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Successo per la seconda delle cinque farse rossiniane alle Settimane Musicali di Vicenza

Felice esito dell' Inganno felice

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 12 Giugno 2018

180612_Vi_00_IngannoFelice_RigonGiovanniBattista_phLuigiDeFrenzaVICENZA - Nella città veneta ha preso vita anche quest’anno il Festival Settimane Musicali al Teatro Olimpico che con 27 anni di storia, è una delle realtà di produzione più longeve della città e tra le più prestigiose della Regione, e dell'intera nazione. È il primo festival ad aver proposto l’opera lirica, prodotta appositamente per il Teatro Olimpico. Per la qualità e l’originalità delle programmazioni, valutate su scala nazionale, nel 2012 il festival stesso ha ottenuto il prestigioso Premio Abbiati dell’Associazione Nazionale Critici Musicali, come migliore iniziativa dell’anno. È l’unica iniziativa del Veneto ad essere invitata ad aderire all'Efa (European Festival Association), dal 2007.
In questo fruttuoso contesto domenica 10 giugno 2018 ho assistito alla farsa L’inganno felice di Gioachino Rossini che è legata al "Progetto Rossini: le 5 farse veneziane in 5 anni”; progetto che impegnerà i cartelloni del festival delle Settimane Musicali fino al 2021 con le cinque farse veneziane, che verranno allestite seguendo l’ordine cronologico di composizione.
Fu proprio il terreno fertile della farsa quello nel quale il quasi ventenne Gioachino Rossini intraprese la carriera di compositore d’opera, siglando cinque titoli: La cambiale di matrimonio - eseguita a Vicenza lo scorso anno -, L’inganno felice, La scala di seta, L’occasione fa il ladro, Il signor Bruschino. Fra i tanti meriti di Venezia in campo operistico c’è anche quello di aver ospitato l’esordio del Cigno pesarese al Teatro Giustiniani di San Moisè, avvenuto il 3 novembre 1810 proprio con La cambiale di matrimonio.
Delle cinque farse in un atto L’inganno felice è quella che ebbe maggior successo ed i motivi possono essere attribuiti a varie circostanze: in primis la sinfonia che racchiude in sé il gusto comico-realistico rossiniano che dominerà la successiva grande stagione creativa del compositore; altra motivazione è legata alla bravura di un uomo abile di teatro come il librettista Giuseppe Foppa che attinge ad un tema classico della drammaturgia non solo musicale: «… una donna bellissima e d’integerrimi costumi è felicemente sposata ad un nobil signore. Concupita inutilmente da un funzionario della corte del marito, viene calunniata al punto che il consorte la ritiene irrimediabilmente colpevole. Abbandonata in mare aperto in balìa delle onde su fragile legno, la poveretta sarebbe andata incontro a sicura morte se non fosse stata salvata fortunosamente dal capo degli operai della miniera Tarabotto, il quale, per giustificarne la presenza, la farà passare per sua nipote. Fin qui l’antefatto, che si desume dal primo brano, l’Introduzione a due voci, affidata alla protagonista Isabella e al suo salvatore/zio Tarabotto, capo degli operai della miniera di ferro dove il Foppa ha voluto ambientare la sua farsa. A questo punto, visto che ci troviamo in un clima così poco “comico-burlesco”, come dovrebbe essere invece la farsa tradizionale, dobbiamo credere che il termine “farsa", il cui significato di fondo è individuabile in un "breve componimento teatrale di contenuto comico", ci autorizza a pensare (come del resto ci suggerisce il libretto stracolmo di indicazioni di recitazione e regia) che il termine sia da riferire più al genere e ai modi d’esecuzione scenica, ricco di effetti ed affetti, che al reale contenuto della composizione. Per la verità L’inganno felice, pur cercando di aderire a quel gusto per il comico che discende dalla "commedia dell’arte", si sviluppa decisamente verso il genere sentimentale delle cosiddette piéces à sauvetage, dove una fanciulla ingiustamente accusata e condannata, dopo ampia e travagliata peripezia, viene riconosciuta innocente…» (Adriano Cavicchi - tratta da Una Farsa Speciale all’interno del programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia); per finire è da considerare motivo di successo la presenza di un interprete come Filippo Galli, “migrato” dalla corda tenorile al ruolo di basso cantante che - come basso - sarebbe stato il primo esecutore di tutti i più importanti ruoli pensati da Rossini per questa tessitura vocale, da Asdrubale nella Pietra del paragone, a Mustafà nell’Italiana in Algeri, a Selim nel Turco in Italia, fino ad Assur nella Semiramide.

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Un pagina che vale la pena di leggere è quella di “Il Quotidiano Veneto”, Sabbato 11 gennaro 1812. TEATRI. "L’inganno felice, nuova farsa datasi mercordì scorso al teatro a S. Moisè, poesia del sig. Foppa musica del sig. maestro Gioacchino Rossini aver non poteva esito più fortunato. Un duca ingannato da un ministro traditore, che non avendo potuto sedur la moglie del duca stesso l’accusò presso di lui, e le estorse una sentenza di morte, da cui essa salvossi prodigiosamente, e visse occulta tra i minatori, sin che da minacce di guerra condotte in que’ luoghi esso Duca potè mediante un probo minatore che aveva raccolta la Duchessa, senza conoscerla, sortir d’inganno, e rivelar il tradimento. È questi il soggetto della Farsa in cui cadono in acconcio le sorprese, ed ha il Maestro campo ad estendersi, e ben lo fece il bravo sig. Rossini, di cui tesser non potressimo bastanti elogi, tante sono le bellezze che racchiude questa musica, e che trasportarono il Pubblico al sommo grado. La sinfonia, la cavatina del sig. Monelli, l’aria del sig. Gal- li, il terzetto della sig. Giorgi Belloc, e de’ sigg. Raffanelli e Monelli, il duetto tra il primo di questi, e sig. Galli, il finale, sono pezzi di getto, massime i terzetto e i duetto, ne’ quali il genio brioso, lo studio profondo, le buone regole campeggiano al sommo. Il bravo, il valente giovine Maestro avea dati primi saggi di sé l’anno scorso; egli consolidò la sua fama in que- sto, e l’entusiasmo promosso, e le reiterate acclamazioni generali, pienissime, sì ad ognuno de’ suaccennati pezzi, che nelle sere dopo la Farsa se son a lui oggetti d’esultanza, non son meno espressivi della giustizia che il Pubblico sa render al vero merito".
Per concludere questa premessa, che non ha la pretesa di essere esausitva, ma solo culturale-informativa, prendo a prestito ancora una considerazione di Adriano Cavicchi: «… Conviene qui rammentare che, in genere, la struttura formale della farsa, oltre ai momenti di lirismo e virtuosismo individuale, è sorretta da una sorta di triplice impalcatura: l’"Introduzione", il "Concertato" posto circa alla metà e il "Finale", dove avviene lo sciogli mento e la conclusione dell’opera. In que sta composizione, con scelta del librettista insolita, il "Concertato" è limitato a tre soli personaggi: Tarabotto, Nisa/Isabella e Bertrando. Qui Rossini, nel delineare lo stupore del duca di fronte alla somiglianza di Nisa con Isabella (e Tarabotto che commenta in stile giocoso "Resta come il debitore quando vede il creditore") intuisce e sviluppa quel senso dello stupore e la messa a fuoco del contrasto d’affetti che si realizza in un sorprendente capo d’opera pieno di inventiva e di fascino. Con questa splendida pagina, da cui emergono elementi tematici che troveranno poi più consapevole impiego in altre e successive opere, il meccanismo drammatico-musicale, e soprattutto psicologico, (il dubbio di Bertrando) s’innesca nel meccanismo che condurrà da un lato al chiarimento delle colpe di Ormondo e Batone, dall’altro al riconoscimento dell’innocenza d’Isabella con conseguente ricongiunzione dei due amorosi. Una nota marginale: il personaggio di Ormondo, affidato dalla locandina al secondo tenore (dicitura che compare anche nello spartito) è invece scritto per voce di baritono alla quale Rossini affida un’aria di minaccia. A rilanciare la temperie giocosa arriva provvidenziale il duetto tra i due bassi buffi dove Tarabotto e Batone con allusioni ("Va taluno mormorando"), si stuzzicano e si provocano con un’efficacia sorprendente sul piano musicale…»
Quello che Cavicchi noma come meccanismo psicologico è stato il punto di lettura del regista Alberto Triola per portare sul palcoscenico la drammaturgia di queste pagine musicali; l’antefatto guida e domina tutta l’azione, e proprio nella meravigliosa sinfonia ci viene svelato attraverso una mimica scenica che con eccellente chiarezza conduce anche il neofita alla comprensione della vicenda; il salvatore Tarabotto diventa il terapeuta che accoglie la sfortunata Isabella su di una chaise longue sulla quale ella rivive la sua vicenda aiutata da figure lugubri e tetre (probabilmente i due “cattivi” della situazione: Ormondo e Batone) e dalla presenza di un’altra Isabella (eccellente ballerina e mima), in sostanza il suo alter  ego, che attraverso l’uso di una sfera trasparente in cui è racchiusa rievoca i momenti del rapimento e dell’abbandono in mare; la musica prosegue e la drammaturgia pure ed ecco che entrano i gioco tutti i personaggi reali -  quelli del librettista Foppa - accompagnati da quelli “psicologici” - quelli de regista Triola: Isabella ed il duca Bertrando - i quali in un turbinio di movimenti che prendono spunto dalle parole del libretto, giocano al prendersi e lasciarsi e forniscono via via degli ulteriori spunti interessanti di lettura del dramma; l’idea registica così concepita è stato sicuramente un valore aggiunto per l’opera perché, se da un lato potrebbe essere vista come un "di più" rispetto a quanto scritto dal duo Foppa-Rossini, in realtà, a mio avviso, è riuscita a valorizzare e ad impreziosire una perla musicale che vive di luce propria; un ulteriore apporto di gusto e stile è quello fornito dalle scene di Giuseppe Cosaro - minimaliste, ma efficaci - e da un ottimo gioco di luci per mano di Giuliano Almerighi con il compimento visuale dato dai costumi sempre di Giuseppe Cosaro e Sara Marcucci.
Il versante vocale è stato complessivamente molto soddisfacente ed ha messo in luce cinque artisti giovani dalle molte potenzialità.
Patrick Kabongo nel ruolo di Bertrando ha saputo mettere in evidenza una vocalità di grande pregio con un timbro molto gradevole e con una tendenza a porgere un legato piuttosto uniforme e suadente; la voce tenorile sfoga in acuto con qualche timidezza, come pure un po’ di timore l’ho notato nel suo approccio al palcoscenico; ne risentiremo comunque parlare perché nel complesso conquista benevolmente l’occhio e l’orecchio grazie ad un’eleganza ed una finezza innate.
Anche il soprano Eleonora Bellocci si è difesa molto bene nell’affrontare l’unico ruolo femminile, Isabella; la voce sale in acuto con facilità ed è riuscita a gestire ottimamente anche le dinamiche sonore con grande sicurezza nello smorzare e declinare il suono verso sonorità più riflessive.
L’Ormondo di Lorenzo Grande non ha saputo trasmettere tutta la cattiveria che il personaggio richiede, forse a causa di un timbro troppo chiaro e poco perentorio negli accenti, ma corretto da un punto di vista musicale per intonazione e fraseggio.
Ottimi sotto ogni punto di vista i due “buffi” della compagine vocale: Sergio Foresti e Daniele Caputo rispettivamente nel ruolo di Tarabotto e Batone; il primo ha brillato per sonorità dello squillo e brillantezza di metallo vocale riuscendo a trovare il senso interpretativo dello spartito con ottime puntature in acuto e sostanziosa grana nella zona centrale del rigo; elegante e signorile anche nel fraseggio che ha sempre trovato ottima culla nella sua gola.  L’altro “buffo” per contro ha messo in luce una vocalità più brunita dove non è mancata la grande capacità di gestire le agilità che spesso lo spartito impone distinguendosi eccellentemente nella grande aria che lo vede assoluto protagonista Una voce m’ha colpito; aria che racchiude una miriade di stati d’animo ben scanditi e decisi dal ritmo musicale e dalle agilità che nel finale portano ad un vorticoso turbinio; una pagina di grande pregio è stato il duetto tra i due Va taluno mormorando dove si sono condensate bravura scenica e vocale tali da strappare unanimi consensi.
L’Orchestra di Padova e del Veneto è stata eccellentemente diretta dal M° Giovanni Battista Rigon; ha gestito le dinamiche sonore per un totale sevizio alla voce e nell’accompagnamento dei recitativi ha fornito quegli spunti ammicchevoli pregni di vivida inventiva, che ben si sposavano con le intenzioni del momento; grande esperto e studioso del repertorio ha saputo scegliere i tempi per restituire l’azione scenica in maniera molto fluida e godibile; come egli stesso dice: «… La musica di Rossini è tutt’uno con l’azione scenica. Musica e teatro si compenetrano, ritmi e tempi sono teatrali, prima che musicali. È una grande soddisfazione per me partecipare allo spettacolo in modo diretto, eseguendo l’accompagnamento al cembalo, perché posso entrare nel processo di creazione di quanto avviene sul palco. Rossini ci fornisce un canovaccio, lasciando ampio spazio di improvvisazione e di creatività agli interpreti che, attraverso un attento lavoro preparatorio, riscrivono, di fatto, l’opera. Fatto straordinario delle farse è che ci troviamo a confronto con un Rossini giovane, ma che ha già un’incredibile sicurezza di mano, una matura consapevolezza della propria cifra artistica, tanto che nelle opere successive riutilizzerà moltissimo materiale di queste opere. Lui stesso ne aveva compreso il valore. Siamo di fronte ad un giovane, e al tempo stesso ad un genio assoluto. Questa grandezza rende viva la sua musica, e sempre attuale e interessante per l’ascoltatore di ogni epoca, anche contemporanea

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Grande plauso anche per l’alter ego di Isabella e per l’Anima di Bertrando interpretati dai bravi danzatori Clelia Fumanelli e Libero Stelluti che si sono perfettamente integrati con i personaggi reali; completava il cast il Minatore delle saline di Gianluca Bozzale.
Plauso sentito e sincero per tutti alla fine con numerose chiamate alla ribalta. Il pomeriggio musicale si è concluso con un aperitivo nei giardini del Teatro Olimpico alla presenza degli artisti che si sono intrattenuti in amena conversazione con gli ospiti.

Crediti fotografici: Luigi De Frenza e Alessandro Dalla Pozza per il Festival Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza
Nella miniatura in alto: il direttore Giovanni Battista Rigon
Al centro: Eleonora Bellocci (Isabella) e Daniele Caputo (Batone)
Sotto: i saluti del cast al termine dello spettacolo






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