FIRENZE - Manca poco affinché per la terza volta il mezzosoprano Marina Comparato interpreti il ruolo di Carmen nell’omonima composizione di George Bizet al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Un personaggio che le è congeniale. L’occasione fa il ladro… ed ecco che ho “rubato” dallo scrigno della sua vita qualche sfaccettatura non solo dell’artista, ma anche della donna.
Chi era Marina prima della lirica?
Sono nata a Perugia, dove ho frequentato il liceo classico e ho anche studiato pianoforte al Conservatorio Morlacchi. A diciannove anni mi sono poi trasferita a Firenze per frequentare la Facoltà di Scienze Politiche, dove mi sono laureata in Diritto Costituzionale, italiano e…comparato.
Quando è nata la tua passione per la musica?
Da bambina, soprattutto grazie alla mia famiglia. Mia madre suonava il pianoforte e il mio nonno materno il violino, di conseguenza la passione per la musica classica e per l’opera erano molto radicate in casa. La mia grande passione infantile era il Coro degli zingari nel Trovatore. Anche mia nonna paterna suonava il pianoforte e l’organo: è stata proprio lei a regalare ai miei genitori il piano verticale, sul quale ho iniziato presto a mettere le mani. Quindi ho frequentato il Conservatorio a Perugia fino all’esame del quinto anno. Il Liceo mi impegnava molto, ma non è stato quello l’unico motivo per cui ho abbandonato lo studio del pianoforte: avevo avuto una “sbandata” per la break dance!
È stata la mamma a mantenere viva in me la passione per la lirica. Era la Presidente degli Amici della Lirica di Perugia ed organizzava dei torpedoni per andare a vedere le opere a Firenze o a Roma.
Che percorso di studi hai fatto per avvicinarti al canto?
Durante gli anni universitari, dato che volevo comunque continuare a fare musica, iniziai, un po’ per gioco, a cantare in vari cori: prima quello del Duomo di Firenze e successivamente quello della Scuola di Musica di Fiesole. Lì incontrai il mio primo insegnante di canto, il Maestro Elio Lippi, direttore del coro, che impostò la mia voce e mi accompagnò nello studio della tecnica con grandissima attenzione e professionalità. Tre anni dopo, nell’incertezza che accompagna sempre i neolaureati, il Maestro Lippi mi disse: “Visto che ti sei laureata e hai l’estate libera, perché non tenti da privatista l’esame intermedio di canto al Conservatorio Cherubini di Firenze?” Mi preparai con l’aiuto di Gianni Fabbrini, colui che sarebbe diventato il mio pianista di riferimento e con cui tuttora preparo ogni nuovo ruolo. All’esame di settembre ero emozionata, ma anche piuttosto scanzonata, perché alla fine era quasi un gioco.
Invece l’esito andò oltre le mie più rosee previsioni. La signora Renata Ongaro, decana delle insegnanti del Cherubini, decretò che dovevo assolutamente entrare come interna e ovviamente sotto la sua ala. Dissi a mamma e papà che mi avevano ammesso al Conservatorio e, alla domanda “Cosa faccio?”, trovai pieno sostegno, fiducia e incoraggiamento. Se non fosse andata come speravo, avevo pur sempre una laurea in tasca. Invece mi diplomai due anni dopo e iniziai subito a fare concorsi, il più importante dei quali (il Concorso del Teatro lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli”) mi aprì le porte della carriera lirica. E così la laurea rimase (ed è ancora) nel cassetto…




Che ricordo porti nel cuore dei tuoi insegnanti?
Oltre al Maestro Lippi e alla signora Ongaro, ho un rapporto ventennale con il Maestro Fabbrini che ritengo un grandissimo preparatore, oltre che ottimo pianista. Con lui ho costruito passo passo tutti i ruoli della mia carriera e continuo tuttora a perfezionarli. Devo molto anche ad altre due figure, tanto importanti per la mia formazione, quanto carissime amiche nella vita: Susanna Rigacci (che mi ha seguita nei primi anni di carriera, guidandomi verso Cherubino) e la mia attuale insegnante Donatella Debolini, che, con un profondo lavoro di revisione della tecnica e di reimpostazione della voce, mi ha condotta a scoprire la Marina/Carmen e non solo…
Raccontaci le emozioni dei tuoi debutti a Londra come Rosina e al Maggio Musicale Fiorentino nell’Elektra diretta dal M° Claudio Abbado.
Se ripenso a quella sorta di incoscienza, mista a senso di scommessa, che accompagnò i miei primi passi nel mondo dell’opera, stento io stessa a crederci. Per dire, quando, dopo la prima audizione al Teatro del Maggio, mi telefonarono a casa chiedendo della Signora Comparato, passai loro la mamma, la quale si sentì proporre un contratto nella nuova produzione di Elektra, nel ruolo dell’ancella. Di quella produzione ricordo lo stupore di ritrovarmi sull’enorme palcoscenico, che tante volte avevo visto come spettatrice, e soprattutto quell’uomo, asciutto e scattante, che dirigeva tutto a memoria e a cui bastava uno sguardo per guidare il palcoscenico.
Il debutto a Londra arrivò qualche mese dopo, in seguito a un’altra audizione fatte sempre un po’ per caso, un po’ per gioco. Insomma mi presero e partii alla volta dell’Inghilterra, sempre più incredula che stesse veramente succedendo a me... Invece Rosina divenne una delle mie parti chiave, in Italia e all’estero, da Parigi a Pechino, da Siviglia a Buenos Aires.
Il mezzosoprano spesso interpreta parti “en-travesti”. Come ti approcci a un ruolo maschile con mente e corpo femminili?
I ruoli “en travesti” hanno rappresentato uno dei capisaldi della mia carriera giovanile. Complici un fisico asciutto e minuto e una voce che all’inizio era piuttosto ibrida (a metà tra il soprano e il mezzo), mi spinsero subito verso i ruoli di paggio, ragazzo e giovane amante. Per molto tempo il mio cavallo di battaglia è stato Cherubino, maturato negli anni soprattutto grazie all’apporto di grandissimi registi, che mi hanno aiutato a scoprirlo e a farne vivere tutti gli aspetti più reconditi. Ne vorrei nominare tre, ognuno dei quali, a suo modo, ha aggiunto un tassello fondamentale al mio Cherubino: Graham Vick, Jonathan Miller e Mario Martone.
Per quanto mi riguarda, l’approccio ai ruoli maschili in quanto donna, è partito dalla ricerca del vissuto della mia adolescenza, dal ricordare i miei coetanei maschi al ritrovare quelle emozioni, quei turbamenti che sono di entrambi i sessi. Il lavoro con i registi (nel plasmare il modo di camminare, di guardare, i ritmi dei recitativi, le sfumature del canto, le screziature della voce) ha poi fatto il resto.
In che modo il canto ha cambiato il tuo modo di vedere, pensare e approcciarti alla vita?
Il canto è un allenamento quotidiano e una scoperta continua di se stessi, delle proprie possibilità, dei propri limiti. È una ricerca interiore e una disciplina che si impara con gli anni e che non finisce mai.


Non canti solo opera, ma anche musica da camera.
Amo molto la musica da camera francese, anche quella del Novecento, a cui mi sento molto affine per vocalità e sensibilità artistica. Ho cantato spesso Ravel (dedicandogli anche un recital al Teatro San Carlo nel 2017) e ho frequentato abbastanza anche la cameristica tedesca, soprattutto Mahler e Brahms, senza scordare le composizioni del mio adorato Rossini, eseguite diverse volte in concerto. Ma un altro mio grande amore è la musica da camera in lingua spagnola, da De Falla a Granados, da Guastavino a Montsalvatge, per finire con le splendide canzoni popolari di Federico García Lorca alle quali ho appena dedicato il cd Preludios Y Canziones, con l’accompagnamento del chitarrista Marco Minà.
Nel 2017 hai debuttato a Venezia come Carmen. Quanta fatica e quanto impegno hai messo nella preparazione di questo ruolo?
Il debutto come Carmen è stato uno degli impegni più importanti della mia carriera. Quando ho saputo di aver ottenuto la scrittura, ho dedicato tutto il mio tempo alla preparazione del ruolo. Sono andata in Francia per perfezionare la pronuncia francese con un pianista preparatore e ho riservato moltissime ore all’approfondimento della vocalità del personaggio. Direi che, per quattro mesi consecutivi, non ho fatto altro che studiare Carmen. Ovviamente la prova mi spaventava un po’ perché provenivo da un repertorio molto diverso (solo pochi mesi prima avevo cantato Mozart) e la mia formazione molto “classica” era ben lontana dalla profonda visceralità della zingara. Ho avuto però la fortuna di debuttare questo ruolo sia in un teatro “giusto” (dal punto di vista dell’acustica e della direzione artistica), sia con un Maestro come Myung Whun-Chung. Lui da un lato ha assecondato la mia vocalità, sfruttando il rigore che proveniva dall’assidua frequentazione del belcanto, ma dall’altro mi ha spinto a trovare dentro di me una tragicità che non sapevo di avere.
È stato veramente uno degli esordi più belli della mia vita artistica e il riconoscimento di questi sforzi è arrivato con la scrittura a Firenze e con quelle per il 2020.
Si tratta della tua terza Carmen a Firenze, in un allestimento che, al debutto, creò molto chiacchiericcio per il suo finale “invertito”. Ce ne vuoi parlare?
Ho affrontato la prima edizione con una certa diffidenza, lo devo confessare. Temevo che cambiare il finale avrebbe tolto forza al mio personaggio e sminuito l’archetipo che Carmen rappresenta. Il regista Leo Muscato ci ha fatto però capire che la narrazione e la specificità dei personaggi restavano identiche, al pari della tragicità di Carmen e del suo desiderio di libertà. Allora ho pensato che il mio compito era quello di rendere al meglio delle mie possibilità interpretative le richieste registiche e che la musica avrebbe guidato la mia Carmen. Così è stato, a prescindere dal finale.
Cosa è cambiato in quasi tre anni nel tuo modo di vedere e sentire Carmen?
Quando l’anno scorso ho ripreso la produzione di Firenze, mi trovavo in una situazione diversa. Ero io la titolare del ruolo, conoscevo già molto bene la regia, non avevo più alcuna preoccupazione di tipo vocale ed ero abituata all’acustica del Teatro del Maggio. Nei mesi precedenti mi sono quindi dedicata ad approfondire il personaggio, sia dal punto di vista drammaturgico (con una persona che, nella sua discrezione, non desidera essere nominata), sia da quello prettamente fisico. Come nell’affrontare Cherubino, tanti anni prima, avevo dovuto lavorare sul mio fisico, così ora avevo bisogno di trovare in me il corpo di Carmen. In questo caso è stata di grande aiuto la presenza di una cara amica, la ballerina e attrice Jane Tayar, con cui ho lavorato a lungo sul movimento, il modo di camminare, di fermarsi, di sedersi, di guardare e di ballare, se necessario.
E ora? E ora sto tornando alle origini. Ho ripreso lo spartito e mi sono riletta, battuta per battuta, tutte le indicazioni, vocali, musicali, registiche, sceniche e drammaturgiche, che in questi anni si sono sovrapposte e incrociate. E spero di trovare una fusione ancora maggiore dei tanti stimoli ricevuti in questi tre anni.
Come donna, Carmen è vicina o distante dalla tua personalità e dal tuo carattere?
Occorre innanzi tutto capire chi è Carmen, un personaggio così frequentato che le stratificazioni sono innumerevoli. Devo dire che mi ritrovo molto nella sua ironia, nella sua sfacciataggine e nel suo desiderio di libertà. Mi è divenuto familiare anche il suo lato drammatico, dalla capacità di interiorizzare la consapevolezza della propria forza e del proprio destino (penso alla scena delle carte) alla sua determinazione nel duetto finale.
E dove ti porterà prossimamente questo ruolo?
Nel febbraio 2020 lo canterò nuovamente a Tokyo, per un ciclo di rappresentazioni in forma di concerto con la Tokyo Philharmonic Orchestra, diretta dal Maestro Chung, che mi ha invitata personalmente per questa produzione. Poi sarò nuovamente alla Fenice in marzo e aprile, per una ripresa della bellissima edizione con la regia di Calixto Bieito.

Dopo Carmen hai messo da parte i ruoli mozartiani per evolverti verso un repertorio diverso o li vedi ancora nel tuo futuro?
La voce mi sta portando verso un repertorio più lirico, ma assolutamente non ho messo da parte Mozart, anzi sarei felicissima di cantarlo ancora: è sempre un balsamo per la voce! Avrei una gran voglia di riprendere il ruolo di Sesto nella Clemenza di Tito, debuttato a Spoleto e poi ripreso qualche anno fa con la direzione del Maestro Gelmetti. Sono sicura che la maturazione vocale arricchirebbe questo personaggio.
Quale ruolo porti nel cuore e quale vorresti debuttare?
Beh il ruolo del cuore è ovviamente Cherubino, che fa parte del mio passato. Due parti per cui penso di essere ormai pronta sono Eboli nel Don Carlo e Amneris in Aida. Chissà…
Parlaci di Marina oltre la musica: hai facoltà di dire tutto quello che vuoi… e anche di più! Siamo curiosi.
Marina oltre la musica… Bella domanda!
Marina è viaggi e soprattutto è amore per la Sicilia: un amore sconfinato, inspiegabile, che condivido con mio marito Kaled. Siamo entrambi pazzi della Sicilia, ci andiamo pressoché ogni anno e l’abbiamo girata in lungo e in largo, senza mai stancarci di scoprirne ogni angolo. Ogni anno pensiamo di ritirarci lì, prendere una piccola casa in campagna, fuori dalle rotte balneari, assaporare appieno questa terra meravigliosa e goderci la pensione, se mai ci arriveremo…
Marina è anche una che ha studiato Scienze Politiche ed è sempre molto interessata alle vicende sociali, economiche e politiche dei nostri tempi. La frequentazione dei social network, che assorbono, ahimè, una grossa fetta del tempo, mi porta ad interessarmi molto del mondo contemporaneo, in particolare alle sorti dei poveretti che attraversano l’Africa e il Mediterraneo alla ricerca di una vita migliore. Mi sono ritrovata spesso a piangere, impotente, di fronte allo schermo. Cosa possiamo fare per aiutarli? Questa domanda mi rincorre sempre. So comunque di non essere sola: altri colleghi e amici si sentono come me.
Poi Marina è una gattara. Ho una gatta adoratissima, Charlotte, adottata a Palermo, che sino al mese scorso era la regina della casa finché… ho deciso che ce ne voleva un altro. Così sono andata in un gattile e ho preso il gatto più difficile e pauroso, quello rosso che non aveva voluto nessuno. È rimasto rintanato sotto il divano per giorni, finché, un nastrino di raso rosso non ha vinto le sue paure: “O caro, o bello, o fortunato nastro!” Non poteva che chiamarsi Cherubino! Ora è qui accanto a me, che ronfa felice.



Domanda che ricorre sovente nelle mie interviste: che rapporto hai con la critica musicale?
Sono molto rispettosa della critica musicale, penso che per noi sia un’opportunità per guardarci da fuori, aggiustare il tiro, se necessario, o proseguire sulla strada intrapresa, se giusta. Certo, ritengo che, come in qualunque altra attività, la competenza su quello di cui si scrive e il rispetto per le persone recensite debba venire prima di tutto. Ma per noi musicisti è molto facile accorgerci se chi scrive è competente o meno e trarre le relative conclusioni.
Dato che la nostra chiacchierata sta per finire, vorrei chiederti prima quali saranno i tuoi prossimi impegni, oltre a quelli che ci hai già anticipato…
Dovrei riprendere l’anno prossimo il ruolo di Charlotte in Werther, ruolo che ho debuttato al Teatro Massimo di Palermo nel 2017, subito dopo Carmen. Altro ancora non posso dire…
… e poi di salutarci con un sogno nel cassetto e un desiderio per il futuro.
Un sogno nel cassetto: cantare al Metropolitan.
Un desiderio: una piccola casa, circondata da mandorli e aranci, da cui vedere tramontare il sole sul mare.

Se andrai al Metropolitan spero di avere un invito speciale e nell’attesa della realizzazione di questo grande sogno aspetto con gioia di ascoltarti in questa ripresa fiorentina di Carmen. A presto e buona vita.
Ho condiviso qualcosa di me con immensa gioia; buona vita a te e a tutti i lettori che, a questo punto, avranno pazientemente letto qualcosa in più di Marina.
Crediti fotografici: Archivio personale di Marina Comparato