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L'opera di Cilea firmata da Ivan Stefanutti ha incantato il pubblico del Teatro Carlo Felice

La Nizza una grande Adriana

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 16 Febbraio 2020

200216_Ge_00_AdrianaLecouvreur_AmarilliNizzaGENOVA - Il Teatro può essere fonte di vita, ma anche letale. Come scrive Angela Bosetto nell’eccellente saggio "Melpomene son io", dedicato ad Adrienne Lecouvreur e pubblicato (per gentile concessione della Fondazione Arena di Verona) sul programma di sala del Teatro Carlo Felice di Genova, «... per Adrienne il teatro è fatale in ogni senso. Recitando Fedra folgora l’uomo della sua vita, il Conte Maurizio di Sassonia (che le giura amore, ma di certo non eterna fedeltà) e si serve ancora della tragedia di Racine per accusare pubblicamente di sfrontatezza colei che punta a sostituirla nel cuore di Maurizio: Louise Henriette Françoise de Lorraine, Principessa di Turenne e Duchessa di Bouillon.»
Gli indizi ci sono quindi tutti per poter affrontare il racconto di un pomeriggio all’opera in compagnia della stupenda Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, proposto nel collaudatissimo allestimento firmato da Ivan Stefanutti (che, assistito da Filippo Tadolini, ne cura regia, scene e costumi) con luci di Paolo Mazzon e coreografie di Michele Cosentino. Una squadra inossidabile che confeziona uno spettacolo di estrema godibilità.
L’ambiente originario (la Parigi del 1730) è sostituito da un arredamento che ci riporta ai fulgori della Belle Époque e il tutto scorre in una elegiaca sontuosità mai pacchiana o sopra le righe, bensì elegante e frivolamente spigliata. Nel primo atto, il foyer della Comédie Française è un turbinio di festante emozione e si alterna con quanto accade sul palcoscenico. Il villino di campagna (il “nido” Grange-Batelière) del secondo atto è dominato da un’ampia vetrata, che separa il mondo esterno dall’intimità del salotto in cui la Buillon accoglie l’amato Maurizio. Qui luce e ombra si fanno quasi magia e il gioco illuminotecnico assume un fondamentalmente ruolo drammaturgico nel successivo duetto tra la Principessa e Adriana.
La struttura di base incornicia gli ultimi due atti, sempre più spogli perché sempre più concentrati sui personaggi e sulle loro interazioni. Ed arrivando al cast la gioia di scrivere e di raccontare si fa ancora più entusiasmante perché ho potuto assistere ad una recita di grande valore sia vocale che musicale.

200216_Ge_01_AdrianaLecouvreur_GiuseppinaPiunti200216_Ge_02_AdrianaLecouvreur_AntonioMastromarinoAmarilliNizza200216_Ge_03_AdrianaLecouvreur_FabioArmiliato
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Nel ruolo eponimo, il soprano Amarilli Nizza ha saputo declinare ogni frase, ogni motto, ogni intenzione, ogni respiro, al servizio della parola scenica; ha fatto emergere con estrema e affascinante naturalezza tutte le peculiarità di un personaggio complesso. Proprio la Nizza, che fu madrina di questo allestimento sin dalla nascita, regala momenti di sublime beatitudine: felicità, amore, passione, “amistà”, tenerezza, rabbia, gelosia e disperazione sono tradotte con grande istrionismo, permettendo allo spettatore di assaporare quasi l’emozione di ciascuna nota. La voce salda sa graffiare nelle veemenze della passione e accarezzare l’animo umano nei momenti più riflessivi e trasognati. Se nei primi tre atti ci ha inchiodato alla poltrona, nel quarto proprio dopo la frase “ma perché tanta scortesia”, seguita dalla romanza Poveri fiori, ha fatto sgorgare qualche lacrima di commozione anche sul mio viso.
Il mestiere ha fatto da scudo al tenore Fabio Armiliato, che, nei panni di Maurizio di Sassonia, ha portato a compimento la recita nonostante un’annunciata indisposizione (motivo per cui, mi astengo da qualsivoglia giudizio).
Anche il mezzosoprano Giuseppina Piunti non ha deluso nell’affrontare con grinta e sicumera l’impervio ruolo della Principessa di Bouillon. La sua ars scenica completava un’emissione elegante, fluida e signorile, in cui gli accenti scolpivano la parola, traducendo efficacemente ogni emozione e facendo del finale del secondo atto un duello tra tigri, sempre dominato da un gusto musicale sopraffino.
Il personaggio di Michonnet sta ad Alberto Mastromarino (sempre fine ed elegante nella parte) come il mare sta a Genova, quindi posso tranquillamente riproporre che quanto scrissi qualche qualche anno fa e proprio in merito allo stesso interprete nel medesimo ruolo: «... le emozioni del padre, i fremiti del desiderio e la riconoscenza dell’ammiratore dell’arte di Adriana si sono alternate nella sua interpretazione, con mirabile bellezza e fascino interpretativo; quasi da pianto è stata la grande pagina Ecco il monologo, in cui ogni accento e ogni parola sono state misurate da una navigata esperienza di palcoscenico... vera poesia.»
Nei panni dell’Abate di Chazeuil, il tenore Didier Pieri risolve in maniera egregia la parte, mettendo in luce una vocalità nitida e pulita, adagiata su una sicura intonazione scevra da qualsivoglia manierismo, bensì densa di impeccabile elegante scaltrezza.
Anche Federico Benetti quale Principe di Bouillon si atteggia con fare sicuro (nonostante la giovane età) nei panni del vecchio “cornuto” e conquista il pubblico grazie ad un’emissione sempre a fuoco dotata di luminosa proiezione e sfacciata scaltrezza.
Ben assortito e bilanciato il quartetto della Comédie Française: Marta Calcaterra (M.lle Jouvenot), e Carlotta Vichi (M.lle Dangeville) si sono messe in rilievo per una spigliata simpatia e vocalità puntuale, in perfetto accordo con Blagoj Nacoski (Poisson) e John Paul Huckle (Quinault), per i quali valgono le stesse parole di elogio.
Completava degnamente il cast vocale il tenore Claudio Isoardi nei panni di Un Maggiordomo.

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Encomio anche per i danzatori Michele Albano, Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi che hanno dato vita alle eleganti coreografie.
Il Coro della Fondazione genovese, preparato dal M° Francesco Aliberti, ha dato il suo ottimo contributo alla riuscita musicale dello spettacolo.
Sul podio, il M° Valerio Galli non si è fatto intimidire da una partitura complessa e densa di tante sfumature, anzi, ha saputo valorizzarle con un ritmo ben scandito, un’attenzione alle sonorità e un atteggiamento molto collaborativo con il palcoscenico. Enfatizzando ogni afflato del canto, ha incanalato la musica dalle oasi più intimistiche e trasognate a quelle più intense verso la catarsi finale che Cilea ci fa assaporare sin dalle prime note. Un Teatro Carlo Felice molto affollato ha tributato ovazioni a tutti gli interpreti.
(La recensione si riferisce allo spettacolo del 15 febbraio 2020).

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro Carlo Felice di Genova
Nella miniatura in alto: la brava protagonista Amarilli Nizza (Adriana Lecouvreur)
Sotto in sequenza: Giuseppina Piunti (Principessa di Bouillon); Alberto Mastromarino (Michonnet) con Amarilli Nizza; Fabio Armiliato (Maurizio di Sassonia)
Al centro: Fabio Armiliato con Amarilli Nizza
In fondo: Jon Paul Huckle (Quinault); Marta Calcaterra (M.lle Jouvenot); Blagoj Nacoski (Poisson); Carlotta Vichi (M.lle Dangeville)






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