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Contestata inaugurazione del Festival Puccini per le scene di Ouvrard e la regia di Gayral |
La Bohčme di fischi e fiaschi |
intervento di Athos Tromboni |
Pubblicato il 15 Luglio 2023 |
TORRE DEL LAGO (LU) - Se ci fosse stato Filippo Tommaso Marinetti fra gli spettatori della recita inaugurale del 69° Festival Puccini nel gran teatro all'aperto sul lago di Massaciuccoli, avrebbe gongolato di gioia per quella Bohème di fischi e fiaschi che si è vista il 14 luglio 2023. Non tanto per i fischi e non solo per il fiaschi, ma per l'ambientazione stravolta rispetto alla vita bohèmienne scritta (traendola dal teatro-verità di Henri Murger) da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa per la musica di Giacomo Puccini. Il futurista F.T. Marinetti fece pubblicare infatti nel 1913 sul giornale Lacerba, il "Manifesto del teatro di varietà" dove spettacolarità e paradosso erano i pilastri portanti della messa in scena, a scapito del teatro-verità: cioè, a Torre del Lago, come un quasi ossimoro ecco la migrazione del teatro-verità nel teatro-varietà. E iersera, ligi alla tradizione ormai consueta e conformista vigente nelle regie d'opera oggi, lo scenografo Christophe Ouvrard e il regista Christophe Gayral hanno commutato le vicende da gesto minimo di Rodolfo, Marcello, Mimì, Musetta e compagni della Parigi fin-de-siecle, nel gesto massimo della contestazione francese del 1968: con tanto di quadri dipinti ed esposti col pugno da comunisti levato in alto (le tele del pittore Marcello); e manifestazioni con cortei, cartelli e striscioni ("patria", "famiglia", "Dio", "tradizione"); e majorettes sgambettanti fra acrobati e funamboli nella scena del Quartiere latino; e rapporti sessuali fra Rodolfo e Mimì ben evidenti anche se nascosti sotto una coperta, alla fine del primo quadro (nel letto in soffitta) e del terzo quadro (su un divano alla Barriera d'Enfer); e altre stupidaggini prevedibili e mistificatorie, come la minigonna di Mimì o la pelliccia elegantissima e gli atteggiamenti da puttanone di Musetta, o la carrozzina spinta di qua e di là dalla soubrette-puttanone che infierisce su un paraplegico Alcindoro nella scena del Quartiere latino.


Più che uno sgarbo a Illica, Giacosa e Puccini, è parso un insulto alla contestazione del "sessantotto" che ha significato ben altro che un vaudeville rimasticato. E a proposito di sgarbo... Sgarbi: nel senso di Vittorio Sgarbi, sottosegretario al Ministero della Cultura, che nei giorni precedenti la "prima" aveva chiesto al maestro Alberto Veronesi di non dirigere quella Bohème sessantottina che tradiva lo spirito di Puccini. Ma se Vittorio Sgarbi è un provocatore di professione, Veronesi è un provocatore di indole: così l'Alberto "Da Torre del Lago", rampollo di una meritoria e nobiliare stirpe, quella dei Veronesi "Da Milano", ha obbedito a modo suo presentandosi sul podio con una benda nera sugli occhi e annunciando un «... dirigo bendato perché non voglio vedere queste scene...» Il pubblico numeroso (teatro gremito ma non tutto esaurito) ha cominciato a fischiarlo e a "buharlo" con epiteti, anche durante la recita, quali "vergogna!", "ridicolo!", "buffone!", "scemo!" et similia (non era per la circostanza, Alberto Veronesi a Torre del Lago viene contestato a prescindere...) al punto che - per sdrammatizzare - il sindaco di Viareggio, Giorgio Del Ghingaro, impegnato durante tutta la serata per accogliere e salutare ospiti e ospite (ospitesse?...o ospit*?... ) di riguardo, ha detto che il maestro Veronesi dirigeva bendato per dimostrare che conosceva la partitura a memoria. Detto della regia di Christophe Gayral che ha fatto il verso (si sa: la copia è sempre peggiore dell'originale) agli spettacoli di varietà dei fatelli De Rege, dei Macario e Totò, dei Dapporto e Rascel, dei fratelli Cogniard (attivi e celebri soprattutto in Francia), resta da dire - per l'allestimento - che le scene ideate da Christophe Ouvard hanno il sapore del minimalismo: l'impianto è una grande piattaforma girevole dove su un lato è posta la soffitta con il suo slogan sessantottino graffitato sul muro ("La verità è rivoluzionaria"), una stufa non a legna ma a gas, un divano-letto, un albero di natale e poche altre suppellettili; e sull'altro lato, dapprima un Quartiere latino anonimo e anodino come un moderno autogrill; poi una Barriera d'Enfer con la relativa osteria che sembra più un chioschetto da bibite dei nostri parchi cittadini piuttosto che un pretenzioso locale bohèmienne. Sgargianti i costumi di Tiziano Musetti, che sono la vera nota colorata di tutta la rappresentazione. Luci non troppo complesse e/o non troppo elaborate di Peter van Praet.


Alcuni inconvenienti tecnici hanno reso anche gustosa la messa in scena, come l'allarme antincendio scattato durante il duetto del primo atto fra Mimì e Rodolfo («Sì, mi chiamano Mimì... ma quando vien lo sgelo...» oouuiii-wioouiui-wiiii ! scatta la sirena, una decina di secondi o poco più, con i due cantanti protagonisti che guardano più straniti che meravigliati il lato destro del palco senza interrompere l'azione). E, nel quarto quadro, l'amplificazione microfonica di sostegno al canto manifesta per più di una trentina di secondi una frequenza parassita che ronza attraverso le casse acustiche. Poi all'intervallo (posto fra i primi due quadri dell'opera e i due quadri successivi) e alla fine, la contestazione vigorosa del pubblico presente, appena appena mitigata da applausi ed elogi del tipo "bravi! bravi!" probabilmente elargiti da una claque comunque isolata e minoritaria. In tanta e succosa cronaca, la direzione musicale di Alberto Veronesi sul podio dell'Orchestra del Festival Puccini diventa insignificante, altri sono gli argomenti con cui trattare La Bohème inaugurale. I cantanti: su tutti la brava Claudia Pavone (Mimì) che ha gesto scenico e voce di quelle che piacciono al pubblico: la sua caratterizzazione del personaggio, snaturata dal vaudeville registico, ha potuto contare più sulla vocalità che sul phisique-du-role, dimostrandosi un soprano lirico tendente al lirico spinto che fa presagire un suo buon futuro in ruoli più drammatici. Non da meno il tenore Oreste Cosimo (Rodolfo) che però, rispetto alla sua partner, rimane più orientato sul lirico puro-lirico leggero: lo si è notato nelle zone acute del canto sia durante il duetto finale all'unisono con il soprano del primo quadro (ritoccato all'ottava sotto per l'acuto), sia nel duetto finale del quarto quadro: comunque il suo fraseggio è pregevole, non monotono, la dizione è limpida e lo squillo d'impeto è apprezzabile (bella e pulita la nota tenuta delle "speranza" nella sua aria principale). Eccellente il basso Antonio Di Matteo (Colline) che si è preso uno degli applausi a scena aperta più lungo dopo la sua "zimarra". Elogio con encomio anche alla vocalità e alla presenza scenica di Federica Guida (Musetta), avvenente soubrette-puttanone come voluto dal regista. Professionali senza lode e senza infamia tutti gli altri: Alessandro Luongo (Marcello), Sergio Bologna (Schaunard), Francesco Auriemma (Benoit e Sergente dei doganieri), Alessandro Ceccarini (Alcindoro), Marco Montagna (Parpignol).

Ben preparato da Roberto Ardigò il Coro del Festival Puccini; e ottimo il Coro delle Voci Bianche istruito da Viviana Apicella. Per il resto... chissà se passerà alla storia l'epiteto con il quale abbiamo definito questo allestimento: La Bohème di fischi e fiaschi... (la recensione si riferisce alla recita di venerdì 14 luglio 2023)
Crediti fotografici: Ufficio stampa del Festival Puccini di Torre del Lago Nella miniatura in alto: il bendato direttore Alberto Veronesi Sotto: ancora il maestro Veronesi mentre dirige bendato Al centro, in sequenza: panoramica sulla soffitta; i quattro bohèmienne nell'ordine, Sergio Bologna (Schaunard), Antonio Di Matteo (Colline), Alessandro Luongo (Marcello) e Oreste Cosimo (Rodolfo); Ancora Oreste Cosimo con Claudia Pavone (Mimì) nel primo e terzo quadro dell'opera In fondo: la brava Federica Guida (Musetta) nel secondo quadro dell'opera
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