per questo io publico la Pia, soggetto per sé medesimo caro a chiunque ha letti i quattro misteriosi versi della Divina Commedia, che ne fanno menzione, e che tessuto su quanto nelle Maremme ho raccolto da vecchie tradizioni e da altri documenti degni di fede, mi ha dato campo di descrivere alla foggia dei Greci alcuni celebri casi e luoghi della Patria, e gli antichi castelli feudali, e gli abiti e le esequie, e i costumi dei nostri antenati, e di presentare una catastrofe d'onde si può trarre alquanta morale, e finalmente d'onorare e difendere l’ancor giacente memoria di quella bell’anima che sì affettuosamente raccomandavasi nel Purgatorio al troppo avaro Poeta, acciocché di lei si ricordasse ritornando sulla terra ov'ella a torto avea perduta la vita e la fama.Piacemi pertanto sperare che i cortesi lettori accettar vorranno la mia buona volontà, e se li vedrò indulgenti nell’accogliere la povera Pia, benché vestita di ruvidi e disadorni panni, mostrerò al publico alcune altre di lei sorelle, che attendono la sorte della primogenita per determinarsi a seguirla nella luce o a restar nelle tenebre. Suggestiva è l’aura di mistero che aleggia intorno a questo personaggio che alcuni studiosi danteschi ricondurrebbero ad altra madama, Pia de’ Malvoli, ma questo è un altro capitolo; qui interessa ciò che la tradizione impone e la ''nostra'' Pia è quell’anima bella che alla fine della sua vita invoca perdono per i suoi uccisori e vuol morire tra le braccia di coloro che ama: il fratello Rodrigo ed il marito Nello.
La trasposizione scenica ha trovato le mani del regista Andrea Cigni, dello scenografo Dario Gessati, del costumista Tommaso Lagattola e delle luci di Fiammetta Baldisserri. L’idea di base che contorna questo allestimento cerca di mettere al centro il personaggio eponimo relegandolo in uno spazio fisico suo proprio, rappresentato da un cubo aperto al centro del palcoscenico; uno spazio fisico che diventa anche spazio dell’esistenza in quanto troveremo questo solido anche nella terra di Maremma del secondo atto, luogo in cui Pia consumerà i suoi ultimi giorni. Una donna, Pia de’ Tolomei che ama l’arte, il bello, la cultura e in scena è circondata da quadri semi coperti e da un ambiente tutto sommato che vuol dare l’idea di raffinatezza e di classe; la scelta di trasporre gli eventi negli anni '30-40 del Novecento può anche essere accettabile; non sto qui a discutere sull’idea anche perché questa operazione di traslazione temporale ha trovato ottimi riscontri in tutti quelli che sono gli elementi visuali - scene e costumi - dove Guelfi e Ghibellini diventano rispettivamente la sinistra antifascista e la destra delle camicie nere; quello che mi ha lasciato perplesso è questa impellente necessità di andare a porre l’accento su un periodo storico usato e abusato negli ultimi anni nel melodramma; sembra quasi lo specchio di una povertà di idee unita ad una povertà di mezzi finanziari per far fronte alle esigenze dei budget che sempre più stritolano gli artisti costringendoli a rivedere e restringere la propria inventiva e fantasia. Anche in questa produzione che pure reputo di pregio e di buon gusto, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad una bella idea che nel divenire sia stata depurata di tanti elementi che avrebbero potuto renderla molto più godibile ed originale: sono mancati a mio avviso uniformità ed armonia dei movimenti scenici in tutto il dipanarsi della vicenda, risultando sia le masse che i protagonisti poco a fuoco con i personaggi interpretati e spesso in balia di una concezione degli stessi molto personale e un tantino improvvisata; una su tutte la scena iniziale del secondo atto dove l’interazione tra Rodrigo e i ribelli antifascisti dava l’idea di una recita amatoriale, da oratorio della parrocchia, priva di quel pathos necessario a renderla drammaturgicamente forte ed efficace; non da meno sono stati i duetti tra i protagonisti in cui non ho percepito una grande intesa tra i personaggi che mi sono sembrati molto lasciati a loro stessi. Ovviamente il melodramma non è solo ars-scenica e regia, ma è anche musica, voce ed interpretazione e sotto questo punto di vista non sono rimasto affatto deluso. Seguendo l’ordine del programma di sala troviamo il baritono Valdis Jansons nei panni di Nello della Pietra, marito di Pia; un interprete che ha messo in campo una vocalità ben tornita e molto incline al morbido fraseggio non tralasciando al contempo le necessarie irruenze allorché viene sollecitato da Ghino che insinua in lui il seme della gelosia (bello il duetto tra i due anche se a livello musicale compositivo sembra che non riesca mai a sfogare… quasi irrisolto direi); ottimi gli accenti di Jansons in acuto come nelle note più gravi dove ha saputo farsi valere con sicura dizione e sillabazione. Pia de’ Tolomei, moglie di Nello ha trovato la sua concretizzazione artistica nel soprano Francesca Tiburzi; nel ruolo donizettiano che fu all’epoca di Fanny Tacchiardi Persiani, la nostra interprete ha saputo ben cimentarsi con un timbro di sicuro fascino e bellezza unito ad una grande capacità di saper gestire con spavalda sicurezza tutta l’estensione che supera le due ottave; rispetto ad altri ruoli donizettiani l’uso delle colorature e degli ornamenti è più contenuto, legando il canto ad un fraseggio più nobile e meno impervio, ma che necessita sicuramente di grandi fiati e una buona tenuta di suono; la Tiburzi ha saputo ben gestire queste difficoltà con sicura intonazione e grande capacità di gestire il respiro con eleganza e padronanza di voce.
Nel ruolo del fratello di Pia, Rodrigo, il mezzosoprano en-travesti Marina Comparato; voce salda nella zona acuta, ma anche padrona di un’ottima cavata vocale; timbro ragguardevole, perfetta intonazione e sicura proiezione vocale che le hanno permesso di distinguersi sia nell’aria di sortita del primo atto - composta da recitativo, aria e cabaletta In questa de’ viventi orrida tomba… Mille volte sul campo d’onore… l’astro che regge i miei destini - che nel bellissimo momento con il coro del secondo atto Ah si barbara minaccia… a me stesso un Dio tremendo. Plauso senza se e senza ma anche per il tenore Giulio Pelligra nei panni del subdolo Ghino degli Armieri; la sua voce ormai avvezza a questo repertorio belcantista trova il proprio naturale sfogo in questa scrittura nella quale riesce a mettere in luce un brillante squillo, una innata capacità di saper cogliere le ottime intenzioni, un elegante fraseggio e sicura intonazione; tali caratteristiche permettono a Pelligra di affrontare con sicurezza ruoli piuttosto impervi come questo, potendo “divertirsi” nel regalare una spettacolare esecuzione nelle difficili variazioni approntate nel da capo della cabaletta del primo atto, dopo l’aria di sortita Non può dirti la parola… mi volesti sventurato; encomiabile anche nella scena della morte nella quale ha saputo trasmettere un grande pathos con elegante ars scenica. Grande voce da basso quella di Andrea Comelli nel ruolo di Piero Solitario; questo basso è dotato di eleganza, pienezza e rotondità di emissione. Bice, la Damigella di Pia ha trovato in Silvia Regazzo un’ottima interprete con una vocalità solida e proiettata che mi fa sperare di poterla sentire prossimamente in ruoli più impegnativi. Lamberto, antico familiare de’ Tolomei è stato interpretato egregiamente da Claudio Mannino. Ubaldo, familiare di Nello cui viene attribuito un ruolo piuttosto impegnativo dal punto di vista drammaturgico non ha trovato nella voce di Christian Collia un valido interprete a causa di un’emissione piuttosto nasale e a tratti stridula, che spesso cozzava con l’armonia degli altri interpeti e del coro. Completava il cast un valido Nicola Vocaturo nei panni del Custode della Torre di Siena. Il Coro Ars Lyrica preparato e diretto dal M° Marco Bargagna nonostante la goffaggine di alcuni movimenti scenici si è dimostrato preparato e ben amalgamato con la buca e con i solisti. La bacchetta del M° Christopher Franklin è stata l'elemento di cesello di una cosi bella partitura eseguita in edizione critica a cura di Giorgio Pagannone per conto della casa Ricordi di Milano; belle dinamiche di suono hanno sempre accompagnato ed assecondato il palcoscenico come pure i tempi adottati hanno messo in evidenza una grinta e una personalità interpretativa di grande gusto e di sicura padronanza di ogni pagina dello spartito; ottima è stata anche la risposta dell'Orchestra della Toscana che non ha mai mancato di eseguire con certosina precisione ogni gesto del maestro concertatore, regalando al pubblico presente in sala una prova di indubbio fascino e personalità. Come già accennato all'inizio, la sala del teatro pisano era gremita in ogni ordine e grado e salvo uno sparuto disappunto alla volta degli autori della parte visuale, il “contento” è stato dimostrato da copiosi e calorosi applausi.
Crediti fotografici: Imaginarium Creative Studio per il Teatro di Pisa Nella miniatura in alto: Francesca Tiburzi (Pia de' Tolomei) Al centro in sequenza: Claudio Mannino (Lamberto), ancora la Tiburzi e Sivia Regazzo (Bice); Marina Comparato (Rodrigo); Giulio Pelligra (Ghino degli Armieri); Christian Collia (Ubaldo); Valdis Jonsons (Nello della Pietra), ancora Pelligra e Andrea Comelli (Piero Solitario); ancora Jonsons, la Tiburzi e la Regazzo In fondo: scena dell'ultimo quadro (morte di Pia de' Tolomei)
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Commenti
Commento di gianluca del 23 Ottobre 2017 |
Povero Donizetti!
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