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L'opera pių celebre di Gaetano Donizetti ha chiuso trionfalmente la stagione lirica a Ferrara

Lucia con le pistole senza pistolettate

servizio di Athos Tromboni

Pubblicato il 07 Maggio 2018

180507_Fe_00_LuciaDiLammermoor_FrancescoBellottoFERRARA - La protagonista della Lucia di Lammermoor  di Gaetano Donizetti gioca con una bambola di pezza dal vestitino rosso durante tutta l'opera: è l'insieme dell'innocenza e dell'adolescenza con cui il regista Francesco Bellotto ha caratterizzato il personaggio, nell'allestimento da lui curato e prodotto dai teatri di Treviso e Ferrara con la collaborazione del Conservatorio "Benedetto Marcello" di Venezia che ha prestato il coro ottimamente istruito e diretto da Francesco Erle.
Era la quarta e ultima opera della stagione lirica del Teatro Comunale Claudio Abbado e il pomeriggio di domenica 6 maggio 2018 ha visto inusitatamente il teatro gremito dagli abbonati del turno B (la recita del turno A si è tenuta il martedì successivo): la "prima" a beneficio - dunque - dei melomani più tradizionalisti.
180507_Fe_01_LuciaDiLammermoor_VitelaruLetitiaTommasoGiuseppe_FotoPiccinniLe note di Francesco Bellotto, nella sintesi più significativa dello scritto sul programma di sala, dicono: « ... il percorso di regia cita alcuni elementi storici, ma rifiuta la ricostruzione di un'epoca precisa ... È una visione post-storica: immaginiamo il dopoguerra d'un qualsiasi conflitto devastante. Quel che rimane è un cumulo di tracce del passato: reperti bellici abbandonati assieme a cadaveri di chissà quali battaglie e impugnati dai sopravvissuti, armature contorte e demolite...» e più avanti: « ...Nel “sistema operativo” della nostra messa in scena convivono relitti dal Medioevo al Ventesimo secolo: il saio trecentesco, ad esempio, connota l’appartenenza confessionale di Raimondo, frate cattolico; le geniali pellicce tribali del costumista Alfredo Corno sottolineano le propensioni selvagge delle masse; i pugnali le trame di potere cortigiano; i revolver i regolamenti di conti fra gang. L’ambiente diventa, cioè l’interpretazione metaforica delle azioni e l’intima ragione delle relazioni, da intendersi in chiave universale.»
Dichiarazione d'intenti più che rispettabile, ma un po' bugiarda perché il comparire di mitragliette e pistole tipo Glock sotto i mantelli delle masse corali e dei mimi in scena e pistole tipo Glock nelle mani dei solisti, sono dettagli talmente irrilevanti da essere del tutto inefficaci nella rappresentazione dei "regolamenti di conti fra gang". Il clima che si respira dall'inizio alla fine dell'opera è quello del Medioevo, la selvaggia Scozia, i costumi tribali, le logiche del potere maschilista: mettere una pistola in mano a Lord Enrico Ashton è stata - dunque - una trovata banale, ma in perfetta linea con il conformismo imperante delle "regie moderne".
Detto questo per necessità di critica, aggiungiamo che la regia di Bellotto è stata molto bella perché ha saputo muovere le masse e i solisti dentro una gestualità moderna, credibile, convincente, e niente affatto stereotipa: solo il tenore che interpretava Edgardo di Ravenswood non è parso scenicamente credibile (ma per carenze delle sue doti attoriali, non per colpa del regista).
Molto azzeccata la caratterizzazione di Lucia come adolescente, e soprattutto quella di due figure "secondarie" come Normanno (immaginato qui come una sorta di Jago traditore e viscido architetto delle trame di palazzo) e Lord Arturo Bucklaw, sposo imposto a Lucia (immaginato qui come uno stupratore seriale che s'avventa energumenicamente su qualsiasi femmina sia a portata di mano, Lucia compresa).
La caratterizzazione drammaturgica azzeccata e i costumi in foggia medievale, hanno dunque reso inutili, superflue, fastidiose, le armi da fuoco maneggiate sulla scena, tanto più che Edgardo si suicida col pugnale e non con un colpo di rivoltella alla testa come sarebbe stato logico attendersi se la "provocazione" delle armi da sparo fosse stata coerente con sé stessa.
La scena si svolge fra i ruderi e all'aperto, e quasi sempre nevica: una piattaforma girevole garantisce i cambi di scena, mostrando tre ambientazioni diverse quali il giardino con la statua grecizzante alla Fidia, il cortile con i massi di roccia a forma di grosso parallelepipedo, l'esterno del palazzo. Le luci di Roberto Gritti sono molto belle e sottolineano a volte con chiarori abbacinanti, a volte con penombre avvolgenti, gli umori dei personaggi. I costumi del citato Alfredo Corno sono straordinariamente belli. Le scene di Angelo Sala altrettanto belle e funzionali.
Tutti gli interpreti principali erano i giovani vincitori del Concorso Toti Dal Monte di Treviso, mentre i comprimari (di lusso) erano cantanti in carriera. La resa complessiva del cast è stata apprezzabile, e in alcuni casi eccellente.
Fra le eccellenze segnaliamo subito il baritono Biagio Pizzuti (Lord Enrico Ashton) che ha dato spessore e ottima resa vocale al'iracondo e temebondo fratello di Lucia. A proposito di questo baritono, ripeschiamo una nostra valutazione critica di settembre 2012 quando lo ascoltammo per la prima volta - lui giovanissimo - a Bologna in una produzione del Barbiere di Siviglia rossiniano: « ... in particolare - scrivemmo allora - ha colpito l'attenzione il Don Bartolo del baritono Biagio Pizzuti: bella voce scura, musicalità eccellente, precisissimo, interprete efficace, attore assai promettente. Si tratta di un elemento da tenere assolutamente in considerazione per il futuro, se saprà mettere pienamente a frutto le sue notevoli potenzialità...» e fummo profeti perché oggi, a poco meno di sei anni di distanza, Biagio Pizzuti è una bella realtà del panorama lirico nazionale, proiettato verso ulteriori traguardi e soddisfazioni. Il suo Ashton, oltre che ineccepibile dal punto di vista della recitazione, ha trovato nelle sfumature del canto tutti i colori delle alternanti conflittualità interiori del personaggio: dalla macerazione nel dubbio, alla determinazione del despota, al dolore dopo la pazzia e morte di Lucia suscitato dal richiamo parentale del sangue.
Non da meno è stata la brava Letitia Vitelaru (Lucia) un soprano lirico d'agilità che sa cantare e recitare indovinando sempre gli attacchi senza guardare la bacchetta del direttore. La dizione in italiano è perfetta, il fraseggio molto appropriato.

180507_Fe_04_LuciaDiLammermoorTommasoGiuseppeCavalluzziRoccoVitelaruLetitia_FotoPiccinni180507_Fe_03_LuciaDiLammermoor_VitelaruLetitia_FotoPiccinni

La sua vocalità è ancora leggera, caratteristica dell'età giovanile, ma la preparazione tecnica è già eccellente, e lo ha dimostrato sia nelle belle fiorettature che nel perfetto controllo della zona acuta. L'ispessimento della voce, proseguendo la carriera, la porterà ad essere una Lucia brava, affidabile, sicura. E se anche s'è udita nel suo canto una (ma solo una, per quanto ci riguarda) stonatura, probabilmente la responsabilità non è sua, ma del direttore di cui diremo più avanti. Ha eseguito un' aria della pazzia con accompagnamento della glassarmonica (al posto del consueto flauto traverso) veramente godibile e da applausi.
Note meno positive per il tenore Giuseppe Tommaso (Edgardo di Ravenswood) che a nostro avviso è acerbo per questo ruolo impegnativo. A suo merito citiamo una bella cura dell'intonazione e dello squillo. A suo demerito, una emissione con voce non proiettata (canta nella maniera tutta "indietro" come si dice in gergo) e un impaccio scenico che fanno della sua recitazione qualcosa di men che dilettantesco.
Buono il Raimondo Bidebent del basso Rocco Cavalluzzi, ma deve migliorare l'affondo nelle zone più gravi del registro e riuscire a cantare legato, almeno nei ruoli donizettiani, belliniani e verdiani, che non sono Rossini.

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Ottimi i comprimari, con un Youdae Won nella parte di Normanno che è stato all'altezze sia del canto, sia della caratterizzazione subdola voluta dalla regia. Addirittura eccellente il tenore Dangelo Fernando Diaz Sanchez nei panni di Lord Arturo Bucklaw: alla sua comparsa in scena abbiamo avuto l'impressione che la voce giusta per Edgardo fosse la sua, non quella del tenore titolare.
Bravissima scenicamente la Zhenli Tu (Alisa), dimostratasi grande attrice; la sua vocalità di mezzosoprano ha timbro molto interessante, ma la dizione italiana è approssimativa: se curerà accentazione, scansione sillabica e lingua italiana parlata, le pronostichiamo un avvenire di sicuro successo in ruoli verdiani dominanti come Azucena (Il trovatore), Ulrica (Un ballo in maschera) e Amneris (Aida).
Infine il direttore Sergio Alapont: anche stavolta una prova discutibile al capo della volonterosa Orchestra Città di Ferrara. Non fanno testo - per noi - gli apprezzamenti ricevuti a fine recita, quando il direttore insieme a tutto il cast ha goduto degli interminabili applausi e delle ovazioni del pubblico... Come spesso lo abbiamo udito dirigere a Ferrara, anche stavolta non ci sentiamo di dare ad Alapont la sufficienza. Tutta la sua attenzione è rivolta quasi costantemente al palcoscenico; l'orchestra sembra abbandonata a sé stessa, e fortuna che nell'ensemble ferrarese ci sono ottimi strumentisti e ottime prime parti (il primo violino, gli archi,  il flauto, l'oboe, il clarinetto, il violoncello) a cui stavolta s'è aggiunto un mirabile, miracoloso, suonatore di glassarmonica. Le pause di silenzio fra una scena e l'altra o fra il recitativo e l'aria o fra l'aria e la cabaletta, risultano fastidiose: sono manciate di secondi, ma sono nello stesso tempo testimonianze di un "respiro ", di una "tregua", di un "... e adesso facciamo questo" che il pathos della drammaturgia non può accettare, pena la caduta della tensione emotiva e l'obbligo imposto ai cantanti di distrarsi dalla recitazione per attendere l'attacco della bacchetta.

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Restano da citare i bravi mimi e figuranti in scena: Edoardo Bottacin, Carla Gagliotta, Ivan Gobbo e Maria Teresa Lazzarin. Anche per loro il pubblico ha espresso apprezzamento con lunghi applausi al loro apparire sul proscenio a fine recita. Stagione lirica 2018 chiusa positivamente dunque, aspettando la prossima che si annuncia anch'essa ricca di titoli di grande repertorio e di una rarità barocca scritta da un Georg Friedrich Händel giovanissimo.

Crediti fotografici: Foto Piccinni (Treviso) per Ufficio stampa Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara
Nella miniatura in alto: il regista Francesco Bellotto
Sotto: i due protagonisti, Letitia Vitelaru (Lucia) e Giuseppe Tommaso (Edgardo)
Al centro in sequenza: Tommaso, la Vitelaru e Rocco Cavalluzzi (Raimondo); poi Letitia Vitellaru nella scena della pazzia. E  Biagio Pizzuti (Ashton) con la Vitellaru e Cavalluzzi
In fondo: un campo-lungo di Foto Piccinni sull'allestimento realizzzato da Francesco Bellotto (regista), Angelo Sala (scenografo) e Alfredo Corno (costumista)






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