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Apprezzata anche al Teatro Alighieri di Ravenna la terza opera pucciniana che ha debuttato a Lucca |
Una bella Manon Lescaut |
servizio di Attilia Tartagni |
Pubblicato il 25 Febbraio 2022 |
RAVENNA - Manon Lescaut, la tormentata eroina del romanzo settecentesco dell’abate Prévost, ispirò a Giacomo Puccini l’opera che è stata rappresentata domenica scorsa nel Teatro Alighieri; questo lavoro del compositore lucchese riveste un valore simbolico nel panorama operistico di fine Ottocento, oltre a distinguersi come uno dei titoli pucciniani più amati dal pubblico. La prima fu rappresentata con grandissimo successo al Teatro Regio di Torino nel 1893, terza opera di Puccini, dopo il flop dell'Édgar alla Scala di Milano. Il compositore toscano fu ammaliato dal personaggio femminile, sorta di “femme fatale” che per la sua bellezza fa esclamare al giovane De Grieux “... donna non vidi mai simile a questa” trascinandolo nel proprio destino. Consapevole che sul soggetto si erano già cimentati Auber e soprattutto Massenet nell’acclamata opera del 1884, Puccini volle dedicarle questo ritratto di rara seduzione, innovativo tanto nella drammaturgia quanto nella partitura stilata con attenzione a stimoli musicali nuovi provenienti dall’Europa: egli si gettò nell’impresa affermando orgogliosamente: «Massenet la sentirà da francese, con la cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata.» In realtà anche Puccini, nei primi due atti, mette in campo crinoline, minuetti e tutti i frivoli vezzi dell’epoca per esaltare negli ultimi due la “passione disperata” di stampo romantico italiano. La costruzione dell’opera fu ardua: il libretto fu affidato a Ruggero Leoncavallo che se ne sottrasse, poi a Marco Praga, Domenico Oliva, Luigi Illica, Giulio Ricordi e vi lavorò lo stesso Puccini. Ne sortì una Manon Lescaut delineata con straordinaria empatia nella sua doppiezza evanescente che la vendetta del vecchio Geronte tradito, trasforma in un’eroina disperata, la prima di una lunga serie di donne pucciniane forgiate da una scrittura musicale così intensa da entrare per sempre nell’immaginario del pubblico. Ambienti, azione, tempi di scena si intrecciano con la partitura dove la parola cantata è fluida e discorsiva come quella di un film. Così quest’opera, pur inquadrandosi nella migliore tradizione italiana, la rinnova e in qualche modo la contraddice, tanto che sullo stile pucciniano Giuseppe Verdi ebbe a dire: «L’opera è l’opera, la sinfonia è sinfonia.» Certamente il sinfonismo pucciniano emerge clamorosamente in questa rappresentazione ravennate, nata dalla cooproduzione fra i Teatri del Giglio di Lucca, Comunale di Modena Pavarotti-Freni, Alighieri di Ravenna, Galli di Rimini, Teatro Comunale di Ferrara e Teatro Verdi di Pisa e, rispetto a già viste versioni, acquisisce una forza dirompente ma non certo inopportuna facendo dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, sempre più coesa e professionale, la prima interprete. meravigliosamente diretta dal M° Marco Guidarini. Essa occupa gran parte della platea in ossequio alle regole anti-Covid senza sovrastare le sonorità provenienti dal palco da un cast vocale particolarmente azzeccato mosso dalla scaltra regia di Aldo Tarabella. Le scene mutanti e pertinenti di Giuliano Spinelli, i bei costumi color pastello di Rosanna Monti, le luci intriganti di Marco Minghetti scandite da speciali tagli cromatici e le coreografie di Luigia Frattaroli esaltano sinergicamente la qualità dei talenti musicali e delle maestranze di vario genere in campo. Fruire di questa rappresentazione è un piacere dei sensi e al tempo stesso una empatica sofferenza per Manon che la cultura maschilista settecentesca condanna fin dalla nascita, destinata al convento o a una vita di stenti oppure a fare la mantenuta di un anziano protettore, complice un fratello che, come quello di Lucia di Lammermour, specula sulla sua bellezza.
L’amore erotico, vagheggiato anche fra “le trine morbide”, le è negato, ma pericolosamente Manon vuole tutto come è possibile a una donna di oggi, ma assolutamente negato a una della sua epoca. La spaccatura fra il mondo dorato dei primi due atti e la tinta cupa degli ultimi due è scandita dall’Intermezzo, un incanto sonoro che sembra protrarsi all’infinito richiamando il duetto d’amore del secondo atto nell’erotismo foriero di morte che preannuncia la fine di Manon e la perdizione di De Grieux. Sono cromatismi, seduzioni armoniche, atmosfere che rimandano decisamente al gusto del leitmotiv e al tormento ineffabile della morte di Tristano e Isotta di Wagner sostanziando la più disperata passionalità italiana. L’ultimo respiro di Manon scandisce la morte decisamente terrena di una donna disperatamente innamorata della vita e del proprio amante, mentre è la musica a trascendere in un’autentica seduzione sonora. Monica Zanettin e Paolo Lardizzone sono due autentiche rivelazioni nel rivestire con intensità vocale e gestualità attoriale tutt'altro che manierata i panni di Manon e di Des Grieux. Marcello Rosiello, Alberto Mastromarino e Saverio Pugliese sono rispettivamente Lescaut, il fratello di Manon, il banchiere Geronte e l’amico Edmondo. Completa il quadro dell’umanità dell’epoca, pronta a passare dai toni frivoli del minuetto all’impietoso giudizio morale della folla radunata nel molo, il Coro Arché diretto da Lorenzo Biagi. L’architettura sbilenca che domina la scena si tramuta da palazzo della buona società a interno della abitazione aurea di Geronte per divenire prigione per le deportate verso le Americhe, e infine la pietra che occlude agli amanti l’ultimo orizzonte. Il regista Tarabella, a lungo compositore stabile a fianco di Giorgio Strehler e compositore di opere, dichiara di avere trasposto la vicenda temporalmente in avanti ai tempi di Puccini, immaginando il palazzo come testimone e narratore della storia, eppure non si avvertono stravolgimenti, ma solo un grandissimo rispetto dell’opera e un’armonia di intenti che ha sprigionato fascino ed emozioni durante tutta la rappresentazione, meritando applausi a scena aperta e ovazioni finali. (La recensione si riferisce alla recita di domenica 20 febbraio 2022)
Crediti fotografici: Andrea Simi per il Teatro Alighieri di Ravenna Nella miniatura in alto: la protagonista nel ruolo eponimo, il soprano Monica Zanettin Al centro: Alberto Mastromarino (Lescaut) e ancora la Zanettin (Manon) nel primo atto Sotto: una bella istantanea di Andrea Simi sui costumi realizzati da Rosanna Monti
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