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Le celebrazioni pucciniane proseguono al Teatro del Giglio ma non č tutto oro quel che luccica |
Messa di Gloria di poca gloria |
intervento di Simone Tomei |
Pubblicato il 22 Dicembre 2023 |
LUCCA - Il 29 novembre 2023 è iniziato ufficialmente l’anno delle celebrazioni per i cento anni dalla morte di Giacomo Puccini. Le iniziative prodromiche hanno trovato in questa data ufficiale il loro senso di attesa più profondo e da oggi al 2024 avremo modo di veder ricordato il nome del compositore in svariate iniziative del Comitato promotore delle Celebrazioni pucciniane. Al Teatro del Giglio di Lucca è andata in scena la Messa a quattro voci del doge lucchese, meglio conosciuta come Messa di Gloria. Si tratta di un’opera giovanile in quattro parti scritta per coro, tenore e baritono solisti e orchestra; viene presentata come saggio di diploma all’Istituto Musicale Pacini di Lucca ed eseguita il 12 agosto 1880. Puccini, che non ha mai pubblicato la partitura, ha riutilizzato i temi dell’Agnus Dei e del Kyrie rispettivamente in Manon Lescaut e in Edgar. L’opera lascia intravedere quella forza drammatica che Puccini avrebbe manifestato nelle composizioni successive: melodie pastorali che evolvono verso climax travolgenti, fughe frenetiche, episodi solenni e trionfanti; la struttura riprende le cinque parti della Messa cattolica: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Benedictus, Agnus Dei. Con l’occasione voglio qui riportare una nota sul nome della Messa scritta dalla musicologa Gabriella Biagi Ravenni (CSGP 1999): «... Il titolo Messa a 4 con orchestra, scelto per questa esecuzione, è quello che Giacomo Puccini ha apposto, ovviamente di suo pugno, sulla prima pagina dell'autografo, conservato presso il Museo Casa Natale Giacomo Puccini a Lucca (per analogia, anche per il Mottetto per San Paolino, è stato usato il titolo che compare sull'autografo, conservato in una collezione privata). Anche il titolo Messa a 4 voci con orchestra è pienamente legittimo, dato che compare ma evidentemente è scritto da altra mano sulla copertina del medesimo autografo, e che è ripetuto su due altre fonti importanti, la cosiddetta copia Spinelli (conservato nella Biblioteca dell'Istituto Musicale "L. Boccherini" a Lucca), e la cosiddetta copia Vandini (di cui al momento non si conosce l'ubicazione, ma che è consultabile in una riproduzione fotografica presso la Library of Congress di Washington). Nessuna traccia quindi, nelle fonti, del titolo Messa di Gloria, con cui si continua a chiamare la Messa di Puccini in manifesti, programmi di sala, pubblicazioni, incisioni discografiche, e che fece la sua comparsa nella prima edizione a stampa della partitura, nel 1951, presso la casa Mills Music di New York. Promotore della pubblicazione e anche di un'importante esecuzione a Chicago nell'anno successivo era stato il sacerdote Dante Del Fiorentino, amico di Puccini (aveva anche esercitato il suo sacerdozio per alcuni anni a Torre del Lago, che si era poi trasferito negli Stati Uniti. All'inizio degli anni Cinquanta, Del Fiorentino era tornato a Lucca per rimettere insieme notizie utili per scrivere un libro di memorie sul compositore (che poi uscì, in inglese, a New York nel 1952: Immortal Bohemian: An Intimate Memoirs of Giacomo Puccini). È probabile che in quell'occasione acquistasse dalla famiglia Vandini una copia della Messa (appunto la cosiddetta copia Vandini): lo prova il copyright apposto a suo nome, in data "11 sept. 1951", sulla copia. Sembra evidente che il falso titolo Messa di Gloria sia stato scelto dall'editore o dal Del Fiorentino, ma non se ne capiscono le motivazioni: per convenzione il nome Messa di Gloria indica una Messa che comprende solo le prime due sezioni dell'ordinario, Kyrie e Gloria, e questo un sacerdote avrebbe dovuto saperlo. Nell'Ottocento era frequente che i compositori scegliessero questo tipo di Messa, come era frequente che componessero indipendentemente le altre sezioni dell'ordinario, o addirittura singoli versetti delle sezioni più lunghe, Gloria e Credo. Rossini compose una celebre Messa di Gloria, eseguita per la prima volta a Napoli nel 1820, e Donizetti, nel 1837, compose una Messa di Gloria e Credo per la stessa occasione, a conferma del significato esatto del termine. Comunque siano andate le cose, sarà opportuno non usare più un nome che rischia di dimezzare la Messa!»
Oltre a questa composizione giovanile è stato eseguito anche il "Libera me" dal Requiem di Giuseppe Verdi come scritto in programma con una precisazione che a breve esporrò; tale composizione fu composta inizialmente nel 1869 dal “bussetano” per onorare, assieme ad altri musicisti del tempo, la figura di Gioachino Rossini ad un anno dalla sua morte e poi rimaneggiata per essere inserita nella grande “opera”, appunto il Requiem, in onore di Alessandro Manzoni nel 1874. In relazione a questa scelta mi è sorta più di una perplessità in merito alla versione eseguita a Lucca: dal curato libretto di sala, le note esplicative distinguono in maniera piuttosto chiara le versioni del Libera me con due appellativi netti: quello della Messa per Rossini e quello del Requiem; le differenze musicale non sono enormi, ma se guardiamo dall’elenco dei brani citati in programma troviamo scritto “Libera me” dal Requiem, mentre da un ascolto attento, anche confrontandomi con altri, ho la quasi certezza che sia stato eseguito quello composto per Rossini. Questa perplessità è dunque riconducibile ad una sorta di imprecisione che in questi contesti, a mio avviso, non è assolutamente tollerabile. Il secondo aspetto che mi ha suscitato notevoli imbarazzi risiede nella scelta per questa serata del brano verdiano; nessuno degli organizzatori sa che Giacomo Puccini ha composto un bellissimo Requiem che, seppur più semplice nella struttura, avrebbe potuto essere un perla da incastonare in un momento così celebrativo? Risulta difficile pensare che in una circostanza dove si spendono lauti fondi pubblici per un centenario così importante non si ponga particolare attenzione all’aspetto propriamente musicologico legato al compositore lucchese e si mettano in programma brani che, pur nella loro indiscutibile bellezza, nulla hanno a che fare con l’evento che stiamo celebrando. Venendo all’aspetto musicale della serata, le delusioni sono state piuttosto numerose a partire dalla tanto osannata Wiener Philharmoniker e dal direttore Adam Fisher; l’agogica mi è sembrata assai fuori luogo e molto incline a conferire a tutta la composizione un senso di smisurata confusione, con suoni spesso esasperati e un incedere tra il frenetico ed il nevrotico, ben lontano da quel senso elegiaco e sacro che le sarebbe proprio. Non si evidenziano plausi nemmeno per il coro Sigverein Der Gesellschaft Der Musickfreunde Wien preparato e diretto dal M° Johannes Prinz; se la pronuncia lascia assai a desiderare (il latino non si attaglia affatto bene alla lingua tedesca pur essendone la culla), musicalmente mi è apparso assai approssimativo ed in più momenti - vedasi l’attacco del Cum sancto spiritu - assai scollato e fuori tempo rispetto alla musica. Anche le dinamiche hanno lasciato assai a desiderare: i forti/fortissimi sguaiati ed i piano/pianissimi inconsistenti. Per quello che riguarda i solisti le note non sono più appaganti trovando il baritono Massimo Cavalletti assai a disagio con le poche battute a lui destinate; fraseggio anodino e acuti - la nota più alta è un Fa naturale - al limite dell’accettabile. Il tenore Vittorio Grigolo, più impegnato musicalmente del collega, non ha saputo cogliere lo spirito sacro e spirituale della composizione imponendosi vocalmente alla “Cavaradossi” nella sua accezione più smielata e patetica con accenti troppo marcati e falsetti del tutto inappropriati, quasi a nascondere difficoltà nelle note più impervie. Ritengo inoltre che in tale contesto sia importante anche l’atteggiamento “in scena”; le movenze del tenore mi hanno ricordato di più i miei studenti a scuola, impazienti al suono della campanella di uscire di classe per la ricreazione, che non un interprete in concerto. In merito ai solisti scelti mi sovviene anche un’altra riflessione: siamo nel centenario delle “Celebrazioni pucciniane”, siamo nella sua città natale, ci vantiamo di portare a Lucca un consesso musicale di alto livello anche se a mio avviso non è stato così; perché, dunque, non ingaggiare anche un artista ad hoc - non penso che un cachet in più avrebbe spostato l’ago dell’equilibro finanziario - per farci gustare in tutta la sua bellezza il Crucifixus? Solisti bassi o bass-bariton adatti a questo brano ce ne sarebbero stati molti e forse avrebbero anche reso miglior servizio alle parti più baritonali di cui ho parlato sopra. Il Crucifixus eseguito dal coro maschile ha perso tutta la sua pregnanza sia per un impasto di suono non troppo preciso, sia per poca intelligibilità della parola cantata.
Spicca, però, su tutti il soprano Alessia Panza impegnata nel brano verdiano cui ha saputo conferire, con voce calda e con fraseggio elegante, un senso religioso e mistico - assente fino a questo punto - nel momento conclusivo della serata. Da lucchese e da studioso di Puccini e della sua città ritengo che la serata, seppur osannata da quasi tutto il pubblico in teatro, sia stata ben al di sotto di quanto, in un momento così topico, avrei desiderato per la mia città e per il suo compositore più illustre che ho visto ben meglio omaggiato e ricordato in altri lochi. (il servizio si riferisce al concerto del 29 novembre 2023)
Crediti fotografici: Giorgio Andreuccetti per il Teatro del Giglio di Lucca Nella miniatura in alto: il "doge" Giacomo Puccini Al centro, in sequenza: Massimo Cavalletti, Vittorio Grigolo, Alessia Panza e Adam Fischer Sotto: i ringraziamenti di orchestra e coro per gli applausi del pubblico
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