FERRARA - La prima data autunnale riguardante la ripresa della prova d'orchestra era attesa oramai da diverse settimane soprattutto da parte degli anziani esecutori mandolinisti che già da un po' di tempo non avevano più modo di impiegare le noiose serate estive. Eh sì, l'Orchestra a Plettro “Gino Neri” di Ferrara è sempre vissuta attraverso la passione disinteressata di questi musicisti sin dal 1898, anno della sua fondazione, o forse sarebbe meglio indicarli come "musicomani" artefici di una carriera artistica, comunque essa sia, oramai terminata o probabilmente interrotta. D'altronde le scuole di musica, quelle serie, non erano frequentabili da parte di tutti, anche perché a parte il Regio Istituto Musicale dove non si entrava certo facilmente, bisognava cercare di sbarcare il lunario durante il giorno diversamente praticando lavori più tangibili e remunerativi come l’artigiano o il calzolaio. Infatti già da allora la musica non dava da vivere in modo stabile e concreto ai discreti nomi ed esecutori minimamente bravi, figuriamoci a chi di pentagramma ne sapeva ben poco conoscendolo a malapena a fronte di tanto intuito e buona volontà! Ma il suonare comunque le opere dei grandi compositori del passato in un'epoca dove esisteva appena la radio, rappresentava da sempre per loro motivo di grande soddisfazione e divulgazione culturale. Indispensabile era possedere un minimo di manualità, più uno strumento accordato alla meno peggio, magari di liuteria centese, quella di Luigi Mozzani, (1869 – 1943) ad esempio, non eccessivamente costoso e di buona fattura. Fondamentale era avere anche un bravo direttore. Lui sì che doveva conoscere la musica: "Tu suona con la mano destra a dieci centimetri dalle corde ed eviterai ogni errore senza neppure aver studiato!" diceva il grande Ino Savini (Savino Savini, direttore d’orchestra e musicologo, 1904 – 1995) dalla sua Faenza degli anni '50 a chi era particolarmente negato, ove strimpellando avrebbe combinato solo dei pasticci!
Ino Savini. Quando è morto a oltre novant’anni, tutto il mondo musicale ha compianto quel simpatico vecchietto pieno di grinta e grande modestia. Con l’avvento della televisione nel 1954, dal momento in cui si ebbe l’opportunità di mandare in onda un programma dedicato all’Orchestra, si divertì a lasciare il suo nome nelle didascalie di inizio e fine concerto, anagrammato in un modo tale che non ricordo e non saprei ricostruire, anche se credo fosse "John Visani". Era quasi per non farsi riconoscere ed evitare forse delle critiche relative alla qualità artistica dell'esecuzione, pur non essendo certamente un nome noto alla stragrande maggioranza sia dei telespettatori di allora che al pubblico del tempo. Fatto sta che ben pochi si resero conto dello scherzo. Certo, Ino poteva permetterselo forse perché del successo e della notorietà in fondo non gli importava nulla… per lui contava solamente la musica espressa al meglio. E quanto era difficile, a volte, eseguire Bach, Mozart per non parlare di Verdi, Beethoven e Wagner… attraverso dei pionieri del dilettantismo. Ma il pubblico apprezzava non essendoci confronti, bastava pensare ai fragorosi e inevitabili applausi nel bel mezzo dell’esecuzione, meglio ancora se al termine di una cadenza d’inganno o sospesa, assai numerose e inevitabili nelle frizzanti composizioni degli Ouverture di Rossini, quando il brano, a riprova di qualsiasi orecchio, non poteva essere ancora certamente concluso! Manifestazioni che ovviamente provenivano da ascoltatori totalmente inesperti ma con un entusiasmo davvero grande. D'altronde dopo la banda del paese cosa c'era di meglio? Toscanini? Beh, lui era già morto e sepolto da un paio d'anni e poi se n'era andato in America molto tempo prima per sfuggire al fascismo e alla guerra, lasciando il posto per un breve periodo proprio al giovane Gino Neri in qualità di assistente concertatore al Teatro “G.Piermarini” di Milano durante le proprie prove d’orchestra.
Una tradizione musicale ferrarese quindi, e facciamo un passo indietro, sorta nel pieno periodo della “Belle Époque” per volontà inizialmente di pochi barbieri appassionati all’arte mandolinistica, frequentandosi nel dopo lavoro presso l’abitazione di un lungimirante esecutore di nome Adolfo Nottolini, sita in Via Giuoco del Pallone in pieno centro storico ove oggi presente una targa commemorativa. Impiegato della Pubblica Amministrazione rimase colpito dall’abilità musicale di un giovane garzone di bottega, che, fra un cliente e l’altro, si esercitava sul mandolino forse attirando così l’attenzione di nuovi clienti. Come tale, anch’egli si appassionò presto allo studio dello strumento e decise di riunire in casa sua diversi musicisti principianti, numero massimo di quindici elementi, per formare un piccolo ensemble in modo da trascorrere così in allegria le serate senza alcuna pretesa concertistica.
Dopo alcuni mesi di prove, essi costituivano un primo nucleo di mandolinisti, elementi del futuro complesso, aggiungendosi in breve tempo diversi nuovi cultori assumendo la denominazione dapprima di “Circolo Mandolinistico Ferrarese” cominciando così a esibirsi in città raccogliendo i primi successi. Nottolini ebbe allora una brillante idea in grado di creare un bel ritorno d’immagine: acquistò un mandolino, fra i migliori in commercio, e lo inviò in omaggio alla Regina Margherita di Savoia con una lettera nella quale chiedeva “l’onore di potere intestare il Circolo Mandolinistico all’Augusto nome di Sua Maestà la Regina” in “Circolo Mandolinistico Regina Margherita” ottenendo il privilegio di fregiarsi del nome della stessa, che a sua volta contribuì al sostegno economico e alle varie intraprendenze ancora assai amatoriali.
Tra mille difficoltà, connesse comunque all'autofinanziamento, oltre al reperimento di sedi adeguate alle prove, l’organico iniziò ad affacciarsi sulla ribalta del movimento mandolinistico italiano partecipando e vincendo al Concorso Nazionale per orchestre a plettro di Verona: era il 18 giugno 1900.
Le partiture erano trascritte a mano con pennino a inchiostro e calamaio; un copista paziente e meticoloso, trascorreva parecchie ore la settimana a replicare più volte le singole parti, le stesse suddivisioni e battute decine e decine di volte. Nonostante ciò, esse risultavano comunque piene di errori sia di natura armonica (…ma in Mi magg. non ci sono quattro diesis in chiave? E gli altri due dove sono finiti?) che teorica (…e ¾ quante crome ha per battuta? 3 o 4?), fin tanto che Oliviero Tumiati, contrabbassista a plettro, decise di ricopiare per bene e con attentissima scrittura l’intero archivio consacrando in tale modo buona parte della sua esistenza, anni ove le fotocopiatrici erano ancora fantascienza. A volte i tempi difatti non quadravano o mancavano note… sì, il direttore era indispensabile e se necessario qualche volta doveva pure accennare canticchiando, durante il concerto, il giusto attacco a quella mandola o mandoloncello di fila che si era perduto oppure… semplicemente per suggerire sottovoce le stesse figure musicali non scritte e che durante le prove d'orchestra ci si era dimenticati di aggiungere. Queste si svolgevano nel silenzio austero più assoluto, guai fiatare o cercare di parlare con il compagno di fila, il tutto spesso alla presenza di illustri cittadini ferraresi, quali occasionalmente il Direttore della Cassa di Risparmio o l’Assessore alla Cultura, che ben avevano stanziato fondi per le attività concertistiche della benemerita Orchestra. E non certo a vuoto. Era usanza da parte di uno strumentista, reputatosi particolarmente bravo o per virtù naturale o semplicemente perché qualcuno glielo aveva detto, lo starsene chiuso nel suo guscio durante le esercitazioni così come nei concerti, quasi accovacciato su sé stesso abbracciandosi sia leggio che strumento, in modo tale da non fare vedere e carpire nulla ai colleghi di fila e chiunque gli stesse accanto, il modo di eseguire del tutto personale determinati passaggi sia virtuosistici che tecnici, dal momento in cui questi aveva escogitato evidentemente una buona diteggiatura custodendosela gelosamente. Piccole manie di grandezza nel considerarsi un pizzico superiori rifiutandosi di elargire quel minimo di generosità connessa con l'insegnamento e l'apertura mentale, forse retrograda e provinciale di quei tempi. Ma l'importante era suonare e disperdere tutti i pensieri e le preoccupazioni della giornata sentendosi gratificati per la realizzazione che poteva dare un’esibizione soprattutto quando ci si sentiva se non proprio illustri almeno un pizzico invidiati e famosi, condizione impagabile a qualsiasi livello, soprattutto quando si poteva salire sul palco di un qualsiasi teatro. Il resto dell’esecuzione si aggiustava nell’insieme un po' alla volta; con tanta passione e altrettanto sforzo bene o male la musica creava sempre, anche se limitatamente alle trascrizioni, quel grande effetto sinfonico in grado di restituire con notevole soddisfazione le sonorità di una vera e propria orchestra ad archi e fiati. L'esperienza e soprattutto l'esercitarsi più volte sullo stesso repertorio per stagioni intere dava sempre sicurezza aumentando anche la voglia di crescere artisticamente. D'altronde anche Schumann al termine delle sue 68 "Regole di Vita Musicale" scrive "Lo studio è senza fine”.
Alla ripresa delle attività terminato l’ultimo conflitto bellico, la formazione iniziò ad ampliarsi progressivamente fino a toccare nel corso degli anni ’70 del secolo scorso un organico di ben settantacinque componenti stabili grazie anche all’encomiabile lavoro di tutela degli strumenti, del materiale orchestrale e preziose musiche, tutto rigorosamente nascosto e salvato dalle razzie da parte dei Nazisti quando nel 1943 occuparono Ferrara alla ricerca tra l’altro dei numerosi tesori d’arte.


La prestigiosa Orchestra, in seguito vide l’alternanza di diversi direttori a lungo e breve termine; quando venne sostituito il Maestro ormai anziano Italo Pazzi, (1931 – 2017) in possesso di grandissime qualità sia artistiche che umane e appartenente all’ultima “vecchia guardia”, con il M° Giordano Tunioli, (1944 – viv.) nonostante le grandi aspettative, ci furono da lì a poco grosse incomprensioni sul modo di farsi guidare e letteralmente eseguire determinate pagine tratte dallo storico repertorio. Chissà perché quella Suite n° 7 in Sol min. di Händel, suonata per oltre trent'anni sempre allo stesso modo con grande riscontro di critica e di pubblico, improvvisamente non andava più bene in quanto considerata dal nuovo direttore "tutta sbagliata". Eppure se aveva garantito un certo successo un motivo c'era. A nulla servì spiegare che le capacità erano quelle che erano, quindi per molti sarebbe stato impossibile cambiare la tecnica sia stilistica che interpretativa. E infatti in tutta risposta egli abdicò dopo poco tempo, lasciando il podio a una persona un po’ più tollerante e disponibile a qualche seppure lieve compromesso musicale.
Formazione cresciuta artisticamente in modo esponenziale rispetto ai tempi di allora ove, tra le piccole curiosità, le donne nella “Gino Neri” oggi sono una ventina rispetto al passato, (in un organico composto da circa cinquanta musicisti provenienti quasi tutti dalla Scuola annessa o dal Conservatorio) quando l’unica tale presenza era costituita dall’anziana arpista vista allora come possibile eccezione in un ambiente prevalentemente maschile da generazioni, come d’altronde avveniva in tutte le orchestre sinfoniche fondate su una salda tradizione per i tempi irrevocabile.
Nel luglio del 1971 fu effettuata la prima registrazione discografica 100 Mandolinen spielen edita dalla Sanremo Record tedesca nell’anno successivo, contenente tra gli altri, brani ancora oggi autentici “cavalli di battaglia” quali Barcarola di Hoffman di Hoffenbach, Preludio atto I° dalla Traviata di Verdi, Mefistofele di Boito e soprattutto il celeberrimo Al levar del Sole sul Golfo di Napoli, pot-pourri tratto dall’Opera del 1960 Canti dalla terra di Napoli, quattro quadri antologici costituiti dalle weltbekannte melodien più note appartenenti alla tradizione popolare partenopea, nel mirabile arrangiamento dello stesso Savini.
Gino Neri (1882–1930), nasce a Campiglia Marittima nella provincia di Livorno e nel 1895, a seguito della nomina del padre Pellegrino a direttore della banda cittadina, si trasferisce con i genitori e i tre fratelli a Ferrara. Compie il corso di composizione al Liceo Musicale di Bologna (attuale Conservatorio di Musica “G.B.Martini”) con Giuseppe Martucci (1856-1909) direttore sino al 1902. Terminati gli studi e il servizio militare, nel 1904 fa ritorno nella città estense dove nel frattempo il padre è divenuto direttore dell’Istituto Musicale “G.Frescobaldi” (anch’esso oggi Conservatorio di Stato). In questo stesso anno conosce l’attività dell’allora sodalizio, sorto sei anni prima e già affermatosi in diversi concorsi nazionali. Su proposta di uno dei fondatori, Gentile Squarcia, il giovane Gino accetta infatti la direzione della compagine che negli anni precedenti aveva già visto sul podio, fra gli altri, il Maestro ferrarese di origine ebraica Vittore Veneziani, (1878–1958) poi chiamato al Teatro Comunale di Bologna ove vi restò fino al 1921 quando Toscanini lo volle per dirigere il coro del Teatro alla Scala di Milano sino al novembre del 1938, costretto a rassegnare le dimissioni a causa delle leggi razziali del Regime Fascista.
Vittore Veneziani. L’apporto di Neri conduce fin da subito l’Orchestra a un importante riconoscimento internazionale con la vittoria al Concorso Mandolinistico di Trento; la «Gazzetta Ferrarese» del 22 giugno 1904 riporta la notizia con parole di lode: «Affettuose, entusiastiche, indescrivibili le accoglienze dei trentini alla nostra squadra mandolinistica. Dopo che l’orchestra ferrarese ebbe eseguito il pezzo d’obbligo, la Serenata di Schubert e i brani a scelta, due Danze Ungheresi di Brahms, un prolungato applauso accolse le mirabili esecuzioni che la valentia del Maestro Neri aveva reso di una finezza incomparabile e di insuperabile espressione. A tutti, ma specialmente al Maestro Gino Neri, vadano il nostro plauso e il nostro evviva».
Da allora il legame fra Gino Neri e il Circolo sarà consolidato, oltre che dall’iniziale attività di direzione culminato dalla vittoria del Concorso di Vicenza del 1907, dalla copiosa opera di trascrizione di numerosi brani tratti dal repertorio sinfonico e operistico. È grazie al maestro livornese, inoltre, che l’Orchestra acquisisce quel particolare organico, caratterizzato dalla presenza dei quartini, mandolini dall’estensione più acuta all’invenzione dei contrabbassi a plettro che permettono una maggiore aderenza alla scrittura il più filologicamente possibile che la contraddistingue dalla maggior parte delle altre formazioni a plettro. L’attività direttoriale lo vede impegnato inoltre in diversi palcoscenici italiani alla guida di numerose realtà musicali; annoverato tra i primi sul podio della compagine estense la dirigerà per alcuni lustri trasformandola nell’odierna disposizione fino alla sua prematura scomparsa avvenuta improvvisamente a causa di un infarto fulminante, (aneddotica vuole addirittura durante un amplesso amoroso), il 10 novembre del 1930 succedendone in breve il M° Aroldo Fornasari.
Ufficialmente mutata nel 1947 in ricordo dell’insigne concittadino in “Orchestra a plettro “Gino Neri, Circolo di Cultura Musicale” e costituitosi in associazione legalmente riconosciuta, tra i vari Presidenti in carica il supporto dell’instancabile Senatore modenese Mario Roffi (1912-1995, amico e coetaneo del regista ferrarese Michelangelo Antonioni) promotore e sostenitore delle più svariate manifestazioni artistiche, ha saputo donare quella stabilità organizzativa che ha permesso di essere applaudita in Europa, Africa, ex Urss, America e successivamente Giappone, contesti in grado di procurare sapientemente e assai abilmente. Fine mediatore, riusciva a ricondurre sui binari di un confronto serrato ma costruttivo qualsiasi contrasto tra le diverse tendenze musicali emergenti dal dibattito interno. L’eredità di Roffi a distanza di quasi trent’anni dalla scomparsa consiste soprattutto nell’avere consolidato nel tempo, presente e a venire, uno straordinario sodalizio unito dalla passione per il piacere di fare musica, lasciando agli attuali dirigenti, quindi, l’impegnativo compito di proseguire sulle orme da lui segnate nel cammino intrapreso da oltre un secolo con il proposito di continuare a portare anche per il futuro la prestigiosa formazione musicale ferrarese nei teatri di tutto il mondo.
Una testimonianza di Filippo De Pisis
Da una lettera di Filippo de Pisis (1896-1956) al collega pittore oltre che musicista e drammaturgo Alberto Savinio, sappiamo che poco dopo essere stato dimesso dall’ospedale per malati di nevrosi di guerra “Villa del Seminario”, Giorgio de Chirico prese, presumibilmente in affitto, nel novembre del 1917, una camera in casa della famiglia Neri prima in C.so Porta Mare e in seguito in C.so Porta Po, 60 a Ferrara, in cui soggiornò per i primi mesi del 1918.
“Ho lasciato or ora Giorgio, che sta ora in una camera in via Porta Mare, poco lontano dal Deposito, in casa di un certo Neri, maestro di musica e padre di un direttore coccolato dai ferraresi come un piccolo genio semifallito”.
“Mi scriva se ci sono novità e riceva una stretta di mano dal suo amico Giorgio de Chirico / Corso Porta Po 60, presso Sig. Neri.”
Lettera di Giorgio de Chirico allo scrittore Giuseppe Raimondi, (1898–1985) Ferrara, 16 gennaio 1918 (Bologna, Fondo Raimondi).
In memoria degli amici e colleghi mandoloncellisti di fila Giuseppe Santini e Valter Ferrari, testimoni di un’epoca che fu, senza il cui contributo semplicemente orale non sarebbe stato possibile realizzare gran parte della presente ricerca storiografica.
Crediti fotografici: archivio Edoardo Farina
Nella miniatura in alto: il maestro Gino Neri
Sotto: i maestri Ino Savini e Adolfo Nottolini
Al centro in sequenza: L'Orchestra a plettro "Gino Neri" al Concorso Internazionale di Roma del 1922; e durante un concerto ripreso dalla Rai nel 1967
Sotto in sequenza: i maestri Italo Pazzi, Vittore Veneziani e l'indimenticato presidente sen. Mario Roffi