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Nel Teatro Alighieri di Ravenna č andata in scena con successo la quarta opera di Puccini

La Bohčme commuove sempre

servizio di Attilia Tartagni

Pubblicato il 29 Marzo 2023

20230327_Ra_00_LaBoheme_DiLuzioGrigoryan_phZani-CasadioRAVENNA - Una modesta soffitta parigina in locazione accoglie la vita bohèmienne del poeta Rodolfo (Alessandro Scotto di Luzio), del pittore Marcello (Christian Federici), del musicista Schaunard (Clemente Antonio Daliotti) e del filosofo Colline (Vittorio De Campo), giovani e spensierati, in testa grandi sogni probabilmente irrealizzabili, in tasca neppure i soldi per l’affitto, per il riscaldamento e per mettere insieme pranzo e cena, ma entusiasti e creativi come suggerisce la loro gioventù. L’incontro fra Mimì e Rodolfo, illuminato da un tenue raggio di luna, origina uno dei duetti più belli dell’opera: “Che gelida manina, se la lasci riscaldar"… e la rispettiva presentazione: “Chi son? Sono un poeta. Che cosa faccio? Scrivo e come vivo? Vivo!" ... e lei che ribatte: “Mi piaccion quelle cose… che parlano di sogni e di chimere, quelle cose che han nome poesia!”
Un canto lirico di ampio respiro pucciniano, impresso a fuoco nel nostro DNA. La quotidianità è quella di due giovani come tanti, protagonisti di piccole storie di tutti i giorni e non certo di mirabolanti avventure. Giacomo Puccini con La bohème su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica ispirato a scene da “La vie de bohème” di Henri Murger debuttò al Teatro Regio di Torino il1° febbraio 1896, inventando una rivoluzione nel linguaggio che si fece fluido e discorsivo, quasi rubato al cinematografo, se non fosse per la straordinaria espansione lirica delle arie messe in bocca ai suoi personaggi.
L’opera si apre e si conclude nella soffitta, dove nascono, si sviluppano e si spengono amori e speranze, affacciandosi nel secondo atto su uno squarcio della società parigina, il Cafè Momus del Quartiere Latino, dove una folla poliedrica di camerieri frenetici e intemperanti clienti, bambini, soldati, giocolieri e passanti animano la vita notturna. Sulla scena campeggia Parpignol, venditore ambulante di giocattoli (il ravennate Ivan Merlo) con il suo carretto di burattini, nota autobiografica della regista Cristina Mazzavillani Muti dedicata al padre Giordano Mazzavillani, creatore e drammaturgo di burattini.
Sui colori vocali e visivi di una comunità festante, si leva il canto di Musetta della brava e bella Alessia Pintossi “Quando m’en vo…”, orgogliosa dell’altrui ammirazione e del proprio potere di seduzione che fa subito capitolare Marcello, il tutto concluso dalle note gioiose della banda cittadina (di Ravenna).

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Ma è il terzo atto, con la sua nevicata incessante, a raggelare gli animi: Rodolfo è incapace di accettare la malattia che ha colpito Mimì. “Dunque è proprio finita?”. Non ancora. Si lasceranno “… alla stagion dei fiori”.
Nell’ultimo atto il ritorno alla soffitta, con Mimì che vi giunge in condizioni disperate, fuga le schermaglie giovanili imponendo l’impatto tragico della realtà. Gli amici si dileguano andando a vendere, per aiutare Mimì morente, i pochi oggetti commerciabili, per cercare un manicotto, una medicina e la visita di un dottore.
Finalmente soli, la  ragazza malata svela a Rodolfo i suoi sentimenti: “... Sono andati? Fingevo di dormire perché volli con te sola restare. Ho tante cose che ti voglio dire, o una sola, ma grande come il mare. Come il mare profonda ed infinita… Sei il mio amore e tutta la mia vita!” , mentre riaffiorano i momenti belli trascorsi insieme, capaci di dare un senso a quella vita troppo breve.
Mimì spira, nel tepore del ritrovato sentimento e del manicotto procuratole da Musetta e ancora Rodolfo non ha compreso: “Vedi, è tranquilla” dice agli amici che invece hanno già capito che il momento è tragico.
La morte di Mimì avviene così, naturalmente, senza le  sfumature psicologiche e la sublimazione di quella di Violetta della Traviata verdiana, benché la causa della morte sia la stessa. È un trapasso incontrovertibile che lascia un’intensa commozione nel momento in cui anche Rodolfo comprenderà la verità leggendola nei gesti degli amici e nel frastuono delle percussioni.
Questo allestimento è già stato proposto nell’ambito della Trilogia d’Autunno 2015-1016 con la regia di Cristina Mazzavillani Muti, che di nuovo si è affidata alle tecnologia per esprimere una stagione passeggera ed effimera come la giovinezza, nel consolidato team con Vincent Longuemare, light designer, David Loom, visual designer, Davide Broccoli, video programmer. Il progetto grafico è ispirato a Odilon Redon, pittore simbolista francese, che sembra intonare alla drammaturgia le sue immagini simboliste non meno dei bei costumi di Manuela Monti realizzati dalla sartoria del Teatro Alighieri.
Il canto è la vera formula magica dell’opera, ciò che la fa nuova e sorprendente ogni volta. Qui, in un cast appropriato e giovane, si distingue il soprano Juliana Grigoryan nel ruolo di Mimì, talentuosa armena dal timbro ricco e  variegato e dal fraseggio felice, vincitrice del Concorso Operalia e di altri numerosi riconoscimenti, che sta in scena come un’attrice, brava, bella e giovane.

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Dirige con consolidata esperienza l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini il M° Nicola Paszkowskj, mentre il Coro Teatro Municipale di Piacenza diretto dal M° Corrado Casati è come sempre encomiabile. Il Coro di voci bianche Ludus Vocalis e Scuola Secondaria "Guido Novello" diretto da Elisabetta Agostini e la Banda Musicale Cittadina di Ravenna diretta da Mauro Vergimigli apportano note di colore e di talento ravennate a un allestimento longevo, sempre emozionante, in coproduzione con Teatro Galli di Rimini, del Giglio di Lucca, Comunale di Ferrara e Verdi di Pisa.
(la recensione si riferisce alla recita di domenica 26 marzo 2023)

Crediti fotografici: Zani-Casadio per il Teatro Alighieri di Ravenna
Nella miniatura in alto: Alessandro Scotto di Luzio (Rodolfo) e Juliana Grigoryan (Mimì)
Sotto: scena del primo quadro
Al centro: scena del secondo quadro al Quartiere Latino
In fondo: ancora Alessandro Scotto di Luzio (Rodolfo) e Juliana Grigoryan (Mimì)






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