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La regista Carrasco allestisce l'opera 'americana' di Puccini come stesse girando un film

Sul set di Fanciulla...

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 30 Aprile 2024

20240430_To_00_LaFanciullaDelWest_phDanieleRattiTORINO - Scrivo, con imperdonabile ritardo, della mia presenza al Teatro Regio di Torino per l’opera “americana” di Giacomo Puccini e ne chiedo scusa a coloro che mi hanno ospitato ed ai lettori della rivista.
Quando si entra nel magico mondo di La fanciulla del west non si può non essere rapiti dalla meravigliosa grandiosità della musica di Giacomo Puccini; nella sua esperienza americana il Doge lucchese sperimenta nuove armonie che poi ritroveremo nelle opere successive, creando pagine musicali di assoluta bellezza. Dimitri Mitropoulos negli anni ‘50 del Novecento la eseguì senza le voci per far sentire l’autonomia sinfonica dell’orchestra: l’idea fu significativa, ma il ruolo delle voci resta determinante.
In Fanciulla del West Puccini sperimenta una nuova idea di opera dove è l'orchestra che narra la storia e al contempo sorregge un impressionante apparato di interpreti: i tre protagonisti, una moltitudine di cercatori d’oro, il coro maschile tutti immersi in una realtà sociale virile e spesso brutale.
Ne nasce una fantasia ritmica molto complicata e per questo ritengo che sia una delle opere tecnicamente più difficili da dirigere. Proprio sulla tecnica dell’orchestrazione ci sono autorevoli attestati di stima da parte di musicisti importanti: Ravel ne consigliava lo studio della partitura e c’è una lettera di Anton Webern che ne elogia la strumentazione al suo maestro Arnold Schönberg.
Questa caratteristica della spartito suggerisce alla regista dell'opera in scena a Torino, Valentina Carrasco, un’idea se non proprio nuova quantomeno suggestiva ed accattivante. Il richiamo esplicito è quello del filone dei film western di cui Sergio Leone era il genio assoluto. Fanciulla diventa quindi il set di una produzione cinematografica e tutto quello che vediamo vi ruota attorno. L’uso di un maxi schermo posto in alto al centro del palcoscenico ci porta alla visione di particolari e suggestive angolazioni - riprese in diretta da due cameramen - che spesso, nel marasma generale, rischiano di passare in secondo piano. Il via vai di persone (oltre agli artisti cantanti) appartenenti al set immaginato riesce a non disturbare l’andamento drammaturgico ed il tutto scorre nella più naturale semplicità. Questi collaboratori/attori riescono ad inserirsi nell’ambientazione western con originale utilizzo della tecnologia, per un effetto “cinema” live, e caratterizzano le scene firmate da Carles Berga e Peter van Praet.
Silvia Aymonino ha realizzato i costumi che richiamano le atmosfere di film cult di Sergio Leone come C’era una volta il West e Il buono, il brutto e il cattivo, e si ispirano a fotografie e documenti storici. Gianluca Mamino è direttore della fotografia, le luci sono di Peter van Praet.
Lorenzo Nencini è assistente alla regia, Agnese Rabatti assistente ai costumi e Chiara La Ferlita assistente alle scene.
Per la Carrasco dunque, Fanciulla non è stata trattata solamente come un’opera di sentimento e nostalgia, bensì alla stregua di un grande poema cine-sinfonico in cui la musica racconta una storia ed arriva a suggerirle i dettagli per la sua regia, riuscendo a cogliere le sfumature della struttura ritmica che tratteggia l’azione, descrive i movimenti, gli scatti, i gesti.
Ma adesso veniamo ai due cast che hanno prestato le voci a cotal capolavoro.

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Recita del 28 marzo 2024
Nel ruolo eponimo il soprano Jessica Rowley non si discosta troppo dalla correttezza vocale, nonostante le note centrali fossero piuttosto deboli e gli acuti poco penetranti e spesso privi di omogeneità; meglio dal punto di vista scenico anche se non è emerso con disinvoltura il complesso e a tratti misterioso carattere della girl.
Roberto Aronica nei panni del bandito Dick Johonson mette in luce una vocalità salda e ben a fuoco; schiaccia quasi sempre l’acceleratore sui volumi facendo perdere talvolta quelle sfumature che avrebbero incoronato una serata a pieni voti.
Il baritono Gabriele Viviani (Jack Rance) approccia il personaggio “duro e cattivo” in maniera garbata e mai scontata evitando l’atteggiamento rude e truculento che spesso pervade l’interpretazione di molti. Vira invece verso un’eleganza scenica ed interpretativa misurata ed al contempo efficace non perdendo in caparbietà e senso di potere che il ruolo gli affida. Il tutto è esplicitato con un canto sempre a fuoco, intonazione perfetta e dominio pieno delle dinamiche.
Fra i numerosi personaggi di contorno vorrei sottolineare la nitidezza cristallina di Francesco Pittari (Nick), l’assoluta precisione vocale di  Paolo Battaglia (Ashby) e l’eleganza di Filippo Morace (Sonora) che intona una delle frasi musicali più belle di tutta l’opera “le tue parole sono di Dio…” eseguita con pieno sentimento e partecipazione.
Di pregio tutti gli altri: Gustavo Castillo (Jake Wallace), Cristiano Olivieri (Trin), Eduardo Martínez (Sid/Billy Jackrabbit), Alessio Verna (Bello e Harry), Enrico Maria Piazza (Joe), Giuseppe Esposito (Happy), Tyler Zimmerman (Larkens), Ksenia Chubunova (Wowkle), Adriano Gramigni (José Castro) e Alejandro Escobar (Un postiglione).
Il coro maschile diretto dal M° Ulisse Trabacchin mette in evidenza vocalità di pregio cesellando, per ritmica e intenti, una serata da spolvero.
Il M° Francesco Ivan Ciampa, alla guida dell’orchestra del Teatro Regio, approccia le complesse pagine musicali valorizzando appieno le caratteristiche della partitura: in Fanciulla non c’è un semplice accompagnamento delle voci (il canto non è quasi mai spianato o da “romanza”) in quanto - come già detto - sono le note stesse a narrare la storia con particolari icastici in cui ogni incipit ritmico suggerisce il tempo scenico. Vi è infine il sapore del “colore locale”: come in Madama Butterfly e Turandot trovano posto le diverse melodie orientali, in Fanciulla c’è l’America musicale.
Ecco che l’esaltazione di melodie indiane, ragtime, ritmi sincopati, canti popolari locali e una solida intesa con il palcoscenico hanno dimostrato un lavoro di cesello con gli strumentisti e con le voci garantendo la riuscita di una non semplice quadra del cerchio.
Il pubblico, anche se non molto numeroso, si è rivelato entusiasta e plaudente.

Recita del 29 marzo 2024
Cambia la triade dei protagonisti con risultati altrettanto encomiabili.
Oksana Dyka rappresenta sotto ogni punto di vista una Minnie di riferimento sia per presenza scenica che per interpretazione vocale: il suo è un canto sempre a fuoco, nitido, cristallino e deciso. Le note impervie affrontate con facile sicurezza sono condite di un volume notevole ma sempre ben dosato e le sfumature più “romantiche” profumano di leggiadro candore. Le physique du rôle è indiscusso.
La voce di Amadi Lagha è prestata questa sera al bandito Ramerrez: il bellissimo timbro, la facilità negli acuti e l’eleganza del fraseggio incastonano un Dick Johnson di tutto rispetto. L’aria del terzo atto, eseguita con colori appropriati e fraseggio accurato, diventa una piccola perla incastonata in una felicissima serata.
Anche il baritono Massimo Cavalletti si cimenta in una prova maiuscola nei panni dello sceriffo Jack Rance riuscendo come il suo collega della sera precedente a non trasformare il personaggio in un truce individuo, restituendo con un canto misurato ma efficace le complesse dinamiche del suo carattere.
Poco pubblico anche questa sera, ma festosamente riconoscente verso il palcoscenico.
Mi permetto una chiosa non mia su La fanciulla del West con alcuni flash tratti da documenti dell’epoca - lettere, recensioni, aneddoti - proprio per far immergere il lettore in questo mondo fantastico nel quale Puccini ha voluto, a mio avviso, riassumere tanto del suo passato compositivo ed al contempo farci partecipi di quello che sarebbe diventato il suo “domani” sulla carta pentagrammata con anticipi che troveremo nelle sue composizioni successive: da Rondine a Turandot, passando per il Trittico.

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Fanciulla: La Gestazione
«Ci siamo! La Girl promette di diventare una seconda Bohème, ma più forte, già ardita, più ampia. Ho linea di uno scenario grandioso, una spianata nella grande foresta californiana cogli alberi colossali, ma occorrono 8 o 10 cavalli-comparse. Zangarini adesso è all’incubazione, speriamo che si sbottoni bene…» (Lettera a Giulio Ricordi, 26 agosto 1907).
«Leggo la Fanciulla e trovo che Zangarini ha fatto bene: certo bisognerà correggere qualche punto scenico e letterario, ed io farò in margine le mie osservazioni. Già pregusto il momento in cui finalmente mi metterò al lavoro, mai come ora ho avuto la febbre!...» (Lettera a Giulio Ricordi, 2 febbraio 1908).
«Ieri mi è capitato qui Zangarini, animato a parole ma niente di concreto - mi portò una parte di tela del 3° - fatta sui mie dettami ma niente di ben visto né di teatrale come espressioni - e io gli ho gliel’ho detto chiaro e tonto che non era riuscito perché non sentito - e sono convinto che quest’uomo non sente per niente il teatro - non una trovata, non una scena anche la più semplice e ben delineata.» (Lettera a Giulio Ricordi, 29 aprile 1908).
«Quei librettisti sono un disastro. Uno è scomparso e l’altro non risponde neppure alle mie lettere! … questo primo atto è lungo, pieno di dettagli che sono di un mediocre interesse! Io avrei bisogno di uni qui per me, che con coscienza mi servisse… si può fare? Io sono scoraggiato perché vorrei tagliare, tagliare ma con ordine e colleganza, e da me non posso.» (Lettera a Giulio Ricordi, 11 luglio 1908).
«L’opera è finita! Ho fatto un po’ di taglio e ho levato delle cose carine nel libretto, ma inutili, a mezzanotte, e creda che così c’è tal al commozione, il quadro e la bella conclusione di un lavoro che non è di mola piccola.» (Lettera a Giulio Ricordi, 28 luglio 1910).

Fanciulla: La critica
Nel mettere in musica questo dramma, Puccini ha intrapreso un compito che non molti anni fa sarebbe stato ritenuto impossibile e quasi una contraddizione in termini di ciò che il dramma lirico potrebbe e dovrebbe essere. Ma i compositori italiani, dei quali Puccini sta senza dubbio alla testa, hanno sviluppato una tecnica e un tratta-mento che può essere applicato a questo dramma e ad altri simili… Nell’orchestrazione non vi è l’intessersi di un’ampia trama di sviluppo tematico; la musica deve inseguire l’azione e cercare di tenere il passo col dialogo. Nella musica che ha composto vi è una forte nota personale e nessuno potrebbe accusarla di essere di Debussy. Eppure c’è da domandarsi se uno che conosceva il compositore soltanto attraverso La bohème lo riconoscerebbe in questa nuova opera, tanto egli è andato lontano in tredici anni. (The New York Times, 11 1910)
Sono senza dubbio degli americani latinizzati quelli che Puccini ci mostra; tuttavia è piuttosto sconcertante per chi ricerca la verità drammatica vedere una scena piena di minatori in camicia rossa. In atteggiamento di lacrimoso abbandono sotto un albero, o piangenti uno sulla spalla dell’altro… Vi è certamente nell’opera molta musica bella e suggestiva, che sinceramente piace e deve essere lodata, Ma, ad esser proprio sinceri, in complesso c’è troppo Debussy per chiunque conosca la tipica capacità d’espressione di Puccini. (Harper’s Weekly, 17 dicembre 1910).
In tutta l'opera non vi è neppure uno di quei motivi sconvolgenti, ampi, sensuali che hanno reso famose La Bohème, Tosca e Madama Butterfly. L'orchestrazione, ricca e variata, rivela una grande abilità tecnica ma in questa direzione - la direzione presa da Berlioz e Richard Strauss - il successo della musica lirica non mente. Saremo molto sorpresi se la Fanciulla del West avrà successo in un qualsiasi paese d’Europa. (The Nation).
Ed infine l’opinione di Primo Levi allorché ascoltò l’opera alla prima europea nel 1911 a Roma, Teatro Costanzi: L’esagerazione delle voci e ancor più degli istrumenti, è in troppi punti di questa Fanciulla tale e tanta da dar l’impressione che il maestro abbia voluto porre in scena, non già così umili personaggi, in casi che, dopo tutto, non riguardano che essi, ma figure ed eventi d’importanza mondiale, leggendari o storici; e l’orecchio, il pensiero, più che fermarsi a Minnie, a Rance, a Dick e alla sorte loro, ricorre volentieri a qualche catastrofe, a qualche figura da cui sia dipesa la causa del mondo: Alessandro, Giulio Cesare, Napoleone, Waterloo, Cannes, il terremoto di San Francisco, il diluvio universale, tanto, inavvertitamente, sentiva il maestro di dover forzare la nota per produrre quell’effetto che, tenuta la misura, sarebbe mancato.

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Fanciulla: il debutto lucchese
«L'orchestra è degna dei più grandi maestri ed è composta di 70 professori, e non si è mai avuta a Lucca. È di una fusione unica. È uno spettacolo per se stessa. Abbiamo moltissimi professori forestieri ma abbiamo anche dei nostri che siedono in orchestra e fra questi notiamo il Prof. Nuti violino di spalla con dei suoi allievi. Del Maestro Direttore e concertatore cav. Tullio Serafin non v'è bisogno di parlarne. Egli è ben noto all'arte come un eccellente Maestro e dovunque ha ottenuto colossali successi.» (Dal periodico lucchese L'Esare, sulla “Prima” di Fanciulla).
«Allorché alle 20 e 30 il maestro cav. Tullio Serafin sale allo scanno direttoriale lo saluta un lungo applauso cui segue un silenzio profondo di attesa. E subito piace l'introduzione geniale di alcune rapidissime battute, mentre dietro la scena si odono i cori dei minatori, i cercatori d'oro.Nella strumentazione di questa nuova opera il maestro Puccini pure uscendo dall'usuale della sua melodia e ispirandosi ad altri principii, ha confermato sempre maggiormente la sua fibra gagliarda e geniale di musicista e ha mantenuto spiccata la sua personalità artistica. Ad un primo generale applauso è trascinata la massa degli uditori quando un cantastorie girovago, Jake Wallace, il menestrello del campo, canta la mesta "Canzone della Nostalgia": Che faranno i vecchi miei... Pagina di musica questa veramente pucciniana per la genialità del sentimento gentile e per la forbita eleganza della forma. L'applauso entusiastico e commosso dell'uditorio chiede il bis che non è concesso e chiama due volte al proscenio il maestro Puccini salutandolo calorosamente. Ma gli applausi si ripetono maggiormente prolungati e frenetici dopo l'ultimo duetto fra Johnson e Minnie, una patetica scena d'amore che pone fine al primo atto. Il pubblico in piedi chiama all'onore della ribalta il maestro Puccini che deve presentarsi per cinque volte insieme agli artisti e al Direttore d'orchestra. L'attenzione del pubblico aumenta sempre più al secondo atto, dove la strumentazione assurge a maggiore potenzialità e dove scene di potentissimo effetto drammatico si susseguono. Alla fine dell'atto il maestro Puccini e gli artisti sono chiamati per sei volte al proscenio. Al terzo atto il successo si fa sempre maggiore: l'efficacia rappresentativa, e la potenzialità della musica tengono ormai incatenata l'attenzione dell'uditorio numerosissimo. Viene applaudita calorosamente la romanza del tenore, Johnson, che fa viva preghiera ai minatori di non fare sapere niente a Minnie della sua morte. Ed un'unanime ovazione finale accoglie la fine dell'atto.
Per sette volte il maestro Puccini deve presentarsi alla ribalta, in mezzo a entusiastici applausi del pubblico tutto in piedi: applausi che si ripetono all'uscita dal teatro quando l'illustre Maestro parte colla sua gentile signora alla volta di Torre del Lago. Prima di partire il maestro Puccini espresse agli amici il suo più vivo compiacimento per l'accoglienza fatta dai suoi concittadini al suo nuovo lavoro, accoglienza che viene così a confermare i successi trionfali di New York, di Londra, di Roma e di Brescia. Completa in ogni sua parte e davvero eccellente fu l'esecuzione del lavoro. La massa orchestrale composta di 70 professori e diretta dal maestro cav. Tullio Serafin, il valoroso e ben noto Direttore della Scala di Milano, ridotta alla perfetta fusione di tutti gli elementi, ci fece gustare anche nei minori particolari l'opera pucciniana. Ottimi e sicuri i cori sotto l'abile direzione dei maestri Pietro Nepoti e Luigi Pietrasanta. Fra gli artisti la brava signora Ernestina Poli-Randaccio fu un'abilissima e fedele interprete di Minnie: abilità di scena, dolcezza ed estensione di voce furono suoi meriti preclari e valsero a procurarle gli applausi vivissimi e ripetuti del pubblico, e a confermarle i successi ottenuti nei principali teatri d'Italia e dell'estero. È facile preconizzare quale brillante carriera artistica sia riservata alla signora Randaccio. E degni compagni d'arte le furono il tenore cav. Giuseppe Taccani e il baritono cav. Oreste Benedetti, che seppero farsi meritamente apprezzare per l'efficacia scenica, per l'estensione di voce e per il metodo di canto. Il baritono cav, Benedetti uscì dal nostro Istituto Musicale Pacini ove fu allievo del maestro Angeloni, e di successo in successo è giunto ad occupare uno dei posti più eminenti nell'arte lirica. Applausi spontanei e ripetuti furono indirizzati a questi due esimi artisti. La mezza soprano signorina Nelda Garrone, a noi già nota per avere quattro anni fa, egregiamente interpretata la figura di Suzuhi nella Butterfly, per quanto avesse poca parte nel lavoro, si mostrò molto abile e fece assai bene la sua nenia come donna indiana. Il tenore Pini-Corsi, pure nostra conoscenza, interpretò abilmente la parte di Nick cameriere del Bar Indiano; ed artisti tutti di meriti preclari si mostrarono il giovanissimo Marcello Govoni, del quale si può fin d'ora concepire un brillante successo nell'arte; il basso Silvio Becocci, il baritono Francesco Federici, i baritoni Pietro Friggi, Lodovico Olivero, Antonio Conforti, Gino De Vecchi, il tenore Aristide Masiero, il tenore Adrasdo Simonti, e il baritono Alfredo Benedetti. Nel complesso un assieme mai visto sulle scene del nostro comunale e veramente degno delle nostre gloriose tradizioni musicali. Alla Commissione cittadina che niente ha trascurato per l'ottima riuscita del lavoro, e all'Amministrazione comunale che ha fatto del suo meglio per coadiuvarla i nostri rallegramenti. Le rappresentazioni successive di mercoledì e giovedì confermarono maggiormente il successo del lavoro e l'abilità degli artisti
 (Dal periodico Il progresso, settembre 1911).

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Crediti fotografici: Daniele Ratti per il Teatro Regio di Torino






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