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Il lavoro di Giacomo Puccini andato in scena al Regio di Torino č preda d'un originale regia |
Trittico omogeneizzato da Kratzer |
servizio di Simone Tomei |
Pubblicato il 02 Luglio 2024 |
TORINO - La stagione lirica 2023/2024 del Teatro Regio chiude i battenti con un ulteriore omaggio a Giacomo Puccini mettendo in scena Il Trittico. Un’opera, anzi tre, nelle quali si snocciolano eventi e situazioni assai dissimili tra loro; una eterogeneità che spesso stimola la fantasia di molti registi alla ricerca di un filo conduttore che possa armonizzare una visione completa così come concepita dal compositore. Di idee - talvolta bislacche, talvolta geniali - ne è pieno il Teatro d’opera; detto ciò personalmente credo che si possano trovare delle similitudini tematiche nei tre atti unici: si pensi alla morte, si pensi all’amore (nelle sue molteplici forme), alla scaltrezza e, perché no, alla fede, nella sua più ampia accezione. Questi sono solo alcuni anelli di congiunzione che potrebbero rappresentare un fil rouge tra le tre partiture, ma oltre ad un elemento che le “uniformi” si può andare oltre, alla ricerca cioè di qualcosa che le “intrecci” con l’intento di trovare rimandi - più o meno veritieri ed opportuni - tra le eterogenee situazioni e personaggi. Ecco quindi che l’idea registica partorita da Tobias Kratzer (già presentata con molti mal di pancia nel Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles) volge in questa direzione. Ludivine Petit riprende la regia di Tobias Kratzer, Rainer Sellmaier firma scene e costumi, ripresi da Clara Hertel, Bern Purkrabek ha creato le luci, riprese per l’occasione da Gianni Bertoli, i video sono di Manuel Braun, Jonas Dahl e Janic Bebi sono collaboratori ai video, Matthias Piro è assistente alla regia video. Dunque, cosa c’entra Michele del Tabarro, con l’amore tra Rinuccio e Lauretta dello Schicchi? Cosa lega le vicende del convento, dove è reclusa Suor Angelica, alle passioni erotiche di Giorgetta e Luigi del Tabarro? Cosa accomuna il testamento di Buoso Donati del Gianni Schicchi con lo strazio della scelta estrema di Suor Angelica?


Ad una mente normale apparentemente nulla, ma Kratzer ha voluto realizzare queste “consonanze” - o forse meglio dire forzature - con piccoli accorgimenti atti ad armonizzare visivamente i tre atti unici mediante rimandi azzardati all’interno delle varie drammaturgie. Il meno probabile, quello in Tabarro - anche perché è la prima opera ad andare in scena - è consistito nel mostrare un piccolo filmato rappresentate il finale del Gianni Schicchi con le effusioni dei due giovani innamorati, proprio mentre Michele medita sulla sua disperazione per l’amore ormai svanito di Giorgetta. Suor Angelica, o meglio le suore del convento, si troveranno invece alle prese con una sorta di “fumetto proibito” in cui risultano facilmente riconoscibili i personaggi ed i colori del Tabarro. Infine nell’atto comico dello Schicchi, Buoso Donati ancora vivo sta ascoltando il vinile del finale di Suor Angelica e nell’estasi del momento cambia il testamento già redatto e lo nasconde proprio dentro la custodia del disco; ecco quindi che subito dopo è colpito da infarto fulminante e muore. Questa è in sintesi la descrizione di quanto il regista tedesco ha messo in scena, e se l’idea può essere anche originale - ma a mio avviso troppo azzardata - la realizzazione scenica è stata alquanto deludente con l’eccezione in parte, dell’atto centrale di Suor Angelica. La struttura del Tabarro ci porta in una Parigi moderna: la scena è suddivisa in quattro sezioni come una pagina a fumetti, dominano il bianco e il nero cuciti da un cielo rosso sangue. Il titolo dell’opera compare come elemento scenico in alto a sinistra ed è scritto in lettere cremisi come il fumetto cui il regista si è ispirato: Parigi è come Sin City, la graphic novel e il relativo film noir di Frank Miller e Robert Rodriguez. Come già accennavo, meglio senza dubbio Suor Angelica: non esiste quasi scenografia ed il palcoscenico è costantemente riempito da un video in bianco e nero che, in maniera didascalica, illustra i vari momenti dell’opera con i titoli che appaiono come nel libretto. Lo spettatore è quindi guidato passo passo nel comprendere quello che i cantanti interpretano, ma anche qui ci sono forzature e stravaganze che minano l’ardita idea originaria. In scena troviamo rappresentati fantomatici disturbi alimentari delle converse - le vediamo ingozzarsi di pringles e nutella e poi vomitare nei lavandini dei bagni - oppure i “pruriti sessuali” di due sorelle mentre di nascosto leggono il già succitato “fumetto proibito” (unico elemento a colori del video) immaginando di trovarsi immerse in quelle passioni amorose. La rivista viene quindi scoperta dalla Suora Zelatrice e bruciata nel fuoco di un camino cui seguirà un incendio che distruggerà l’intero convento e dal fumo che si spande nell’atmosfera apparirà il “miracolo” descritto dal librettista Forzano.


Infine Gianni Schicchi che viene rappresentato come se i protagonisti fossero dentro un reality show con tanto di pubblico su gradinate disposte sul palcoscenico che applaude o interagisce con gli artisti grazie a suggerimenti di assistenti di studio. Anche qui il fine primo - quello del rimando tra i tre momenti operistici - è tendenzialmente vanificato da scelte di dubbio gusto: oltre l’idea grottesca del reality, una vasca idromassaggio scende dall’alto e in essa i parenti sguazzano in costume da bagno, il tutto poi, è intriso di una comicità troppo forzata, ai limiti del ridicolo. Fino a qui il “visto” scenico-registico, ora passiamo al “sentito”. A calcare il palcoscenico un artista di grande levatura professionale ed umana ha dato vita ai personaggi di Michele (Tabarro) e Gianni Schicchi: Roberto Frontali: in entrambi i ruoli ha saputo evidenziare con cura ogni aspetto peculiare del loro carattere sottolineando ogni sfumatura del rigo musicale. In Michele la voce tornita e salda si è sviluppata con un canto sempre ben centrato, intonazione perfetta e fraseggio encomiabile; ciò gli ha permesso di enfatizzare gli accenti più melanconici con quella dose di sofferenza necessaria per poi esplodere con “ira funesta” nella grande aria che prelude al gesto finale. Nello Schicchi la parola scenica diventa protagonista e l’aderenza della voce al testo rende ogni frase perfettamente intellegibile, scaltramente cinica e garbatamente sorniona e canzonatoria. Elena Stikhina, impegnata anch’essa nel doppio ruolo di Giorgetta e Suor Angelica, ha mostrato un’alternanza di risultati. Nel primo la voce sembra adattarsi poco al personaggio e manca di quella “polpa” necessaria per spiccare in maniera convincente: gli acuti sono piuttosto deboli ed anche la zona centrale non risulta pienamente a fuoco. Meglio senza dubbio nel secondo ruolo che richiede un canto più spianato in cui sa far emergere un buon legato; manca anche qui però il trasporto necessario a rendere le emozioni e le intenzioni in modo convincente e sentito. Il Luigi di Samuele Simoncini è denso di sfumature e accenti sempre appropriati, gli acuti sono ben piazzati e la necessaria irruenza del focoso amante del Tabarro si percepisce grazie ad un canto sonoro e ben proiettato. Brilla come uno smeraldo in un “solitario” la figura della Zia Principessa di Suor Angelica interpretata da Anna Maria Chiuri: la sua “manifestazione” sul maxischermo - conoscendo l’indole della nobildonna - è pietrificante. Lo sguardo, le movenze, i piccoli movimenti del viso la rendono indubbiamente credibile e poi, la voce! Il colore scuro, quasi demoniaco, abbraccia tutta la sala; ogni parola è scolpita e diventa una coltellata per la nipote suora, ma anche per noi che ascoltiamo estasiati. Lo stuolo dei personaggi di fianco non è comunque da meno. Seguendo l’ordine di apparizione Roberto Covatta si rivela prima un bravissimo Tinca e successivamente un convincente Gherardo. Il tutto grazie ad un’emissione precisa, sempre ben a fuoco e pregna di intenzioni. Gianfranco Montresor (prima Talpa e poi Simone) sa ben mettere in luce un canto a servizio della parola che rende i due personaggi estremamente convincenti. Annunziata Vestri regala inizialmente una figura della Frugola estremamente sciantosa, vocalmente centrata e mai sconveniente, per poi trasformarsi nell’arcigna Suora Zelatrice cui è affidata la disciplina del convento.



Completano il cast del Tabarro Lucrezia Drei e Matteo Mezzaro (Giovani amanti) - entrambi avranno un ruolo di rilievo nel Gianni Schicchi - e i solisti del Regio Ensemble Enrico Maria Piazza (Venditore di canzoni) e Irina Bogdanova (Voce di sopranino). In Suor Angelica merita evidenziare la precisione e cura vocale di Monica Bacelli (La Badessa) citando con encomio tutte le altre: Tineke Van Ingelgem (La suora infermiera e La maestra delle novizie), Lucrezia Drei (Suor Genovieffa), Annelies Kerstens (Suor Osmina), Emma Posman (Una novizia e Prima conversa), le soliste del Regio Ensemble Ksenia Chubunova (Suor Dolcina e Seconda conversa) e Irina Bogdanova (Prima sorella cercatrice). Nel ruolo di Seconda sorella cercatrice e Seconda suora Lyudmyla Porvatova, Prima suora Jang Eun Young e Terza suora Laura Lanfranchi. L’ilarità ed il divertimento che scaturiscono in Gianni Schicchi trovano un validissimo appoggio nell’interpretazione di due artisti già nominati in precedenza: Lucrezia Drei è una convincente Lauretta che intona un “Oh mio babbino caro” cesellato di sfumature e Matteo Mezzaro (Rinuccio) mostra un canto sicuro e tornito di accenti più che convincenti. È sempre un piacere vedere in scena l’ottuagenaria Elena Zilio (Zita) che, seppur vocalmente offra un piacevole sonoro declamato (intonato e denso di nitore), scenicamente è una vera leonessa da palcoscenico che non teme le avventate scelte registiche. Encomi per gli altri personaggi di fianco: Irina Bogdanova (Nella), Tyler Zimmerman (Betto di Signa), Andres Cascante (Marco) Tineke Van Ingelgem (La Ciesca), Roberto Accurso (Maestro Spinelloccio e Ser Amantio di Nicolao), Marco Sportelli nel ruolo di Pinellino calzolaio, Roberto Calamo è Guccio tintore e Ludovico Longo è il piccolo Gherardino, Riccardo Mattiotto è bravo attore nel ruolo muto di Buoso Donati. Il M° Pinchas Steinberg, alla guida degli ispirati complessi musicali del Teatro Regio, delinea con precisione i differenti caratteri delle tre partiture andando a cogliere gli aspetti più reconditi e facendone emergere sonorità e intenzioni. Nella piccola introduzione del Tabarro evidenzia con precisione la melanconia del “suono” della Senna, per poi addentare con vigore i momenti più drammatici. In Suor Angelica il colore diventa più rarefatto ed il languore personale della protagonista si fa pienamente musica. Nel Gianni Schicchi brillano le genialate pucciniane ed ogni struttura musicale riesce a snocciolare in maniera sublime l’intesa con il palcoscenico. Il Coro diretto dal M° Ulisse Trabacchin, esegue puntualmente gli interventi ad esso affidati; ottimo anche il Coro di voci bianche preparato dal M° Claudio Fenoglio. Pubblico non troppo numeroso, ma sonoramente plaudente per tutti (La recensione di riferisce alla recita di domenica 30 giugno 2024).
Crediti fotografici: Daniele Ratti per il Teatro Regio di Torino Nella miniatura in alto: il direttore Pinchas Steinberg Sotto, in sequenza: panoramiche su Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi
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