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Nostra intervista ai due tenori che interpreteranno il ruolo pucciniano al Regio di Parma

Ventre e Simoncini i due Calaf

intervista di Simone Tomei e Angela Bosetto

Pubblicato il 10 Gennaio 2020

200110_Pr_00_GiacomoPucciniPARMA - Venerdì 10 gennaio 2020, il Teatro Regio di Parma inaugurerà la Stagione lirica con Turandot, l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, diretto da Valerio Galli e proposto nell’allestimento del Teatro Comunale di Modena, firmato da Giuseppe Frigeni (regia, coreografia, scene e luci) con  costumi di Amélie Haas. Ne abbiamo approfittato per fare una chiacchierata con i due Calaf che, sino al 19 gennaio, si alterneranno sul palco del Regio: Carlo Ventre, veterano della parte del principe ignoto, e Samuele Simoncini, per la prima volta nei panni dello “scioglitore degli enigmi”.

Se vi diciamo «Turandot», qual è la primissima cosa a cui pensate?
Carlo Ventre – Penso alla volta in cui, diversi anni fa, incontrai per prima volta la Signora Giovanna Casolla, in occasione di Turandot alle Terme di Caracalla. Durante la prova scenica, lei cantò (magnificamente, come sempre) «In questa reggia», poi subentrai io con la frase «No! No! Gli enigmi sono tre, una è la vita!» e quindi eseguimmo insieme la frase che portava entrambi al Do acuto, al che la Signora fermò la prova e mi lanciò uno sguardo di quelli che gelano. Subito dopo, però, sorrise a me e ai direttori del teatro che stavano assistendo alla prova, dicendo: “Bravi, finalmente un tenore che sa cantare e con la voce adatta per questo ruolo!” È stato un momento meraviglioso e non l’ho mai dimenticato!
Samuele Simoncini Turandot è stata in assoluto la prima opera che ho visto dal vivo e grazie alla quale è sbocciato il mio amore per la lirica. Ero solo un bambino quando i miei mi portarono all’Arena di Verona: nel cast c’erano Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia e Nicola Martinucci. Nutro un profondo amore per questa Principessa e avere l’opportunità di “sciogliere i suoi enigmi” significa realizzare il sogno più grande del bimbo che è ancora in me.

Carlo, quest’opera segna il tuo rientro a Parma dopo l’Otello che ha inaugurato il Festival Verdi 2015. Cosa provi nel tornare al Regio con una parte che ti accompagna da tanti anni?
Tornare a Parma è un privilegio e un onore come artista. Al Regio ho debuttato grazie all’Inno delle Nazioni di Verdi (con il meraviglioso M° Romano Gandolfi) e, oltre all’Otello diretto dal bravissimo M° Daniele Callegari, ho cantato Zamoro in Alzira sotto la guida del fantastico M° Bruno Bartoletti. Turandot (opera che amo molto) sarà il mio primo titolo pucciniano in questo teatro e, come provo a fare in occasione di ogni spettacolo, spero di lasciare nel pubblico un’emozione.
Samuele, per te cosa significa, invece, debuttare nel ruolo di Calaf su un palco così prestigioso? Il fatto che tu, a Parma, abbia già cantato in parti minori ha aiutato?
Non c’è nulla che possa aiutare nell’affrontare un ruolo così. Non nascondo che sia il più difficile che abbia cantato finora: non sarei sereno neanche se avessi la voce di Corelli...
L’unica alleata è una sana dose di incoscienza, senza la quale non avrei accettato di cimentarmi nelle varie sfide che mi si sono presentate l’anno scorso. Debuttare in un ruolo di questo calibro su un palcoscenico come il Regio è una gioia incredibile: ogni giorno varco la soglia del teatro con il rispetto che si deve ad un tempio sacro e dico a me stesso: “Domine, non sum dignus, sed accipio”. Se sono qui, ci deve essere sicuramente un motivo e questo mi dà la forza.

A livello personale, cosa avete in comune con Calaf e in cosa, invece, il principe ignoto non vi somiglia per nulla?
Ventre – Al personaggio di Calaf penso mi accomuni la grande forza di volontà nell’affrontare sfide molto difficili, quasi impossibili, rimanendo però saldo nella consapevolezza di chi sono, nonché mantenendo quel distacco e quella freddezza necessari per riuscire a portare avanti progetti, pensieri e sogni che sembrano irrealizzabili. Infatti, da quando, in Uruguay, vendevo giocattoli in strada per vivere ad adesso, dopo tanti anni di carriera, credo di non aver sbagliato quasi niente nel mio percorso. Inoltre, come il principe ignoto decide quando è il momento giusto per mostrarsi, credo che ognuno abbia una diversa crescita personale e artistica: c’è chi è già maturo all’inizio, chi a metà carriera e chi, come me, raggiunge il meglio di sé dopo anni di studio e lavoro, così da poter scoprire e donare al pubblico il proprio miglior Calaf.
Simoncini – Con Calaf condivido la spregiudicatezza nel voler raggiungere un obiettivo a ogni costo. Sicuramente non imporrei i miei sentimenti a qualcuno che non mi ricambia, ma questa è una favola.

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Vi siete confrontati sulla parte oppure preferite lavorare ciascuno in autonomia?
Ventre – Ovviamente, durante le prove, ci confrontiamo sul personaggio, sui movimenti in scena e su come affrontare certe frasi.
Simoncini – Con Carlos ci siamo conosciuti lo scorso anno in Giappone, dove abbiamo condiviso alcune recite di Tosca. Da subito è nato un bellissimo rapporto professionale e di amicizia: lo stimo davvero tanto, sia come cantante, sia come persona, motivo per cui non mi astengo da chiedergli spesso consigli sulla voce, soprattutto su come risolvere il registro acuto.

A vostro giudizio, quale tenore ha incarnato il Calaf perfetto?
Ventre – Ce ne sono tanti, ma per completezza, aderenza vocale e bellezza fisica forse il Calaf definitivo è stato Franco Corelli.
Simoncini – Amo tantissimo il Calaf di Gianfranco Cecchele, ma il mio idolo assoluto è Giuseppe Giacomini.

In un certo senso, la vostra staffetta in Turandot è stata anticipata la scorsa estate in Arena, dove Carlo ha interpretato Radamès per il dodicesimo anno consecutivo e Samuele ha debuttato proprio grazie ad Aida.
Ventre – Cantare in Arena è sempre una emozione enorme perché ogni volta è come se fosse la prima! Sono onorato e felice di essere uno dei tenori che hanno cantato di più in questo tempio: sedici anni, se non erro. Il mio orgoglio è poter dire di essere riuscito a rappresentare il gusto artistico e professionale dei vari direttori che si sono susseguiti alla guida del Festival Lirico. Non è una cosa semplice e dimostra che lo studio e la professionalità pagano sempre.
Simoncini – Sono arrivato a cantare Aida in Arena grazie alla concatenazione di una serie di fortunate circostanze. Mi sono ritrovato catapultato in una dimensione onirica, della quale ricordo soltanto la mia presenza sul carro del trionfo, che è stato in assoluto il momento più bello di tutta la mia vita. Giuro di non ricordare nient’altro di tutta la serata.

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Come è nata e si è sviluppata la vostra vocazione tenorile?
Ventre – Ho sempre cantato sin da bambino e il passaggio da voce bianca a tenore è avvenuto a dodici anni. Cantavo in chiesa e nella congregazione c’era una signora del Coro del Sodre, la quale, quando mi ascoltò per la prima volta, disse: “Tu devi studiare canto per fare il cantante lirico”. Avevo quattordici anni e da lì è partito quel sogno che coltivo tuttora e che mi spinge a continuare a crescere e perfezionarmi, per tentare di dare sempre il meglio di me.
Simoncini – Devo ammettere di essermi innamorato della “Voce del Tenore” dopo un concerto assieme ad Andrea Bocelli nel 1992 a Siena al Teatro dei Rinnovati. Lui (non ancora fenomeno globale) cantava alcune arie d’opera, mentre io eseguivo dei brani pop. Ricordo di aver detto a me stesso: “Un giorno canterò proprio come lui!” E così, a 18 anni, ho iniziato seriamente lo studio del canto lirico. Inizialmente ho affrontato il repertorio lirico leggero, debuttando nel 2001 con La scala di seta di Gioachino Rossini. Successivamente sono arrivati Il barbiere di Siviglia, Cenerentola e Il viaggio a Reims, fino ad arrivare a trenta recite quasi consecutive di Don Pasquale. Solo dopo l’incontro con Laura Brioli ho trovato la chiave tecnica per cantare nel mio registro naturale, giusto per affrontare l’attuale repertorio.

«Vien con me, sarò tua guida» dice Liù a Timur. Invece la vostra guida (a livello umano e/o musicale) chi è stata?
Ventre – Ho avuto la fortuna di avere maestri meravigliosi, come Gino Bechi, Magda Olivero, Carlo Cossutta, Vittorio Terranova, Boiayan a New York! Oltre a queste guide, non ho mai dimenticato da dove sono uscito, cosa ero, cosa facevo, e questo indubbiamente mi da tantissima forza per non perdere la giusta via in ogni ambito della mia vita, principalmente in quella lavorativa che mi ha consentito di essere chi sono oggi.
Simoncini – Le mie guide sono i miei genitori, a cui devo tutto: senza di loro non sarei quello che sono oggi. Vocalmente mi sono invece affidato a Laura Brioli, la mia attuale insegnante.

Carlo, calchi da anni i palcoscenici di tutto il mondo. Al di là della grande esperienza acquisita, cosa pensi di dover ancor imparare in relazione al canto ed alla tecnica vocale?
Tento ogni giorno di affinare sempre di più la tecnica canora e vocale, per poter trasmettere quel sentimento che sento fortemente dentro di me e farlo arrivare senza barriere al pubblico. Per creare un ponte solido che faciliti questo percorso, bisogna studiare tantissimo e trovare la propria via non è semplice, occorre una ricerca quasi ossessiva. Per questo, anche se “la macchina vocale” va benissimo, mi fermo ogni giorno per fare un “controllo tecnico”!

Samuele, nel 2017, durante il Festival Pucciniano di Torre del Lago, hai dato voce all’ultimo grido del Principe di Persia: «Turandot!». Da allora la tua carriera di solista ha fatto un bel salto in avanti…
Vado altamente fiero di aver incarnato il Principe di Persia per diverse recite: considerando l’impegno vocale (una singola parola), è il ruolo per cui mi hanno pagato di più in assoluto. All’epoca ero appena rientrato in una Fondazione, dopo anni trascorsi in giro per il mondo, a portare uno spettacolo lirico nei teatri delle grandi navi da crociera. Ammetto di non aver accettato a cuor leggero perché, insomma, cantare solo una parola in tutta l’opera non è molto gratificante, specie se si ha la consapevolezza di poter dare molto di più. Ho mantenuto comunque un profilo basso e da lì è stato tutto un crescendo di occasioni. Mi sono indirizzato verso un repertorio più spinto e, grazie ad Alberto Paloscia, ho avuto accesso all’Opera Studio di Livorno dove ho debuttato in Iris di Pietro Mascagni come Osaka, ruolo che canterò anche a Berlino il prossimo febbraio. Quindi ho conosciuto il mio attuale agente e, dopo diversi anni di assenza, sono rientrato nel giro che conta grazie a lui.

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Qual è vostro maggior pregio e quale il peggior difetto?
Ventre – Il mio maggior pregio è la grande voglia di continuare a studiare, crescere, imparare, capire e sentire: quella “fame” di impormi come tenore che ho dai quattordici anni e che, da quando ho conosciuto le meraviglie della lirica, non ho mai ho perso. Il peggior difetto (che però forse è anche un pregio, dato che mi mantiene sempre sull’attenti) è che non sono mai soddisfatto al 100%: trovo sempre qualcosa da correggere, un dettaglio da rivedere o un limite da superare. Anche dopo tanti trionfi, sono sempre alla ricerca di quello che posso rendere migliore.
Simoncini – I miei pregi maggiori sono l’umiltà e la semplicità. D’altro canto, sono molto disordinato in qualunque ambito della mia vita.

Come accogliete le critiche (positive e negative)?
Ventre – Per gli artisti le critiche (tanto positive quanto negative) sono importanti solo se fatte con il giusto commento tecnico/vocale che consente di poter crescere e migliorare.
Simoncini – Oggi, fra chi scrive d’opera, sono poche le persone con le competenze necessarie per valutare le voci e le esecuzioni canore, per cui prendo veramente in considerazione solo le recensioni firmate da critici di cui conosco la formazione. In ogni caso, non ho la presunzione di piacere a tutti e, ovviamente, ben vengano le critiche costruttive.

Siccome il vostro nome lo conosciamo, rivelateci qualcosa di voi che nessuno sa… finora.
Ventre – La prima volta che arrivai in Italia lo feci via terra passando col treno dalla Spagna alla Francia, fino alla frontiera di Ventimiglia. Lì mi fermarono due Carabinieri e, alla domanda “Cosa fa nella vita?”, risposi “Sono un tenore”. Al che loro dissero: “Se lei è un tenore, ci faccia sentire la sua voce”. Così cantai «Che gelida manina» alla dogana. Fu la mia prima audizione e penso sia andata bene perché, dopo la frase «chi son? chi son!... e che faccio...», non solo mi fecero passare, ma mi aiutarono a salire sul treno per Firenze.
Simoncini – Negli ultimi anni ho scoperto di avere un disturbo nell’apprendimento: mi hanno certificato una dislessia (DSA) nella lettura musicale. Questo ha penalizzato le prime fasi della formazione in conservatorio, però ho comunque adottato dei metodi compensativi che mi hanno permesso una totale autonomia nello studio. Pare ne soffrissero anche Mozart ed Einstein: purtroppo non ho ancora sviluppato il loro genio, ma sono fiducioso...

Facciamo il gioco della torre su Turandot. Allestimento fiabesco o realistico?
Ventre – L’allestimento può essere concepito in qualunque modo e per me va benissimo. L’unica cosa fondamentale è che il messaggio del Maestro Puccini rimanga invariato.
Simoncini – Allestimento fiabesco, ma anche un po’ splatter.

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«Non piangere, Liù» o «Nessun dorma»?
Ventre «Non piangere Liù» assolutamente. Certo come romanza è meno d’effetto rispetto a «Nessun Dorma» (che tutti conoscono), ma è più complessa nei colori e nelle dinamiche.
Simoncini «Nessun Dorma»! È l’aria tenorile per antonomasia.

Turandot o Liù?
Ventre – Liù tutta la vita.
Simoncini – Butto dalla torre Liù. Crollasse il mondo, voglio Turandot!

Team Arturo Toscanini («Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto») o Team Ettore Panizza (Turandot e il pubblico hanno diritto a un finale). Quale preferite?
Ventre – Ho avuto la fortuna di fare Turandot in entrambe le versioni e devo dire che, a livello personale, l’incompiuta mi lascia un’emozione enorme, perché evoca immediatamente il Maestro Puccini e i suoi ultimi momenti su questa Terra. Quando la folla sospira «Liù, bontà, perdona!» (poco prima che inizino gli accordi che portano al duetto «Principessa di morte»), sento il cuore e lo spirito allinearsi in modo incredibile.
Simoncini – Il pubblico ha diritto a un finale per completare il senso del libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.

Finale raro di Luciano Berio o canonico di Franco Alfano?
Ventre – Ho solo sentito una volta il finale di Berio e, anche se mi è piaciuto molto, per il momento continuo a reputare stupendo quello di Alfano.
Simoncini – Per me, invece, il finale di Berio è inascoltabile. Inoltre, ho scoperto di recente che Alfano ha aggiunto davvero poche battute agli appunti originali di Puccini, quindi il cambiamento è minimo.

Dopo questa Turandot, cosa vi porterà il 2020?
Ventre – Mi aspettano la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi a Monte Carlo, Aida a Shanghai, Turandot a Rimini e a Xi’An, Cavalleria rusticana, Pagliacci e Aida in Arena, Manon Lescaut a Palermo e la tournée di Aida in Giappone con il Teatro Petruzzelli.
Simoncini – Canterò Iris a Berlino e avrò una lunga permanenza a Verona, dove sarò impegnato al Teatro Filarmonico prima con Amleto di Franco Faccio e poi con il dittico pucciniano composto da Le Villi e Il tabarro. Per quanto riguarda l’estate... chissà che non ci si riveda in Arena!

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«Crollasse il mondo, voglio Turandot!» E voi cosa vorreste, a tutti costi, per il futuro?
Ventre – Tanta salute: cosa fondamentale per la vocalità tenorile e per poter continuare a esprimere col canto quello che più sento interiormente. Non avendo una voce “piccolina”, ho bisogno di avere la salute in ordine per poter donare tutto me stesso. E, siccome in questo momento a Parma siamo nel bel mezzo di un inverno freddo e cangiante, faccio di tutto per arrivare nel miglior modo possibile a questa Turandot… e incrocio le dita.
Simoncini – Vorrei continuare ad avere tanta salute e un po’ meno di solitudine affettiva.

In una lettera al librettista Adami (datata marzo 1924), Puccini scriveva: «Penso ora per ora, minuto per minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta fino ad ora mi pare una burletta e non mi piace più. Sarà buon segno? Io credo di sì».
Insieme ai nostri gentili artisti, speriamo in aver suscitato in voi la curiosità di voler approfondire la conoscenza di questo capolavoro, capace di proiettare il melodramma verso lidi ove molti hanno provato a navigare, ma dove ancora nessuno (a nostro avviso) è riuscito ad approdare.

Crediti fotografici: fotografie fornite dagli Artisti intervistati
Nella miniatura in alto: Giacomo Puccini al tempo di
Turandot
Al centro: Carlo Ventre e Samuele Simoncini nei panni di Radames in due diversi allestimenti di Aida
Sotto: diverse sequenza con i due tenori impegnati nelle opere del loro repertorio






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Barbiere di Siviglia stratosferico
servizio di Nicola Barsanti FREE

20240120_Pr_00_IlBarbiereDiSiviglia_DiegoCeretta_RobertoRicciPARMA - Il Teatro Regio di Parma inaugura il cartellone d’opera del 2024 con il fiore all’occhiello di Gioacchino Rossini: Il Barbiere di Siviglia. Com’è noto ai più, nel 1782 Giovanni Paisiello scrisse un’opera dallo stesso titolo e con lo stesso soggetto, da qui la decisione del maestro di Pesaro di intitolare la sua nuova composizione (almeno in un primo
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Opera dal Centro-Nord
Un Barbiere un po' cosė...
servizio di Simone Tomei FREE

20240113_Lu_00_IlBarbiereDiSiviglia_GurgenBaveyan_PhotoKiwiLUCCA - Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini si veste di attualità, attraverso una lettura piuttosto singolare, ma non del tutto dissonante dalle intenzioni musicali e librettistiche, nell’allestimento andato in scena al Teatro del Giglio di Lucca con la firma registica di Luigi De Angelis che ha curato anche scene e luci. In un condominio stile Le Courboisier
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Opera dal Nord-Est
La Bohčme dei ponteggi
servizio di Athos Tromboni FREE

20240113_Ro_00_LaBoheme_FrancescoRosa_phValentinaZanagaROVIGO - Una Bohème senza lode e senza infamia. Così potrebbe definirsi l'allestimento dell'opera di Giacomo Puccini andata in scena al Teatro Sociale. Si tratta di una coproduzione del teatro di Rovigo con il Comune di Padova e il teatro "Mario Del Monaco" di Treviso. Una produzione tutta veneta, considerando la bacchetta affidata a Francesco Rosa
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