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Il racconto del regista Fornari per l'opera |
Morire di Bohčme č un gioco |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 16 Aprile 2024 |
GENOVA - Si rimane a bocca aperta entrando nella sala del Teatro Carlo Felice di Genova in attesa di assistere alla rappresentazione de La Bohème di Giacomo Puccini: il pannello che rimpiazza il sipario ci offre un’anticipazione visiva di quello che saranno i quattro quadri dell’opera. Lo stile è quello inconfondibile di Francesco Musante (autore di scene e costumi) che con colori vivaci e sgargianti delinea i personaggi dell’originario dramma di Henri Murger da cui Giuseppe Giacosa e Luigi Illica hanno tratto queste memorabili pagine librettistiche. Per il narratore visivo Augusto Fornari (regista) tutto sembra uscito da un libro di favole per bambini, di fronte al quale il “lettore” non può non provare stupore e magnificenza. Non vi è separazione di toni tra il secondo e terzo quadro quando la spensieratezza muta in dramma: nella cupezza della Barrière d’Enfer come nella soffitta del finale quel guizzo colorato e clownesco non lascia mai il posto all’epilogo triste e funesto. È come se il desiderio di sfida e di riscatto nei confronti del destino aleggi nelle intenzioni del regista. Tutto sembra armonizzarsi con la musica, soprattutto nel finale: quei guizzi di colore sembrano rappresentare la “speranza” cantata dal poeta Rodolfo nel primo quadro che avrà il sopravvento persino sull'urlo straziante per la morte di Mimì, aprendo le porte ad un domani che ognuno può immaginare seguendo il suo cuore e le sue emozioni. Il momento più stupefacente e geniale è il passaggio tra il primo ed il secondo quadro, allorché magicamente, per mano di un attore che ruota la chiave di un carillon, l’umile e fredda soffitta dei quattro giovani si trasforma nelle stanze del Café Momus e l’allegria festante della vigilia di Natale parigina pervade il teatro.
  
 
La chiave di lettura è espressa dallo stesso regista nelle sue note: «… ed è con stupore che m’è parso di ritrovare nei meccanismi drammatici del capolavoro pucciniano il “Gioco” come elemento propulsore della storia. Il “Gioco” quello serio, con la G maiuscola, quello dei bambini, quello che va fino in fondo, che irride la fame, il freddo, la povertà, la ricchezza, la borghesia, gli schemi sociali, quello che vorrebbe sgambettare anche la morte. Rodolfo e compagnia non fanno altro che “prendersi gioco” di tutto con una leggerezza e una distanza, come fossero consapevoli di essere personaggi da romanzo, da opera lirica. E insieme a loro, gioca il gran burattinaio Puccini che, con grazia di sublime regista, gli fa conoscere l’amore subitaneo e fragile, li conduce nelle strade, nei caffè, che diventano parco giochi pieni di balocchi, frittelle e donne frivole. E gioca, Puccini, con le situazioni e sovrappone struggenti duetti d’amore a contrasti da opera buffa, quasi a voler ricordare a sé stesso e ai suoi protagonisti di non prendersi troppo sul serio.» Sono dell’avviso La Bohème sia una storia di morte sin dal prime battute, anche se questo allestimento ci porterebbe a pensare ad altro, ma qui tutto è pervaso oltre che dal “gioco fornaresco” anche dalla necessità di esorcizzare, grazie ad esso, un futuro che per Mimì - e forse anche per gli altri - non esisterà mai. La musica fa il resto ed il M° Francesco Ivan Ciampa sa accordarsi perfettamente alla partitura mettendo in evidenza i molteplici aspetti drammaturgici; da uomo coerente con i suoi pensieri ha messo eccellentemente in pratica le sue parole: «… lui (Puccini, ndr) ha celebrato tutti noi per l’intera sua vita. Ci ha raccontati, ci ha dipinti in palcoscenico, ha colto le corde più intime delle nostre anime e le ha sublimate con la musica. Celebrare veramente Puccini non è solo eseguire le sue opere, ma ricordarsi di vivere la vita, emozionarsi, amare…»



Ed è proprio così: le intenzioni, i respiri e persino i silenzi sono diventati musica per vivere, emozionarsi ed amare la vita. Ha intessuto con gli artisti un dialogo amoroso e le agogiche interpretative si sono trasformate in poesia che trasudano amore, passione, gelosia, tristezza e lutto. Un cast eccellente ha animato di professionalità e bravura una cornice già preziosa di suo. Anastasia Bartoli incarna una convincente Mimì sempre meno stereotipata rispetto alle interpretazioni dai sapori apatici e succubi del fato; diventa quindi espressione di una giovane dal carattere forte, energico, ma che nell’apice del sentimento amoroso sa trasmettere le emozioni in maniera struggente. L’attacco “… ma quando vien lo sgelo” vale tutta l’opera: nessun uomo potrebbe resistere a tal genuina sensualità.



Musetta prende vita in tutte le sue molteplici sfaccettature con il soprano genovese Benedetta Torre che restituisce un personaggio mai volgare o calcato nelle accezioni più negative esaltandone una femminilità misurata, ma arguta; la voce completa l’opera con un canto morbido, ficcante e a tratti civettuolo, ma sempre denso di raffinatezza e perfettamente a fuoco. Una rivelazione del pomeriggio musicale è stata l’ascolto del tenore Galeano Salas (Rodolfo), di cui ho potuto apprezzare dizione ineccepibile, varietà di colori e intenzioni, nitore invidiabile e grande facilità negli acuti che sono risultati sempre ben centrati. Il finale del primo quadro con Mimì è stato da brividi. Già ascoltato a Lucca nel medesimo ruolo, confermo le ottime impressioni del baritono Alessio Arduini nei panni di Marcello; ha tradotto con elegante ars scenica e vocalità morbida, pungente e a tratti sprezzante, le variopinte emozioni del personaggio. Note di pregio per il Colline di Gabriele Sagona che non ha faticato a farsi apprezzare nella celeberrima “Vecchia zimarra”, senza dimenticarsi di rimarcare negli altri quadri, il carattere ironico che lo caratterizza. A completamento della “quadriglia” della soffitta la prova di Pablo Ruiz come Schaunard non è passata inosservata, per encomiabile impegno vocale e attoriale. Sono da ricordare con merito Claudio Ottino - goffo, ma esilarante Benoît - e Matteo Peirone che ha fatto del personaggio di Alcindoro uno dei suoi cavalli di battaglia; anche questa volta non si è smentito ed è stato un gioiello di questo pomeriggio all'opera. Completano la formazione canora Giampiero De Paoli (Parpignol), Claudio Isoardi (Un venditore ambulante), Franco Rios Castro (Sergente), Loris Purpura (Doganiere). Ottimi i mimi Samuele Maragliano e Davide Rimucci oltre ad una folta schiera di bravissimi figuranti. Note positive per il contributo del Coro diretto dal M° Claudio Marino Moretti come pure per quello delle Voci Bianche diretto dal M° Gino Tanasini. Sala gremita e festante. (La recensione si riferisce alla recita di Domenica 14 aprile 2024)
Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il soprano Anastasia Bartoli (Mimì) Sotto in sequenza: Galeano Salas (Rodolfo); Anastasia Bartoli; Alessio Arduini (Marcello); ancora Alessio Arduini con Benedetta Torre (Musetta); Galeano Salas, Claudio Ottino (Benoît), Pablo Ruiz (Schaunard) e Gabriele Sagona (Colline) Al centro in sequenza: scene dalla soffitta (primo quadro) e al Caffé Momus (secondo quadro); "Che gelida manina"; "Quando me'n vo' sola sola soletta" In fondo in sequenza: scena alla Barriere d'Enfer (terzo quadro); ultimi attimi di vita e morte di Mimì (quarto quadro)
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