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Nel Teatro Carlo Felice l'opera pių rappresentata di Nino Rota miete un successo formidabile |
Gustavo e il Cappello di Paglia |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 16 Dicembre 2024 |
GENOVA - La magia si è realizzata. La macchina narrativa, precisa come un cronografo di alta classe, ha funzionato senza alcun intoppo. Il palco ha vibrato di energia, grazie a un cast affiatato che ha danzato con grazia tra battute e situazioni surreali. Il pubblico del Teatro Carlo Felice ha apprezzato ogni attimo, immergendosi nella visione e nell’ascolto di Il cappello di paglia di Firenze, un’opera nata dalla genialità creativa di Nino Rota. Nell’allestimento genovese, la regia di Damiano Michieletto ha cucito lo spettacolo con il filo della raffinatezza, facendo della precisione il proprio mantra. Nessuna forzatura, nessuna gag troppo calcata: i personaggi sbocciano sulla scena - curata da Paolo Fantin - con naturalezza, lasciando emergere le loro eccentricità con garbo e misura. La scenografia, essenziale quanto geniale, sfrutta ogni centimetro di palco, mentre un sapiente gioco di luci ideate da Luciano Novelli, aggiunge profondità e movimento alla piattaforma girevole. La scatola bianca al centro della scena è una creatura camaleontica. Le pareti lucide, tempestate di porte che si aprono e chiudono come in un congegno segreto, ruotano e si trasformano senza sosta. Un attimo è la casa di Fadinard, sobria ed elegante nei toni panna e beige. Un secondo dopo diventa una bottega vivace, dove giovani sarte in abiti blu cinguettano al ritmo del cucire frenetico – vola, vola l’ago come se non avesse freni. Poi, d’improvviso, appaiono le strade di Parigi o la dimora della baronessa di Champigny con un divano rosso fiammante che sembra uscito da un film di felliniana memoria.
   
   
Il libretto, scritto a quattro mani da Nino Rota e da sua madre Ernesta Rinaldi, prende spunto da una commedia francese di metà Ottocento e ci regala una sfilata di personaggi da manuale del vaudeville: la coppia di promessi sposi, il suocero brontolone, l’amante che scappa dalle finestre, il marito geloso che alla fine chiede scusa, la nobildonna con il suo entourage di paillettes e un cicisbeo con cagnolino al seguito. Tutto si incastra alla perfezione, con le porte che sbattono nei momenti giusti (o sbagliati) e la piattaforma girevole che cambia scena con una rapidità degna di un numero di magia. La scena non si ferma mai: i personaggi corrono, inseguono porte, attraversano strade e piazze parigine dall’aria retrò, con il piccolo albero di fiori d’arancio che perde foglie come un segnatempo strampalato. Nel frattempo, i cantanti si muovono con agilità, sfoderando una verve che non tradisce mai il fiato, regalando al pubblico non solo interpretazioni vocali di ottima fattura, ma anche una recitazione vibrante e ironica. E sopra tutto questo, c’è la musica, un mosaico che mescola Rossini, Verdi, Puccini, Chaikovskij e Offenbach, con sprazzi di jazz e accenni a Wagner. Ogni citazione è un gioco raffinato, ogni nota un omaggio che strizza l’occhio al pubblico; e più la partitura si fa seria, più il libretto sdrammatizza. Come dice lo stesso Damiano Michieletto: «... Ho accolto insieme allo scenografo Paolo Fantin la sfida che "Il cappello di paglia di Firenze" propone, quella di inventare una cifra che faccia convivere sia piccoli dettagli sia i grandi momenti di massa, creati dalla presenza del Coro, mantenendo un tono di leggerezza e fluidità costante nello scorrere dell’opera. C’è un oggetto che più di tutti, a mio avviso, rappresenta lo spirito del vaudeville ottocentesco: la porta. La porta come apertura e chiusura, nascondiglio o fuga di personaggi agitati, nervosi, spiazzati dall’imprevedibile. Le porte sono diventate quindi la sintesi del nostro spazio: un’astrazione mobile e continuamente rinnovata dal movimento della scena che si evolve senza pausa assecondando l’andamento circolare della vicenda.» Completavano la parte visiva i costumi variopinti di Silvia Aymonino. E la musica è stata esaltata all’ennesima potenza dal M° Giampaolo Bisanti che la realizza proprio come si evince da un pensiero scritto nel libretto di sala: «... il cappello di paglia di Firenze è un vero e proprio inno alla vita un invito a sorridere e a lasciarsi trasportare dalla leggerezza della comicità. La partitura di Marcello Rota è un autentico capolavoro, una piccola gemma musicale novecentesca! Un turbine di note che si intrecciano e si rincorrono, creando un tappeto musicale su cui si muovono i personaggi della commedia. La musica, che in alcuni momenti sembra quasi “danzare”, è capace di evocare una miriade di emozioni, dal divertimento più sfrenato alla malinconia più sottile, passando per momenti di grande lirismo che disegnano suggestioni molto evocative.» Giampaolo Bisanti ha diretto con un’energia travolgente e cura meticolosa, regalando una lettura che ha brillato per freschezza ed equilibrio. La sua bacchetta ha danzato con precisione, disegnando un percorso musicale che ha saputo bilanciare i passaggi più serrati con quelli più lirici e distesi. Il risultato è stato quello di un’esecuzione che, pur nelle sue complessità, ha mantenuto coesione e fluidità, trasformando le sfide tecniche in un piacere d’ascolto. L’orchestra del teatro genovese, d’altro canto, ha risposto con prontezza e sensibilità, restituendo ogni sfumatura della partitura con brillantezza e intensità. L’intesa tra la buca e il palcoscenico è stata impeccabile: voci e strumenti si sono rincorsi e abbracciati, in un dialogo continuo che ha reso ogni scena viva e pulsante. Le agogiche, curate nei minimi dettagli, hanno conferito dinamismo e colore, facendo emergere con eleganza ogni tema musicale. Il tutto si è tradotto complessivamente in un vero e proprio slancio di vitalità, capace di esaltare la scrittura orchestrale con una briosa leggerezza, senza mai perdere di vista la solidità dell’insieme.


Un encomio speciale va anche al Coro, che ha aggiunto una dimensione fondamentale all'intero spettacolo. Preparato e diretto dal M° Claudio Marino Moretti, si è distinto per precisione, intensità e coesione; ogni intervento vocale è stato impeccabile, esaltando l'atmosfera e contribuendo a creare quel perfetto equilibrio tra le voci soliste e la forza collettiva del gruppo. Un cast in stato di grazia ha dato vita a una recita indimenticabile, tra voci luminose e interpretazioni scoppiettanti che hanno tenuto il pubblico incollato alle poltrone con il sorriso sulle labbra. Nel ruolo del giovane e frenetico Fadinard, Marco Ciaponi ha brillato con un’esecuzione vivace e impeccabile. La sua voce, squillante e cristallina, ha delineato con precisione un personaggio che si muove con la leggerezza di un funambolo, destreggiandosi con disinvoltura tra acrobazie vocali e fisiche. Ogni frase cesellata con cura, ha restituito un soggetto sfaccettato e credibile sempre in equilibrio tra canto e azione, senza mai perdere smalto o brillantezza. Nicola Ulivieri ha vestito i panni di Nonancourt con irresistibile verve. La sua vocalità potente e scolpita ha incontrato una presenza scenica carismatica e istrionica. Conquista il pubblico con ogni smorfia, ogni gesto, costruendo un personaggio che non solo canta, ma domina il palco con naturale autorevolezza. Paolo Bordogna ha incantato con un doppio colpo da maestro: prima nei panni di Emilio (l’amante) altero e sdegnato, poi in quelli di un Beaupertuis (il cornuto) raffinato e intenso. La sua voce, piena e avvolgente, ha attraversato la sala con eleganza, raggiungendo l’apice nella frase "Un sospetto repente si desta in me"; in quel momento, ogni nota sembrava emergere dalle profondità emotive del personaggio in una fusione di canto e interpretazione che ha toccato corde profonde. Didier Pieri è uno Zio Vézinet irresistibile: la voce fresca e squillante, l’energia scenica contagiosa. Ogni ingresso in scena è stato una piccola esplosione di semplicioneria, impreziosendo l’insieme con carattere e ironia. Gianluca Moro ha dato vita a un Felice frizzante e spassoso, un domestico petulante ma irresistibile; la sua voce precisa e sempre ben proiettata ha aggiunto un tocco di colore a ogni battuta, rendendolo una presenza brillante. Blagoj Nacoski è passato con disinvoltura da un Achille di Rosalba grottesco e irresistibile con un colpo di scena esilarante quando il suo Visconte Achille è apparso in una versione glam da passerella – paillettes luccicanti, sguardo fiero e... guinzaglio alla mano. Ecco quindi spuntare Gustavo, il cagnolino di Nicola Ulivieri, che obbediente e fiero, ha sfilato accanto a Nacoski con la grazia di chi sa perfettamente di essere l’ospite d’onore della serata. Con passo regale Gustavo ha calcato il palcoscenico come se fosse nato per il teatro, scatenando risate e applausi. Da Visconte Achille a Una guardia il passo è stato breve e nel quarto atto lo abbiamo visto impegnato in questo nuovo ruolo. Franco Rios Castro ha completato il cast maschile con Un caporale delle Guardie di solidità vocale.


E a sorpresa, dai piani alti della platea, il violinista Federico Mazzucco – alias Minardi – ha catturato l’attenzione recitando la breve frase in genovese, aggiungendo un tocco locale e autentico alla serata. Anche il versante femminile ha brillato aggiungendo ulteriore vivacità all’intero allestimento. Benedetta Torre, nei panni di Elena, ha regalato un’interpretazione incandescente. La sua voce, precisa e vibrante, ha risuonato con calore, mentre la disinvoltura scenica ha reso il personaggio brioso e pieno di vitalità. Ogni frase, ogni sguardo ha dipinto una giovane sposa che, pur nel vortice degli eventi, non perde mai grazia e leggerezza e nemmeno quell’ilarità che non guasta mai. Giulia Bolcato ha vestito il ruolo della fedifraga Anaide con una deliziosa vis da svampita al punto giusto, catturando il pubblico con una comicità fresca e leggera e rivelando un perfetto equilibrio tra candore e ironia. Marika Colasanto, come La modista, ha messo in mostra non solo grande musicalità, ma anche una presenza scenica che ha fatto breccia. Sonia Ganassi, nei panni della Baronessa di Champigny, ha optato per un’interpretazione sontuosa e imponente, conquistando il pubblico con carisma e simpatia. Se vocalmente è mancato quel guizzo incisivo, la sua presenza scenica ha colmato ogni lacuna, giocando sulle corde della comicità con disinvoltura regale dominando la scena con una leggerezza che strappa facilmente il sorriso. Ed il pubblico? Scatenato, ovviamente con applausi a scena aperta, ovazioni, e battimani. Ma il vero vincitore della serata è stato lui: Gustavo. Sì, proprio Gustavo, il cagnolino di Nicola Ulivieri che ha deciso di rubare la scena a cantanti, registi e persino al direttore d’orchestra. E così, tra voci straordinarie ed una regia raffinata la vera sorpresa non è stata solo la brillante interpretazione dei protagonisti, ma anche questo piccolo, inaspettato trionfatore: il cagnolino Gustavo, che ha conquistato il centro del palco con un'energia e una grazia che hanno strappato applausi scroscianti. Con occhi dolci, scodinzolante e un'aria da "Ehi, anch'io ho lavorato!”, ha rapito i cuori degli spettatori, facendo sì che il suo momento di gloria fosse tanto meritato quanto inaspettato. (La recensione si riferisce alla recita del 15 dicembre 2024)
Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova Nella miniatura in alto: il cagnolino Gustavo il più applaudito in scena e a fine recita Sotto, in sequenza, i protagonisti e le scene di Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota andato in scena con meritato successo a Genova
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