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La riapertura del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino accolta da ottimo successo di pubblico

Piace e appassiona l'Adriana fiorentina

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 29 Aprile 2021

210429_Fi_00_AdrianaLecouvreur_DanielHarding_phMicheleMonastaFIRENZE - Odor di palcoscenico, Delle Grazie è il respir…! Queste parole fra Michonnet ed il Principe di Buillon, sembrano volerci dare un pizzicotto per destarci da quello che sembra ancora un sogno: ritornare finalmente a Teatro “per davvero”. E questo avviene proprio con la rappresentazione di Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea al Teatro del Maggio Fiorentino pochi giorni dopo una timida, ma speriamo sempre progressiva, riapertura dei luoghi della cultura. L' Adriana è un’opera che si potrebbe definire toscana, anzi fiorentina, scelta per inaugurare il cartellone della 83° edizione del Festival del Maggio Musicale: e merita senza dubbio qualche nota del suo excursus nel Teatro del capoluogo toscano.
Quarta e tra le più celebri delle cinque opere composte da Francesco Cilea, nonostante fosse stata scritta quasi integralmente a Firenze, fu presentata la prima volta a Milano dove Cilea la completò, nel 1902 al Teatro Lirico con grandi nomi come Angelica Pandolfini ed Enrico Caruso ottenendo immediatamente un successo enorme. L’opera arrivò a Firenze nel 1903 alla Pergola e fu diretta da un giovane Tullio Serafin, replicando certamente il trionfo milanese e restò in cartellone per molte seguitissime repliche. Successivamente fu eseguita al Teatro Pagliano nel 1906 e lentamente e sorprendentemente fu in seguito quasi dimenticata dai teatri italiani e stranieri. Rientrò nel repertorio negli anni ’30 del Novecento, ma prima di rivederla sulle scene, i fiorentini hanno dovuto attendere il 1940 quando fu riallestita al Teatro Comunale, interpretata da Magda Olivero. Da allora si contano solo altre edizioni, nel 1966, nel 1981 e l’ultima nel 2010.
La regia di questa edizione 2021 vede il debutto fiorentino di Frederic Wake-Walker coadiuvato dalle coreografie di Anna Olkhovaya, scene di Polina Liefers, costumi di Julia Katharina Berndt e luci di Marco Faustini.
La parte visuale non tradisce le intenzioni del libretto di Arturo Colautti tratto dalla Commedia di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé; teatro nel teatro con scene a pannelli che ci portano nel foyer della Comédie Française, prima e al “nido”  della Grange Batelière poi. Meno entusiasmanti il terzo e quarto atto dove Il Palazzo Buillon perde di quel fascino ricco proprio del barocco, mentre la casa di Adriana non è altro che una trasposizione delle scene del primo atto in altro modo distribuite. Piccoli peccati veniali che assieme a qualche balletto un po’ troppo ridondante (talvolta grottesco) e ad una dipartita della protagonista in stile “muoio, ma non muoio” che abbandona il palco con andatura serafica al momento dell’epilogo, lo spettacolo fila e appassiona.
Appassiona in primis per la conduzione del giovane ma esperto direttore Daniel Harding che approccia con queste parole una partitura direi “ammaliante”: «... un’opera squisitamente teatrale, commovente e drammatica, incredibilmente onesta e semplice. Semplice - mi spiego meglio - nel senso che non è assolutamente pretenziosa nella scrittura; Cilea non richiede mai qualcosa che sia più complicato di quello che è necessario, c’è un uso della musica, dove le tante idee e i tanti elementi narrativi ritornano in prospettive differenti, punti di vista, che creano comunque una coerenza musicale.
C’è poi una bellissima ironia in quest’opera: celebriamo la vita e la personalità di una attrice che era nota per dire che recitare doveva essere semplice come parlare - allontanandosi dal concetto di un canto o una recitazione tecnica” ma più vicina alla naturalezza - e per interpretare un ruolo come questo - e qui sta l’ironia - invece è necessaria una formidabile cantante che sappia essere anche una formidabile attrice…
… Onestamente mi sento un po’ un ospite nel campo dell’opera italiana, pur amandola molto tuttavia ne ho diretta poca nella mia carriera al contrario di molti miei colleghi che vivono quotidianamente questo repertorio; ma devo dire che mi sento molto felice e grato di affrontarla e quindi di arricchire la mia esperienza con questa meravigliosa occasione

210429_Fi_01_AdrianaLecouvreur_NicolaAlaimoMariaJoseSiri_phMicheleMonasta 210429_Fi_02_AdrianaLecouvreur_KseniaDudnikovaMartinMuehle_phMicheleMonasta

Forse è proprio questa modestia che ha reso grande il suo piglio energico dove ogni tema musicale si è perfettamente inserito negli anfratti più intimi di ciascun strumento traducendo in suono nitido e puro ogni nota della partitura; in secondo luogo ha saputo dare quel senso di continuità dell’azione scenica togliendo sbavature e pause di tradizione, talvolta impedendo l’applauso a scena aperta, ma sicuramente incollando alla sedia lo spettatore fino al tripudio finale di ovazioni.
Notevole il cast, degno di un’apertura col botto.
Nel ruolo eponimo Maria José Siri ci regala un personaggio autentico, in bilico tra la diva e la donna, ma molto più spostato verso la seconda; Adriana infatti, mette e toglie la maschera di continuo, sale e scende dal palcoscenico del teatro per salire e scendere da quello della vita; fino al momento culminante della sua vicenda, in cui queste due dimensioni vanno in collisione; in questo contesto vengono eliminati i manierismi divistici fuori misura; la sua Adriana appassiona per una recitazione molto centrata sulla parola scenica e sul sentimento, espresse con una vocalità raffinata e sempre appropriata. La voce è ferma, il colore affascina e le nouances creano un caleidoscopio molto piacevole. Se nei primi tre atti non delude affatto, nel quarto si rivela ancor più grande interprete riuscendo a cogliere di ogni frase il significato più profondo, traducendolo con grande enfasi.
Se Adriana è la protagonista, il perno centrale è invece proprio il personaggio Michonnet eccelsamente interpretato dal baritono Nicola Alaimo; Cilea dedica a Michonnet le pagine più originali: è il re della scena quando il sipario è abbassato ed è dunque il vero deus ex machina dell’intera vicenda; egli ruota, musicalmente parlando, quasi sempre sui temi di altri personaggi, vive di luce riflessa e canta sui temi degli altri interpreti, ma… Michonnet non non ha maschera, egli non compie gesta eroiche come Maurizio e nemmeno recita come Adriana, egli vive nella realtà preparando e porgendo le maschere agli altri e le sue parole (Noi siam povera gente, lasciam scherzare i grandi... non ci si lucra niente!) sono un omaggio alla nobiltà di chi vive nel teatro e per il teatro. Così e apparsa dunque la sua interpretazione: genuina, spontanea, accorata, appassionata traducendo in sentimento autentico e appassionato ogni gesto, ogni parola con timbro saldo, intonazione ineccepibile e pathos da vendere.
Martin Muehle è un preciso Conte di Sassonia dimostrandosi un artista spavaldo e  misuratamente sfrontato nell’affrontare un ruolo un po’ infelice soprattutto perché la tessitura insiste particolarmente sulle note di passaggio; note che non sono state un problema per lui, anzi, hanno messo in luce una tecnica ed un’interpretazione di gran pregio.
Bello ed affascinante il colore vocale di Ksenia Dudnikova che restituisce una Principessa di Buillon di lusso; l’aria di sortita del secondo atto trasuda di emozione ed incisività ed è il degno contraltare del “duello” finale con la protagonista.
Ottimi sia vocalmente che dal punto di vista attoriale (tranne qualche coreografia un po’ troppo eccessiva come già detto un precedenza) Alessandro Spina nel ruolo di Il Principe di Buillon e Paolo Antognetti come L’Abate di Chazeouil. Spiritosamente spumeggiante il quartetto degli attori Davide Piva (Quinault), Antonio Garés (Poisson), Chiara Mogini (M.lle Jouvenot) e Valentina Corò (M.lle Dangeville); a chiusura del cast un puntuale Michele Gianquinto nei panni di Un maggiordomo.

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Il corpo di ballo era composto da Anna Olkhovaya, Chiara Ferrara, Erika Rombaldoni, Giulia Mostacchi, Sebastiano Marino, Matteo Zorzoli; tutti ineccepibili.
Seppur poco impegnato, il Coro ha dimostrato la sua solita professionalità guidato come sempre dal M° Lorenzo Fratini.
Anche se il pubblico non era numeroso a causa delle normative vigenti, quello presente non ha fatto mancare il suo plauso forte e sonoro ad un spettacolo che, certamente sì, emoziona per la musica di Francesco Cilea, ma in questo momento, ancor di più emoziona per quel senso di “amicizia ritrovata” con il luogo che è ristoro per l’anima: il Teatro per davvero.
(La recensione si riferisce alla recita del 27 aprile 2021).

Crediti fotografici: Michele Monasta per il Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: il direttore Daniel Hardinh
Al centro in sequenza: Nicola Alaimo (Michonnet) e Maria José Siri (Adriana Lecouvreur); Ksenia Dudnikova (Principessa di Buillon) e Martin Muhele (Conte di Sassonia)
Sotto in sequenza: scena d'assieme in una bella immagine di Michele Monasta; e i saluti finali del cast






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