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Uno sguardo alle recite di agosto dei tre capolavori di tre compositori patrimonio del repertorio

Le repliche di Carmen, Tosca, Aida

servizio di Nicola Barsanti

Pubblicato il 14 Agosto 2024

20240814_Vr_00_Carmen_LeonardoSini_phEnneviFotoVERONA - Gli anni passano ma l’emozione resta, tornare in arena desta sempre meraviglia e dopo 101 edizioni di questo festival la magia dell’opera continua incessantemente a nutrire l’anima del suo fedele pubblico. Diamo qui conto con un unico e ampio servizio delle recite di Carmen, Tosca e Aida nell’anfiteatro veronese per il festival estivo 2024.

Carmen (8 agosto 2024)
Sotto il gesto sensibile del M. Leonardo Sini, prende vita il capolavoro di Georges Bizet. Il giovane direttore si distingue per l'approccio spagnoleggiante apportato alla partitura e, soprattutto, per la coesione tra palco e orchestra, di cui è stato garante per tutta la durata della rappresentazione. Tuttavia, le dimensioni e le peculiarità acustiche dell'Arena rappresentano una sfida per chiunque, e in questo contesto la delicatezza del suo gesto potrebbe non aver giovato: ne ha infatti risentito l'orchestra della Fondazione Arena di Verona, lasciando spesso l'impressione di assistere ad un'esecuzione ovattata nei volumi, (sin dal preludio), impedendo così di apprezzare appieno le numerose sfumature di cui la partitura è intrisa.
Per il terzo anno consecutivo va in scena la regia dello storico allestimento di Franco Zefirelli, con i costumi di Anna Nanni (di proprietà della Fondazione Cerratelli) e le luci di Paolo Mazzon.

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Il cast risulta ben assortito e sfaccettato di interessanti vocalità.
Fra i comprimari il baritono Fabio Previati (Morales) tratteggia un sergente dal carattere elegante e disinvolto con una buona proiezione sul registro centrale ma non esule da alcune debolezze sulle note più basse dello spartito; anche lo Zuniga di Gabriele Sagona, il Remendado di Vincent Ordonneau, e il Dancario di Jam Antem offrono interpretazioni convincenti.
Forte di un timbro ricco e armonioso Alessia Nadin riesce a portare in scena una Mercédès vibrante ed energica contribuendo significativamente nelle scene corali e di insieme. Degna di nota anche la Frasquita di Daniela Cappiello distintasi per la buona puntatura al Do nella “Chanson du Toreador”.
Nonostante gli sforzi e la buona volontà, la Micaela di Pretty Yende pecca di incisività e varietà espressiva: la cantante, pur tratteggiando un carattere gentile e compassionevole del personaggio non riesce a dare l’idea di quella forza interiore antitetica a Carmen, tale da conferire maggiore profondità al personaggio. Tuttavia spiccano il suo legato e l’attenzione al fraseggio.
Alisa Kolosova (nel ruolo de titolo) s’impone alla nostra visione con una personalità magnetica e accattivante, riuscendo a mantenere il pubblico costantemente coinvolto nella sua complessa e affascinante personalità. Il tutto arricchito da un’ottima proiezione vocale che emerge per la rotondità del timbro e la versatilità che ne apporta quando scende nei delineati accenti drammatici.
Altro interprete d’eccellenza è Francesco Meli, il quale tratteggia un Don Josè contraddistinto da un canto elegante e raffinato, tale da porre in evidenza il suo animo buono, ma all’occorrenza pronto a mutare nelle ire scatenate dall’irrefrenabile istinto di gelosia che lo porta a compiere il gesto estremo su Carmen ("C’est moi qui l’ai touée!").
Bene anche l'Escamillo di Dalibor Jenis, il quale sa portare in scena un personaggio carismatico caratterizzato da un timbro vibrante e brunito, condividendo ottimi momenti musicali sia con Carmen che nel duetto del terzo atto con Don Josè che culmina nell’efferato duello.
Ottimamente istruito dal M. Roberto Gabbiani è il Coro della Fondazione Arena, ma una menzione va anche al coro di voci bianche A.LI.VE. preparato e diretto da Paolo Facincani.
Ricordiamo altresì la partecipazione straordinaria della Compania Antonio Gades.
Applausi e ovazioni per tutti.

Tosca (9 agosto 2024)
Ad intuire che sarebbe stata una serata diversa dalle altre lo si intuisce nel guardare le mise delle signore, sorprendentemente più eleganti del solito, e il vivo e pulsante senso d’attesa che dalla platea s’innalza a tutti i settori, fino a raggiungere le gradinate più elevate. Tutti in attesa di udire il terzo gong che da tradizione sancisce l’inizio dell’opera.
Ma ecco che all’improvviso parte un primo scrosciante applauso, il tutto scaturito dalla sola voce metallica che come al solito annuncia il cast della serata… e quel nome tanto atteso riguarda propio il nome di Tosca: Anna Netrebko

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Il cast è stellare, ogni artista incarna ad hoc il personaggio (salvo eccezioni), e la regia, le scene, i costumi e le luci firmate da Hugo de Ana regalano una Tosca memorabile, confermandosi ancora una volta uno spettacolo di alto livello, degno di celebrare il centenario della morte del genio Lucchese.
Anna Netrebko, nel ruolo del titolo, offre una performance avvincente e carismatica, confermando il suo status di star internazionale.
La cantante russa si distingue per la sua straordinaria proiezione vocale, capace di riempire lo spazio areniano con un’imponenza quasi magnetica.
Tuttavia, in alcuni momenti la resa vocale risulta oscillante, complice il caldo particolarmente pungente ed i recenti impegni scaligeri che la vedono in Turandot, che potrebbero aver influito sulla piena forma vocale e fisica.
Nonostante queste sfide la star russa brilla per l’agilità nel salire agli acuti che continua ad affrontare con sicurezza e brillantezza tipiche del suo stile.
Anche i filati sono eseguiti con una maestria che sorprende, mantenendo una linea di canto morbida e ben sostenuta, capace di tratteggiare con finezza le emozioni del personaggio.
Ciò nonostante altre imperfezioni emergono sulla parte bassa dell’astensione , in parte dovute ad un timbro che, nel corso degli anni si è notevolmente scritto; le note gravi seppur ben appoggiate mancano a tratti di pienezza e della risonanza che si ritrova nel registro superiore, risultando pertanto più deboli e meno proiettate rispetto al resto della gamma vocale.
In definitiva, la sua Tosca si rivela un’esperienza che, nonostante tutto, lascia un segno indelebile nella memoria di chi assiste. 
Invece, nel ruolo di Mario Cavaradossi troviamo il tenore azero Yusif Eyvazov, che offre una performance fra alti e bassi.
Pur evidenziando alcune qualità tecniche, lascia spazio a considerazioni critiche riguardo al timbro e alla linea di canto.
Eyvazov si distingue per la facilità con cui raggiunge gli acuti, affrontando con sicurezza le vette richieste dalla partitura pucciniana.
Tuttavia. Il timbro (a parere di chi scrive), risulta particolarmente aspro e in alcuni momenti, farraginoso, un tratto che si manifesta sopratutto nei passaggi più lirici e delicati, come in “Recondita Armonia”, in cui un leggero ma fastidioso vibrato disturba la linea melodica compromettendo così il legato e l’omogeneità del suono.
Nel corso della serata il tenore mostra un miglioramento progressivo, specialmente nel duetto d’amore con Tosca, dove la voce si fa più controllata e meno tesa, trovando finalmente una certa rotondità espressiva.
Da segnalare positivamente l’acuto in “La vita mi costasse”, confermando solidità nel registro superiore.
Concludo nel dire che dal punto di vista scenico delinea un Cavaradossi incisivo ma non del tutto convincente, sebbene possieda una presenza scenica vigorosa, l’approccio talvolta rigido e poco sfumato sottraggono all’interpretazione la complessità drammatica richiesta dal ruolo.
Luca Salsi, nel ruolo di Scarpia s’impone alla nostra visione con una presenza scenica attrattiva e coinvolgente, riesce sempre a catalizzare l’attenzione con uno sguardo tetro e febbrile, incarnando perfettamente la subdola malvagità di quello che è lo “Jago” pucciniano per eccellenza, (forse non a caso Tosca andava in scena contemporaneamente alla prima di Otello).
Dal punto di vista vocale il baritono si distingue per l’ottimo fraseggio pur risentendo talvolta di qualche incongruenza dettata da una mancanza di dialogo fra palco e buca. Benissimo la resa del Te deum.
Si confermano positivamente i personaggi di Cesare Angelotti di Gabriele Sagona e il bravissimo Sagrestano di Giulio Mastrototaro.
Chiudono positivamente il cast gli altri comprimari che vedono Spoletta di Carlo Bosi, Sciarrone di Nicolò Ceriani, Un Carceriere di Carlo Striuli e Un Pastorello di Erika Zaha.
La direzione musicale è affidata alle sapienti mani del M. Daniel Oren che ne da una lettura incisiva e drammatica volta a sottolineare sia i temi più struggenti che le pagine musicali più improntate al sinfonismo, non esule da qualche incertezza di dialogo riguardo la linea del canto, ma tutto sommato leggere incongruenze che il grande professionismo di tutti i presenti hanno saputo risolvere senza destare le attenzioni dei meno attenti.
Ancora una volta il coro di voci bianche A.LI.VE. è diretto da Paolo Facincani, mentre il coro della Fondazione Arena è istruito da Roberto Gabbiani.
Grandi ovazioni per tutti i presenti accompagno la fine della splendida serata veronese.

Aida (10 agosto 2024)
Nell’edizione storica del 1913 torna a splendere sul palco dell’arena l’elegante e suggestiva Aida firmata da Gianfranco de Bosio, a cui la serata è dedicata in occasione del centenario della nascita.
Lo spettacolo continua ad evocare la gloria egizia in tutto il suo sfarzo, sapendo ritrarre con cura quei momenti intimi (tanto amati da Verdi) dediti all’introspezione dei personaggi.
Il cast è ottimo, nel ruolo di Radames il tenore Piotr Bezcala si distingue fin da subito per una salda e accurata emissione, mostrando una padronanza tecnica che si riflette in un controllo preciso della voce e un’attenzione meticolosa al fraseggio.
La sua performance inizia con una proiezione vocale ben sostenuta, tuttavia, durante l’aria di sortita “Celeste Aida” pecca di un’impressione tecnica riguardante l’emissione del Si bemolle acuto, dove l’attacco risulta forzato e poco appoggiato, con un’emissione più spinta che legata.
Questo errore, compromette la fluidità e la morbidezza del fraseggio, portando a un suono che appare eccessivamente sforzato, con una tendenza a calare verso la fine dell’aria, in cui avrebbe dovuto eseguire una sfumatura in piano per soddisfare la richiesta espressiva della partitura.
Nonostante ciò l’artista dimostra di sapersi scaldare progressivamente nel corso della recita, raggiungendo una sicurezza crescente che culmina in acuti saldi e precisi, culminando in un quarto atto di notevole impatto.

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Ekaterina Semenchuk offre un’interpretazione di Amneris caratterizzata da un registro vocale peculiare, l’artista infatti è un soprano e non un mezzosoprano drammatico come richiesto dal ruolo.
Sebbene mostri una presenza scenica contraddistinta da spiccate doti attoriali, il suo registro grave risulta spesso inconsistente, con una proiezione insufficiente nei passaggi più bassi della partitura.
Questo limite si manifesta in particolare nelle sezioni più drammatiche e nelle espressioni di ira verso la rivale Aida, in cui la voce manca della profondità necessaria a rendere appieno la complessità emotiva.
La Semenchuk riesce invece a convincere maggiormente nelle pagine in cui il registro si mantiene su toni centrali e si spinge verso l’acuto, come nella scena del giudizio del quarto atto.
Qui l’artista valorizza il carattere umano e vulnerabile di Amneris, dando prova di un buon fraseggio tale da evidenziare le sfumature emotive.
In definitiva, una performance che, pur con alcune riserve tecniche, si distingue per la capacità dell’artista di immergersi nei risvolti più intimi e umani di Amneris.
Maria Josè Siri si cala nei panni di Aida concludendo una recita che, pur senza particolari picchi di originalità, risulta ben eseguita sotto il profilo vocale e interpretativo.
La Siri dà prova di un timbro morbido e rotondo che ben si adatta alle esigenze liriche del ruolo.
La linea vocale è sostenuta, con un controllo del filato che le permette di mantenere una continuità sonora fluida e un legato apprezzabile.
Bene anche la resa di “O patria mia” che risalta per la gestione attenta delle dinamiche.
Una particolare menzione va a Luca Salsi che nel ruolo di Amonasro offre un’interpretazione vocale di rilievo.
L’artista s’impone con una performance che spicca per precisione tecnica e forte caratterizzazione drammatica.
La sua voce baritonale, robusta e ben proiettata, delinea con efficacia il profilo fiero e autoritario del personaggio, con un timbro scuro e penetrante che conferisce autorevolezza e intensità alla figura del re etiope.
L’artista sorprende in particolare nell’esecuzione del passaggio “Suo Padre”, in cui la gestione del suono si distingue per il controllo delle dinamiche. La forcella in diminuendo, infatti, risulta eseguita con estrema cura e sensibilità.
Il basso Alexander Vinogradov è un Ramfis convincente che sin da subito mette in risalto un timbro profondo e dinamico capace di conferire autorevolezza e severità al personaggio sacerdotale dal carattere inamovibile.
Bene anche per il rodato ruolo di Re interpretato da Simon Lim, presente anche negli scorsi festival areniani.
Chiudono il cast con buone prestazioni anche i comprimari Un messaggero di Carlo Bosi e Una sacerdotessa di Francesca Maionchi.
Ricordiamo inoltre la presenza dei primi ballerini Elena Andreoudi, Denys Cherevychko e Gioacchino Starace.
L’aspetto musicale è nuovamente nelle mani del M. Daniel Oren e a differenza della serata precedente, dimostra una maggiore sicurezza, dando prova di un gesto ampio e vigoroso tale da instaurare un solido dialogo fra buca e palcoscenico riuscendo costantemente ad esaltare la linea del canto.
Ottima la prestazione del coro, ancora una volta preparato dal M. Roberto Gabbiani.
Grandi applausi e ovazioni per tutti concludono la rappresentazione ideata da Gianfranco de Bosio per l’opera più amata in Arena.

Crediti fotografici: Ennevi Foto per la Fondazione Arena di Verona
Nella miniatura in alto: il maestro Leonardo sini che ha diretto Carmen in Arena
Sotto, in sequenza: belle istantanee di Ennevi Foto sugli allestimenti






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