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I lavori di Fiorenzo Carpi e di Béla Bartók chiudono nel segno del Novecento la stagione del Verdi |
Il dittico delle Porte |
servizio di Rossana Poletti |
Pubblicato il 16 Giugno 2024 |
TRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. Si conclude con un dittico la stagione lirica del Teatro Verdi: in scena La Porta divisoria di Fiorenzo Carpi e Il Castello del Duca Barbablù di Béla Bartók. Di La Porta divisoria le notizie sono legate ai documenti conservati nell’Archivio del Piccolo Teatro di Milano, perché all’opera è legata la figura del triestino Giorgio Strehler quale librettista. Anzi a questo atto unico sono legati due personaggi della città giuliana, Viktor de Sabata, che commissionò l’opera quando fu direttore artistico della Scala di Milano e il noto regista del Piccolo, che nonostante avesse abbandonato la città all’età di sei anni, mantenne per tutta la vita la cadenza del dialetto triestino. Fiorenzo Carpi non concluse mai l’opera, dei cinque quadri previsti ne compose quattro, lasciando così incompiuto il lavoro. Le motivazioni portate a spiegazione del fatto sono varie, ma visto lo spettacolo convincono molto le affermazioni di Alessandro Solbiati che, nel metter mano alla composizione del finale, ha osservato che probabilmente Carpi fu ostacolato dal testo di Strehler, «... che però ho parzialmente rivisitato - scrive - eliminando alcune formule che appaiono datate, un poco prolisse e più adatte ad un ‘teatro di parola’ cui Strehler era certo più avvezzo, che non al teatro musicale, soprattutto di oggi.» Gli artisti cantano poco, declamano, recitano sulla musica, vera singolarità; Gregorio, il protagonista, si affaccia ad uno dei palchetti del teatro e si esprime distante dalla scena. L’opera si ispira alla Metamorfosi di Kafka, è indubbiamente un omaggio al grande scrittore praghese, ma se ne discosta per un fatto innegabile nella messinscena. Lo scarafaggio, in cui Gregorio si tramuta improvvisamente, non viene mai mostrato al pubblico. Lo vedono i familiari, le cameriere e gli ospiti, ne rappresentano l’orrore, ma mai si vedrà l’animale che invece lo scrittore descrive con minuzia. Franz Kafka aveva vissuto per un breve periodo, impiegato alle Assicurazioni Generali di Trieste, al tempo facente parte dell’Impero Austro-Ungarico, fu proprio questa sua presenza nella sua città natale a convincere Strehler a sceglierne il lavoro più noto, del Gregor Samsa, divenuto scarafaggio, ma nell’intimo ancora un uomo che non riesce più a comunicare con il mondo.
   
La scena di Andrea Stanisci è l’interno piccolo borghese, ambiente considerato luogo di emarginazione, gretto e conformista, secondo il pensiero dominante degli anni Cinquanta, più che elemento di incomunicabilità, più vicino al mondo di Kafka. Un velo divide la scena dal pubblico, velo su cui si apre una porta, che deve rimanere chiusa e Gregorio non deve varcarla. Ma accadrà proprio questo e sarà la sua fine. Gregorio è Davide Romeo, suo padre è Alfonso Michele Ciulla, la madre è Simone van Seumeren, la sorella è Antonia Salzano, il gerente di Gregorio è Davide Peroni e poi ancora i pensionanti Oronzo D’Urso e Giordano Farina, le domestiche Federica Tuccillo e Claudia Floris. Dirige l’Orchestra del Verdi il maestro Marco Angius, la regia è di Giorgio Bongiovanni. Le luci di Eva Bruno danno vitalità allo spettacolo e alla musica di Carpi e Solbiati che racconta di un Novecento difficile, doloroso e inquieto. Il pubblico ha applaudito l’allestimento del 2022 del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, unica volta in cui è stato possibile vedere l’opera, oltre a Trieste, perché mai andata in scena precedentemente.

Il secondo atto unico è dedicato al famoso Barbablù, la cui leggenda si snoda con molte varianti da secoli. Le opere liriche, tra cui quella famosissima di Debussy del 1902, ma anche le operette di Offenbach e Suppè, differiscono dalla scelta di Béla Bartók e del librettista Béla Balász nel raccontare la leggenda del crudele duca. I due trasformano Barbablù in un mostro buono. Henning Brockhaus, regista dello spettacolo, lo definisce un mondo di emozioni senza logica, surreale: «Barbablù parla di torture che non vengono fatte, orrori che non si vedono, donne che si credono morte e che a sorpresa poi sono vive. Il mostro buono le ammazza metaforicamente, è uno che ha finito con la vita.» Nel suo saggio Enrico Giraldi scrive: «... Tutto ciò - organizzazione strutturale, linguaggio musicale piegato alla descrizione dei contenuti simbolici - conferisce all’opera di Bartók un grado altissimo di teatralità ma non spiega perché il compositore magiaro fosse stato così attratto dal soggetto propostogli da Balász. Certo è soggetto attualissimo in quegli anni di vivo, profondo interesse per l’animo umano e per la passione e le perversioni che lo percorrono. Tra le diverse interpretazioni possibili della vicenda di Barbabù, oltre all’omosessualità e all’impotenza, sembra suggestiva quella che motiva il desiderio di lasciare una distanza tra sé e il proprio completamento femminile.» I costumi di Giancarlo Colis sono stupefacenti, i quattro colori delle donne, tenui e pastello quelli di coloro che rappresentano l’alba, il mezzogiorno e la sera, infuocato di rosso della protagonista Judith, che diventerà al fine la donna della notte, con tutti i sottintesi che si possono immaginare. Il Duca veste un cappotto di pelle, che sottolinea il suo tetro personaggio, anche imponente nella fisicità. Le scene rappresentano il castello dell’orrore, così come la musica lo descrive: i fasci di luce, le proiezioni, le immagini, il sangue che cola dalle pareti, l’acqua che scende, i diamanti e i suoni di fondo prodotti dall’orchestra, in un insieme di drammaticità incalzante. Il Duca di Andrea Silvestrelli e Judith interpretata da Isabel De Paoli sono straordinari, le loro vocalità sono calzanti per le parti che sono chiamati a evocare, lui rude ma non brutale, lei passionale e curiosa. Non aprire le sette porte, chiede il Duca, ma la donna andrà fino in fondo. Ogni porta aperta è uno sviluppo musicale a se stante, dalla sala delle torture a quella degli orrori, ma anche dei fiori e del tesoro, fino all’ultima in cui sono rinchiuse le donne della vita del mostro, a cui Judith, volente o nolente a quel punto si aggiungerà.

Al mesto inizio segue un crescendo che vede un rinforzo di fiati fuori della buca, la musica non finisce mai di essere drammatica e inquietante. Anche qui direttore è il maestro Marco Angius, che esalta pienamente, con un’orchestra in grande forma, l’opera di Béla Bartók. Apre l’atto unico la presenza in scena di un bardo, interpretato da Maurizio Zacchigna: «... ahi, storie segrete, dove, dove trovarle? C’era una volta: dentro o fuori? Antica storia che significherà, uomini e donne?...» Il pubblico applaude alla fine convintamente i due interpreti, ma anche l’impianto complessivo dello spettacolo. (la recensione si riferisce alla recita di venerdì 14 giugno 2024)
Crediti fotografici: Fabio Parenzan, Ludovica Gelpi e Riccardo Spinella per il Teatro Verdi di Trieste Nella miniatura in alto: il direttore Marco Angius Sotto, in sequenza: immagini da La Porta divisoria di Fiorenzo Carpi Al centro e sotto: Isabel De Paoli (Judith) e Andrea Silvestrelli (il Duca) nell'opera di Béla Bartók
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L'elisir col bis della lagrima
intervento di Athos Tromboni FREE
ROVIGO - La provincia, si dice, potrebbe salvare il mondo dell'Opera. E riproporre il ritorno ad una teatralizzazione del genere fuori da psicodrammi inventati e fughe oniristiche dentro la provocazione, ridonando alla drammaturgia di un genere da museo (l'Opera, appunto, genere da museo ma vivente e vivace) la propria incontestabile significanza. La provincia, si dice, rappresenta la stragrande maggioranza del popolo dei melomani - chi considerasse dispregiativo questo sostantivo (melomani), oppure termine offensivo, o anche attributo di una categoria di "care salme" invaghite di acuti svettanti oltre il do di petto, è preda di sussieghi irritanti - e per questa verità statistica si può dire che la provincia è il campione rappresentativo dell'universo: se ciò è vero (ed è vero), il Teatro Sociale di Rovigo o il Luglio Musicale Trapanese, così come il Teatro Sociale di Como o il Teatro Pergolesi di Jesi, e tanti altri piccoli teatri, analizzati nella reazione del pubblico ad un allestimento operistico, valgono quanto i grandi templi della lirica italiani e stranieri
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Personaggi
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Parla Leone Magiera
redatto da Athos Tromboni FREE
FERRARA - Quasi duecento giovani cantanti lirici provenienti da tutto il mondo stanno partecipando, in più giorni, alle audizioni presso il Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara per le nuove produzioni liriche rossiniane di La Cenerentola e Il barbiere di Siviglia, in programma nelle prossime stagioni d'Opera del teatro ferrarese. Vogliono mettere
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Opera dall Estero
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Cosė fan tutte alti e bassi
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Classica
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Saccon Génot ritorno a Ferrara
servizio di Athos Tromboni FREE
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Opera dal Nord-Ovest
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Opera dal Nord-Ovest
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Conti Cavuoto Santini il trio
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Ferrara e Vivaldi connubio in musica
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È il quarto anno consecutivo che il maestro Federico Maria Sardelli è presente nel cartellone musicale del Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Questa volta ha proposto al pubblico estense una Serenata a tre che è praticamente una pagina dimenticata del catalogo del "Prete Rosso". Sardelli è direttore d'orchestra, compositore,
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GENOVA - La domenica mattina può trasformarsi in un’oasi di rigenerazione, un momento in cui ricaricare le energie prima di affrontare una nuova settimana. Così è stato domenica 9 marzo 2025, quando il Primo Foyer del Teatro Carlo Felice di Genova ha accolto il pubblico per un raffinato appuntamento di musica da camera dal titolo
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FERRARA - Se a un gruppo di ottime musiciste si unisce una straordinaria violinista, il gioco è fatto: Jordi Savall, il direttore filologo specialista nella musica antica, non lesina mai sorprese (ogni volta che l'abbiamo ascoltato a Ferrara e in altri teatri o festival d'altre città, è sempre stato... sorprendente) anche stavolta non ha mancato di stupire:
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Bologna Festival programmi divulgativi
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BOLOGNA - Presentato oggi nelle sale più bohèmienne che rustiche della Birreria Popolare della città felsinea il programma divulgativo di Bologna Festival, titolare anche del prestigioso calendario che va sotto il nome «Libera la musica» (i concerti di questa sezione del Festival fanno perno sulla presenza di "Grandi interpreti" che per il 2025 vedranno
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FIRENZE - Il Rigoletto messo in scena da Davide Livermore al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino prende vita in un contesto scenico marcato da toni goliardici e, in alcuni momenti, quasi orgiastici. Al centro della scena, un letto monumentale diventa il fulcro attorno al quale si muove il Duca di Mantova, circondato da donne seminude che lo venerano,
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Ballo and Bello
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