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L'opera romantica per eccellenza di Giuseppe Verdi riallestita al Regio con le scene del 1913

Ballo in maschera di tradizione

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 14 Gennaio 2019

190114_Pr_00_BalloInMaschera_SaimirPirgu_phRobertoRicciPARMA - Quando si parla di Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi il pensiero prevalente nella mente dello studioso va alla gestazione travagliata di quell'opera; la rielaborazione/adattamento in versi italiani del Gustave III, ou Le Bal masqué di Eugène Scribe che andò in scena all'Opéra di Parigi il 27 febbraio 1883 con la musica di Daniel Auber fu subissata dalle richieste di modifica da parte della censura napoletana – la richiesta dell'opera fu fatta al compositore dall'impresario Vincenzo Torelli per il Teatro San Carlo di Napoli – che costrinsero il librettista e drammaturgo Antonio Somma a vagare più volte nel tempo e nello spazio per raccontare la vicenda storica di Gustavo III di Svezia, monarca illuminato e riformatore, contro il quale la più conservatrice aristocrazia ordisce una congiura nel 1792. Le difficoltà che scaturiscono dalla diatriba con la censura napoletana inducono il compositore a cambiare il luogo della prima rappresentazione: ed infatti il 17 febbraio 1859 Un ballo in maschera debutta al Teatro Apollo di Roma. Ebbene, sono passati centosessantanni ed il Teatro Regio di Parma ha scelto di inaugurare la Stagione lirica proprio con quel titolo che porta in sé a livello drammaturgico una serie di contrasti e può essere definita una delle opere più "melodrammatiche" del Cigno di Busseto; contrasti e contraddizioni che Verdi risolve con le voci e con le forme ritmiche e musicali che vivono in piena funzione drammaturgica; ne è un esempio l'ouverture che già da sola diventa il sommario della vicenda tra i pizzicati degli archi, la fuga della congiura ed il tema amoroso del protagonista. Vi sarebbe molto altro da dire, ma lascio al lettore la curiosità di spulciare tra i tanti saggi che sono stati scritti su quest'opera per scoprirne appieno tutte le sfaccettature.
La produzione parmense cui ho assistito la sera del 12 gennaio 2019 scorso può essere collocata nell'olimpo delle mie visioni di questo titolo ed i motivi sono numerosi.
Prevale innanzitutto la scoperta, nei magazzini del Teatro parmense, dello storico allestimento realizzato da Giuseppe Carmignani, in occasione del Centenario verdiano del 1913; le scene dipinte su carta tornano a rivivere dopo l’accurato lavoro di ripristino a cura di Rinaldo Rinaldi, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza; vividezza e contrasti di colori, luminosità, elegante senso della prospettiva, abbondanza di particolari sono solo alcuni degli elementi che hanno impreziosito questa rappresentazione. Su questo si innesta il lavoro registico di Marina Bianchi che non ha fatto altro che leggere il libretto e tradurlo sulla scena senza "manipolare" alcunché, anzi rendendo vivido ogni particolare che emerge dalle pagine del testo; la prevalenza dell'elemento pittorico ha provocato un'accurata scelta della gestione degli spazi scenici  curati da Leila Fteita con bravura ed intelligenza; più intima la scena di apertura, più ariose le altre.
In tono ed in tema con tutto il contorno anche i costumi di Lorena Marin che esaltano l'eleganza e lo stile del tempo rendendo la visione ancor più armonica e piacevole come pure le coreografie di Michele Cosentino che portano in sé il sapore di un tempo e ben eseguite dal Corpo di ballo Atermis Danza; infine non possiamo non elogiare l'illuminazione di Guido Levi che ha saputo valorizzare appieno ogni centimetro quadrato del palcoscenico e delle pitture. Suggestivo infine il video a cura di Stefano Cattini che si staglia sulla parete dietro il sipario durante l'Ouverture e ci permette di rivivere i momenti salienti della scoperta dei dipinti e del loro integrale recupero.
Riporto per piacere e sintonia con il mio, il pensiero della regista in merito a questa grande operazione di recupero storico: «La proposta del Teatro Regio di recuperare questo allestimento storico ha incontrato il mio amore per la memoria: si tratta di un’affascinante operazione che contiene il passato per proiettarlo, con tutta la sua sapienza teatrale, nell’oggi della tecnologia esasperata e dei volumi costruiti. C’è dunque una scenografia dipinta che racconta il teatro com’era, un contenitore che arriva dalla tradizione teatrale italiana più pura, e che mi ha spinto ad immaginare tutto il resto: mobili, oggetti, costumi, luci e movimenti scenici. Dal punto di vista drammaturgico siamo di fronte a una storia d’amore e di morte. Sullo sfondo congiure e feste, tra le quali si consuma il dramma dei due protagonisti maschili, Riccardo e Renato, e di Amelia, nobile d’animo, il cui confronto con Ulrica, signora delle forze oscure, strega e fattucchiera, guaritrice e sciamana, mi affascina particolarmente
E' d'uopo inoltre ricordare che l’opera, nel centenario della morte del direttore parmigiano Cleofonte Campanini, ideatore e finanziatore delle celebrazioni verdiane del 1913, è dedicata a Marcello Conati, insigne musicologo, studioso e ricercatore recentemente scomparso.

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Il M° Sebastiano Rolli ha guidato l'Orchestra Filarmonica Italiana e l'Orchestra Giovanile della Via Emilia con perentoria sicurezza cercando un costante dialogo con il palcoscenico riservando ad esso un gesto chiaro, nitido ed un suono che mai strabordasse a discapito delle voci; chiari e precisi sono stati gli accenti i contrasti e le discontinuità ritmiche che ingemmano la partitura, ma nonostante questo è risultato palese qualche scollamento soprattutto nella terza scena del terzo atto quando un incalzante disegno orchestrale si interseca con le voci del Coro del Teatro Regio di Parma; ensemble diretto e preparato dal M° Martino Faggiani che non ha mancato di far sentire la propria personalità con un gioco dinamico piuttosto raffinato e ben curato.
Il Riccardo di Saimir Pirgu è stato prodigo di finezze e nouances con cui ha amabilmente giocato per far emergere il carattere nobile ed “illuminato” del monarca; per questo artista siamo sull'onda di un cambio di repertorio ed il debutto in questo ruolo mette in mostra una grande potenzialità evolutiva; ho notato ancora qualche accento più "belcantista"  - se mi concedete la licenza - ma nei momenti in cui è stato d'obbligo non è mancata quella pregnanza vocale che fa ben presagire la bontà di un cammino intrapreso verso un repertorio più spinto.
Leon Kim si è discretamente impegnato per restituire un Renato tanto fraterno, quanto malvagio; la voce è salda e gli accenti fieri non fanno fatica ad emergere; qualche appunto in merito ad una dizione non perfettamente curata, ma note positive vengono però da un approccio scenico e caratteriale ben definito.
Note più dolenti per l'Amelia di Irina Churilova della quale non possiamo non elogiare una tempra vocale notevole; il timbro è abbastanza gradevole anche se ombreggiato da qualche ruvidezza, ma ciò che non mi ha convito è proprio la tecnica di emissione che mette in risalto nella prima ottava una debolezza di peso vocale ed in acuto una tendenza, soprattutto nella zona del passaggio, alla fissità di alcuni suoni che rendono l'ascolto non piacevolissimo; dubbia anche la capacità di gestire gli acuti in cui prevale sempre il forte anche quando non richiesto ed infine ho notato poca dimestichezza con le agilità - peraltro quasi assenti in questo ruolo - che fanno fatica a snocciolare la parola scenica con la necessaria dovizia.
Silvia Beltrami ha disegnato un’Ulrica, il personaggio più ambiguo dell'opera, con un piglio scenico di tutto rispetto; non siamo di fronte alla figura di una vecchia megera, bensì ad una maga piuttosto decisa e sicura di sé, che mette in luce anche un certo fascino ed una sorniona scaltrezza; la voce trova sempre i giusti accenti per mettere in risalto il testo di Antonio Somma e l'uso sapiente dei colori delinea un quadro sontuoso ed elegante, ma al contempo fluido e leggiadro.
Per Laura Giordano un addio al personaggio di Oscar debuttato quasi venti anni fa; esso è ancora fresco e spigliato grazie ad una vocalità duttile che può ancora permettersi incursioni in questi "lochi" che rispetto ad altri ruoli interpretati, rappresentano un passato e non certamente un futuro.

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Fabio Previati stupisce sempre per la bellezza e la maestosa della sua voce facendomi chiedere perché sia stato relegato ad ruolo di fianco come quello di Silvano.
Decisi, sicuri e torniti, il Tom ed il Samuel rispettivamente per voce di Emanuele Cordaro e Massimiliano Catellani; rotondità per il primo, qualche suono più appannato per il secondo, ma nell'insieme hanno delineato la coppia dei congiurati con vis piacevole ed ilare nel finale del secondo atto, per passare poi alla cupezza del terzo. Completava il cast con fare scenico vocalità sicuri il tenore Blagoj Nacoski nel doppio ruolo di Un giudice e Un servo di Amelia.
Pubblico freddo tendente al gelido per i primi due atti, più sciolto e caloroso al termine dell'opera quando ha manifestato il suo piacevole contento per tutti anche se qualche elogio in più, già dimostrato in precedenza, è stato rivolto al concittadino, il direttore Sebastiano Rolli.

Crediti fotografici: Roberto Ricci per il Teatro Regio di Parma
Nella miniatura in alto: il tenore Saimir Pirgu (Riccardo)
Sotto in sequenza: Silvia Beltrami (Ulrica); ancora Pirgu con Irina Churilova (Amelia); Leon Kim (Renato) con la Churilova; Laura Giordano (Oscar)
Al centro: scena del primo atto nell'antro di Ulrica
In fondo: panoramica sull'allestimento storico di Giuseppe Carmignani (1913), ripristinato da Rinaldo Rinaldi






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