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Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale ha presentato al Bonci il nuovo spettacolo di Langolf

How About Now non c'č danza

servizio di Edoardo Farina

Pubblicato il 24 Marzo 2024

20240324_Cesena_00_HowAboutNow_HannesLangolfCESENA - Prosegue il programma invernale al Teatro “Alessandro Bonci” di Cesena attraverso il cartellone che ERT Fondazione propone nel suo storico e prestigioso spazio ove l’8 marzo 2024 in prima assoluta e successivamente il 10 al Teatro Arena del Sole di Bologna, nell’ambito della rassegna Carne a cura di Michela Lucenti, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, è stato presentato How About Now, il nuovo spettacolo di Hannes Langolf prodotto da Moonwalking Bear Productions. Un lavoro a più mani che ha visto in scena lo stesso Langolf, autore della coreografia, regista e interprete, insieme al giovane performer Ed Mitchell, registra e drammaturgo Andrew Miur, sound design di Jethro Cooke, set e costumi disegnati da Loren Elstein, luci di Joe Hornsby.
Coreografo e danzatore tedesco (Ochserfurt, 1983) con base a Londra, oggi tra le figure giudicate più “interessanti” della scena performativa internazionale, Langolf ha collaborato con artisti quali William Forsythe, Angelin Preljocaj, Wayne McGregor, Akram Khan lavorando come formatore per istituzioni e organizzazioni in tutto il mondo.
Dall’11 al 23 marzo ha inoltre condotto nell’ambito della Scuola di Teatro Iolanda Gazzerro di ERT il percorso gratuito di Alta formazione Physical Theatre, di cui è stato interprete degli ultimi spettacoli di DV8, rivolto a 15 giovani attrici/attori, danzatrici/danzatori, coreografe/i e performer maggiori di diciotto anni e residenti o domiciliati sul territorio della Regione Emilia-Romagna.          

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Attraverso vari lavori dall’impronta socio-politica, oltrepassando i confini della danza e del teatro, la performance ha inteso inaugurare una nuova ricerca coreografica volendo essere un'ode alla vulnerabilità e all'insicurezza, una difesa della nostra possibilità di cambiare, cercando una forte connessione empatica con il pubblico, tramite un movimento viscerale che diviene forza trainante per raccontare  storie personali in un’indagine in linea con l’idea di una danza umana ed empirica, su come l’essere trova la forza per rimanere saldo sul terreno ma anche per risollevarsi coraggiosamente.
Due estranei, due uomini di età diverse si incontrano in uno spazio dapprima idealmente aperto, ma che viene poi rinchiuso in una probabile metropolitana londinese, si misurano, si esplorano, si interrogano a vicenda, si provocano, si analizzano attraverso luoghi comuni, scandagliano i propri sentimenti, desideri e paure, si scontrano, mentre in filigrana emergono nuclei di riflessione sui meccanismi di funzionamento della società contemporanea e su come la condizione individuale si staglia in questo panorama, a tratti desolante. Un’esplorazione frenetica e stimolante della consapevolezza di sé e delle sfumature che separano la verità dalla percezione: un modo intenso e molto personale di esternalizzare la realtà e le relazioni umane.
Il tutto si svolge nell’arco di un’ora, interamente dentro una teca di vetro trasparente sigillata all'interno e lateralmente dalle quinte nere, cambiando spesso l’illuminazione in vari colori volendone indicare lo scorrere di una giornata smarrita.
Gli artisti agiscono supportati da musiche ipnotiche e inespressive a tema su un tappeto di poche note ribattute, quasi un basso continuo, che pulsa nei corpi dei due, un movimento che fa da base alla struttura del discorso coreografico e testuale raffigurando un mondo in cui la fiducia è fragile e la più piccola scintilla può incendiare tutto, simbolo dei nostri timori e limitazioni, ma anche della nostra pseudo sicurezza avvolti da nebbie.
Gesto coreografico e parola si fondono in un unico linguaggio con cui si costruisce il dialogo a flusso continuo, idealmente senza né inizio né fine, senza trama né chiaro soggetto, ove il fluire delle parole va di pari passo al ritmo dei saltelli ininterrotti, nevrotici e irregolari dei protagonisti Hannes e il giovane Mitchell, forse improvvisandosi   ballerini sino allo sfinimento, mettendo a dura a prova il fisico più allenato contorcendosi poi tra di loro in abbracci, lotta e spintoni.
Un «… incontro tra due esseri umani, foriero di una conversazione di corpi e di voci che apre in scena più nodi tematici. E l'anima tesa che batte da cima a fondo in un debutto italiano tutt'altro che casuale: una scrittura tra danza, parola e musica che, insieme al trascolorare delle luci, tiene incollati per un tempo indefinito e perduto. E come se lo spettatore fosse catapultato in un curioso hic et nunc nel quale però le coordinate di tempo e di spazio non sono realisticamente collocabili. Dove siamo? Non si sa e nemmeno importa, il fatto è però che How about now lascia nella memoria strascichi di paesaggi, situazioni, atmosfere. La foresta e il mare, l'alba e la spiaggia, l'adolescenza e la maturità, il rapporto con il proprio corpo e con quello degli altri, la relazione tra generazioni, l'ossessione di filmare ogni cosa che si presenti a portata di device, il gender debate, la bellezza della contemplazione, la paura della solitudine ...»: tutto ciò secondo il critico, docente e studiosa di danza Francesca Pedroni, riportandone alcune considerazioni, che al termine della “prima” cesenate ne ha moderato l’incontro con gli stessi artisti Langolf, Mitchell e Muir, concludendo con «… un arguto racconto dell'assurdo in cui, sotto il filtro dell'ironia, vige una costante tensione privata e sociale. Un libero spunto da cui Langolf e i suoi collaboratori sviluppano un arco narrativo non canonico che apre continue fughe di riflessione. Perché, come dicono gli autori, "una piccola scintilla può distruggere tutto quello che abbiamo costruito". Chiude non a caso un finale aperto, avvolto dal fumo, ma rischiarato dal rosso morbido di un'alba. Nella mente resta la fiamma dell'accendino di Ed, le due figure in silhouette, e quell'ultima, semplice, domanda: are you good?»
Dalla coreografia vera e propria inesistente, anche se idealmente tratta dalla dark comedy dello scrittore svizzero Max Frisch Omobono e gli incendiari che Langolf lesse ai tempi della scuola ispirandosi oggi, ha inteso qui ricreare il mondo distorto descritto nella Play nella quale folli piromani si presentano nelle case fingendosi venditori porta a porta chiedendo ospitalità, per poi dare tutto alle fiamme con l’assurda inconsapevolezza dell’ingenuo proprietario.
Queste sarebbero le intenzioni riguardo uno spettacolo insolito erroneamente collocato nel compartimento “danza” bensì più idoneo a una rassegna del teatro di ricerca, in quanto della nobile forma d’arte in realtà c’è stato ben poco a favore o sfavore dei protagonisti dal frenetico linguaggio di strada piuttosto underground.

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Totalmente in inglese, raccontandosi in scena volutamente le cose più sciocche e banali sciorinandole in modo del tutto casuale o per lo meno rapido, vuoto e con la costante della parola “fuck” dalla volgarità sfrontata, hanno ricordato molto gli ipotetici discorsi fatti nei metrò delle grandi capitali mondiali, dove l’accalcarsi della gente porta assai spesso a esternare il peggio del singolo, abituato a subire gli scossoni della linea sotterranea, così come quelli della vita. Nonostante il dialogo ne abbia presentato la traduzione nella parte alta del palcoscenico, non facilmente visibile a tutti in un teatro ottocentesco progettato a ferro di cavallo, l’assillante “slang” ripetitivo ha creato non poche difficoltà nella comprensione dei monologhi deludendo in massima parte l’aspettativa del pubblico, sicuramente poco preparato a una simile teatralità non pervenendo mai qualcosa di particolarmente entusiasmante, quale una trama, una storia da seguire, forse un conflitto nella conferma di una ideologia, cercando una eventuale attenzione nell’attesa inutile di qualche emozione da “portarsi a casa”, per coloro che non hanno coraggiosamente disertato la platea prima del termine.
Fenomeno non del tutto nuovo, se ricordiamo infatti i brani della musica punk-rock britannica fine anni ’70 del Novecento, rappresentati in modo particolare dai vari Sex Pistols o The Clash, usavano anch’essi inserire diverse proteste nei testi attraverso espressioni spesso violente ai più del tutto inesplicabili ma efficaci, testimoni di un difficile degrado urbano ed emarginazione sociale. D’altronde neppure i Beatles in privato erano degli intellettuali, non riuscendo mai a parlare un buon inglese senza le enormi influenze dialettali di Liverpool da cui provenivano.
Molti applausi per un pezzo che merita di essere visto e rivisto? Un tipo di spettacolo appartenente al Physical Theatre può essere inserito in una programmazione di danza nello storico Teatro Bonci sito in una città ancora assai provinciale come Cesena, tra l’altro, forse dal migliore successo nella replica bolognese? Un nuovo teatro a seconda dei nuovi tempi? O più probabilmente la degenerazione della cultura attraverso la “nuova cultura” della trasgressione realista del tutto consentito ove senza nulla togliere alla professionalità e bravura degli attori protagonisti, in possesso comunque di curriculum rilevante e di probabili manifeste capacità teatrali, al di là dell’opinione soggettiva ne è in discussione l’idea, la sceneggiatura dal plot pressoché assente degli elementi essenziali, complice una regia acerba dal tema ovvio e scontato che non è riuscita a entusiasmare e concretizzare nel modo opportuno.
Nonostante le precedenti critiche giornalistiche lusinghiere come si trattasse di qualcosa di strepitosamente inaudito, questo How About Now (Che ne dici adesso?…ma riguardo cosa?) il cui titolo indicato in anteprima stagione era semplicemente New York, alla fine possiamo chiamarlo come vogliamo collocandolo tra “surrealismo”, “follia”, “evanescenza”, “stravaganza”, “nevrosi quotidiana psicopatica”, il cui soggetto è la “repressione” e “depressione” dell’uomo se ancora uomo in quanto tale nelle cosiddette crisi di “gender identity”, volendo esagerare, ove però poco cambia, l’importante è, a quanto pare, avere avuto degli ospiti stranieri entusiasti di calcare non solo i loro palcoscenici locali, qui presumibilmente dal successo spesso assicurato più che altro da parte della stampa altra a volte “concordata”, spiace sospettarlo, ma soprattutto da un humor comunicativo e introspettivo assolutamente inadatto allo stile italiano.
Normalmente il pubblico che intente approcciarsi a un intrattenimento inteso come la danza o la prosa non deve sostanzialmente sempre capire la difficoltà di un’eventuale drammaturgia coreutica e didascalica ma soprattutto immedesimarsi trattandosi di un’implicita ricerca d’evasione connessa con l’arte di cui ne usufruisce; invece il tutto pare sia stato molto disatteso e non proprio compiuto, lasciandoci nell’illusione o nel dubbio di non essere stati sufficientemente coinvolti, evidentemente per ingiustificata nostra “ignoranza”… da disaccorti inesperti del settore.

Crediti fotografici: Hugo Glendinnig
Nella miniatura in alto: Hannes Langolf
Sotto in sequenza: Ed Mitchell e Hannes Langolf durante la performance "How About Now "







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