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Discutibile 'modernizzazione' del regista Montavon per la terza opera di Giacomo Puccini |
Des Grieux non dā l'acqua a Manon |
servizio di Rossana Poletti |
Pubblicato il 06 Novembre 2023 |
TRIESTE - Teatro Verdi. La Manon Lescaut di Giacomo Puccini, in scena in questi giorni al Teatro Verdi di Trieste, avrebbe potuto essere rappresentata come concerto sinfonico, togliendo cantanti, coro, comparse e tenendo solo la musica. A ragione si afferma da parte degli autorevoli critici musicali che questa è un’opera “sinfonica”. Resta il fatto che la trama si regge anche su un racconto, che Puccini stesso disegnò peraltro in modo diverso dal suo contemporaneo Massenet, e che questo racconto è dato dal testo delle arie e dai cantanti che le eseguono, dalla loro espressività. E magari ogni tanto sarebbe piaciuto sentire i cantanti che non si dovessero sgolare per superare il fragore dell’orchestra, diretta da Gianna Fratta, perché la Manon è un’opera sinfonica. Niente da dire, l’orchestra del lirico triestino è stata splendida rendendo mirabilmente la perfetta costruzione musicale del compositore di Torre del Lago, esaltando la componente drammatica dell’amore di Manon, che non concede elementi consolatori alla luce di un esito pessimistico della vita della giovane. Puccini ricalcherà il modello di questa sua prima vera opera nella produzione successiva con i motivi conduttori ripetuti, le citazioni dai lavori precedenti. L’allestimento di Trieste, coproduzione tra Opera de Monte-Carlo ed Erfurt Theatre, è improntato alla modernità. Entrano in scena giovani allegri e anche un po’ spregiudicati, un personaggio, l’anziano, copiato dall’immagine dello stilista Karl Lagerfeld, scomparso nel 2019, direttore artistico di Fendi e poi di Chanel. Capelli bianchi, lunghi a coda di cavallo, abito nero striminzito, cravattino lungo e stretto, occhiali rigorosamente scuri, il Geronte di Ravoir, interpretato da Matteo Peirone, non ha lo stesso fisico, ma ne ricalca fedelmente il cliché. Il cambiamento d’epoca nella lirica è spesso cercato dai registi per poter sviluppare una loro idea, ma non è certamente semplice per il linguaggio arcaico dell’opera che cozza troppo pesantemente con l’immagine sulla scena.
In questa Manon il registra Guy Montavon, calca impietosamente la mano sul grottesco, nella scena delle prostitute messe all’asta e vendute ad un manipolo di squinternati, ma anche questo ci può stare. Ciò che rende difficile la comprensione è proprio il finale che prevede i due innamorati, Manon e des Grieux, in una landa desolata, lasciati a morire di stenti. La storia è ben complessa in origine, ma comunque questo abbandono cantano i due nell’ora della fine della protagonista. In questo allestimento compaiono invece due stanze divise dal vetro. Manon è rinchiusa in una cella nera e sporca. Renato des Grieux sta invece nella stanza attigua, ben illuminata, dove fanno mostra di sé due pacchi di acqua in bottiglia. Manon gli dice “la sete mi divora” e ancora gli chiede di scrutare “il mister dell’orizzonte, e cerca, cerca monte o casolar”. L’uomo deve esplorare se ci sia qualcuno nella landa desolata, se sia possibile trovare l’acqua per dissetare la donna vinta dalla febbre. Lui è chiuso dentro nella stanza, pesta sulla porta che non si apre e dice “nulla rinvenni… l’orizzonte nulla mi rivelò… lontano spinsi lo sguardo invano”. Lo spettatore guarda, sente e vede tutt’altra cosa. Si dirà licenza del regista, ma la licenza a dire il vero sembra troppa. La scenografia di Hank Irwin Kittel è indubbiamente strutturata, gioca su una piazza in cui arriva la carrozza che porta a Parigi la giovane Manon e suo fratello, da un chiosco si distribuiscono gelati gratuitamente. Ai tavolini siede una folla di giovani studenti, l’insieme è gaio, ma la musica mostra già i segni della disgrazia incombente. Nel secondo atto la stanza è opulenta, grandi divani, sculture moderne e quadri fanno bella mostra, Manon ha abbandonato des Grieux, con il quale era fuggita per amore, dopo aver saputo che Geronte avrebbe voluto rapirla. E la troviamo proprio da quest’ultimo, imbellettata, piena d’oro, immersa in un lusso sfarzoso, poi trasformata in statua vivente dal vecchio pittore, ma anche potente cassiere dello stato. Le pareti della stanza mutano colore, segnando un cambio di passo dell’opera. Manon nel voler fuggire di nuovo con des Grieux, vorrebbe portarsi via tutti i gioielli. L’ingordigia sarà la sua condanna: catturata, imprigionata e venduta assieme alle prostitute. Ultimo atto siamo in America in quella landa desolata, fatta di due stanza di cui si è detto. Lana Kos è Manon Lescaut. Nata nella bella città barocca di Vara?din, cantata nella “Contessa Mariza” di Emmerich Kálmán, ha debuttato giovanissima a diciassette anni. In Croazia è una diva, suona il piano, è poliglotta, conduce una vita all’insegna del rigore. Ha una più che ventennale carriera alle spalle oramai. La sua è una bella voce, imponente, che regge l’impegnativo ruolo di Manon, più volte applaudita a scena aperta dal pubblico della prima. Per inciso, lo sciopero indetto dai teatri lirici italiani per la prima della stagione ha avuto luogo anche a Trieste, pertanto abbiamo assistito alla seconda rappresentazione, senza lo sfarzo del debutto, senza inno nazionale, senza paillettes e gioielli. Canta in coppia con Roberto Aronica (un buon Renato des Grieux), che regge il ritmo incalzante e drammatico del finale struggente. Il Lescaut, fratello di Manon, è Fernando Cisneros, perfetto nella parte del guascone.
Conclude il quartetto dei ruoli principali Matteo Peirone, nei panni di Geronte, ma anche sergente degli arcieri e comandante di marina, in tutti quei ruoli che lo vedono perseguitare la povera Manon. In scena ancora Paolo Antonio Nevi, Magdalena Urbanowicz, Nicola Pamio e Giuseppe Esposito. L’opera sarà al Teatro Verdi di Trieste fino al12 novembre. (La recensione si riferisce alla recita di sabato 4 novembre 2023)
Crediti fotografici: Fabio Parenzan per il Teatro Verdi di Trieste Nella miniatura in alto: il soprano Lana Kos (Manon Lescaut) Sotto in sequenza: panoramica sui costumi; Roberto Aronica (des Grieux) e Lana Kos; Roberto Aronica con Fernando Cisneros (Lescaut); la direttora Gianna Fratta Al centro: l'intensa espressione di Lana Kos Sotto: una bella panoramica su orchestra e pubblico del Teatro Verdi di Trieste
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