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Poco pubblico per un'opera capolavoro realizzata con un allestimento capolavoro

Il trionfo di Roberto Devereux

servizio di Simone Tomei

Pubblicato il 19 Marzo 2016

160319_Ge_00_RobertoDevereux_MariellaDeviaGENOVA - Chiedo venia sin dall’inizio se nel mio discorrere di questo capolavoro donizettiano mi dilungherò in una minuziosa trattazione dell’opera; questo componimento risuona dentro me come un’eco che si assopisce, senza però mai spegnersi e ogni volta che arriva una sollecitazione, riemerge in maniera ancora più travolgente ad invadere i sensi, scuotere le emozioni e inebriare la mente; tutto questo è difficile poterlo trattenere, ma soprattutto è immenso piacere condividerlo per cercare - seppur con uno strumento materiale qual è la parola scritta - di riuscire a trasmettere fedelmente tale turbinio interiore; proprio in maniera da farlo esplodere in un’estasi che a tratti porta fuori del mondo umano, per condurmi prepotentemente nell’onirismo più estatico. Ebben, incominciamo...
Gaetano Donizetti mise mano alla composizione dell’opera nel corso della terribile estate del 1837, durante la quale perse il terzo figlio e l’amata moglie Virginia Vasselli. La prima dell'opera fu ritardata a causa dell'epidemia di colera, la stessa che troncò la vita di sua moglie. Proprio questo evento ci dà spiegazione di frase incompiuta che si rinviene in una corrispondenza tra Donizetti e Toto  - alias Antonio Vasselli cognato del compositore -: “… Questa sarà per me l’opera delle emozioni; ma non desidero cominciare le fatiche, ché ad ogni pagina…”: la frase rimane sospesa quasi a voler lasciar intendere quanto lo spaventasse la prospettiva di preparare l’esecuzione della musica composta durante l’estrema malattia di Virginia. L'opera andò in scena il 28 ottobre 1837, presso il Teatro di San Carlo di Napoli. Opera numero 57 di Donizetti, è diventata un grande favore di pubblico italiano e straniero; dopo circa quattro decenni di produzioni di successo, il Roberto Devereux è scomparso dal repertorio operistico fino alla sua rinascita a Napoli nel 1964, nella storica produzione che vide protagonisti Leyla Gencer, Ruggero Bondino, Piero Cappuccilli, Anna Maria Rota, sotto la direzione di Mario Rossi.
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Roberto Devereux
si colloca nel periodo di massimo apice creativo del compositore bergamasco; infatti, anche se aveva già raggiunto un buon successo nella sua carriera, la popolarità di Donizetti con il pubblico italiano sale alle stelle dopo la prima di Anna Bolena nel 1830. Salvatore Cammarano scelse per il Devereux un dramma teatrale di Jacques Ancelot, chiamato Elisabeth d'Angleterre (1829) come sorgente per il libretto. La sua storia, intitolata Roberto Devereux, è focalizzata sulla potente regina Elisabetta I e il suo affetto per il conte di Essex. Il forte fascino per l’era elisabettiana aveva già fornito ispirazione per numerose altre opere scritte da Donizetti tra cui Il castello di Kenilworth (1829) e le già citate Anna Bolena e Maria Stuarda; assieme a queste ultime due opere, Roberto Devereux fa parte del cosiddetto "Ciclo delle regine Tudor" di Donizetti. Collocandosi nel secondo periodo compositivo dell’autore, possiamo vedere in questa partitura alcune caratteristiche di tutto quello che vi era a monte, scorgendo moduli e tipologie vocali rossiniane, ma al contempo non possiamo non accorgerci che questa è un’opera molto visionaria dove compaiono delle figure musicali che guardano al futuro in maniera lungimirante, segnando quindi una linea compositiva di demarcazione che troverà i suoi sviluppi nel pieno romanticismo prima e nella musica verista poi.
Questo connubio di note e di emozioni ha trovato una sua realizzazione con una tendenza, oserei dire, alla perfezione, nell’allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova per la stagione lirica del 2016. In questa giornata di fine inverno - siamo al 17 marzo - fredda e piuttosto ventosa, ho potuto assistere alla prima rappresentazione della nuova produzione della Fondazione genovese, in collaborazione con la Fondazione Teatro Regio di Parma e la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia. Voglio volutamente essere il più minuzioso possibile nel raccontarvi della visione e dell’ascolto dello spettacolo lirico e partirò proprio dall’aspetto legato all’allestimento per poi passare a quello musicale.
Come da libretto di sala intendo subito parlare dei protagonisti della messinscena iniziando dal regista Alfonso Antoniozzi (coadiuvato da Sergio Paladino), la scenografa Monica Manganelli, i costumi di Gianluca Falaschi (Gian Maria Sposito assistente) e le luci di Luciano Novelli.
Un palcoscenico sul palcoscenico ci accoglie all’apertura del sipario sulle note della sinfonia; luogo questo che non abbandonerà mai la scena sino alla fine e sarà soglio per l’ascesa iniziale di Elisabetta I e luogo dal quale lei stessa scenderà alla fine in segno di sconfitta come donna, come amante e come sovrana. Ogni situazione viene creata ad hoc attraverso delle pareti di legno che facevano intravedere quello che vi era dietro appositamente mosse in relazione alle necessità sceniche; il trono della regina entra ed esce su supporti mobili per favorire le uscite e le entrate con i sontuosi abiti; pochi oggetti scenici, due lampadari che scendono dall’alto, qualche candelabro e nel terzo atto una gabbia rappresentante la torre in cui è condotto il conte di Essex prima della condanna. Palco che diventa talora la dimora reale, talora la casa di Nottingham, talora aula di giudizio e poi torre di prigionia, forse a voler far emergere ancora di più il legame che vi è tra i personaggi.

160319_Ge_02_RobertoDevereux_MariellaDevia 160319_Ge_03_RobertoDevereux_SoniaGanassiMarcoDiFelice

È importane analizzare propio questo aspetto peculiare dell’opera in quanto il trattamento loro riservato musicalmente può suggerire molte cose; riporto qui un pensiero di Francesco Bellotto che condivido: “… Se consideriamo invece la musica dei quattro protagonisti del Devereux, ci rendiamo conto che tutti hanno almeno un momento di grande intensità patetica: Sara, Elisabetta e Nottingham nei cantabili delle loro arie di presentazione, Roberto nella sua grande scena di prigione. Questo significa una cosa ben precisa: il compositore ha deciso di non prendere le parti di nessuno dei suoi personaggi. Per Donizetti sono animati da sentimenti giusti, condivisibili, in qualche modo colpevoli ed innocenti allo stesso tempo… il finale dell’opera è dunque totalmente pessimistico, non vince nessuno e perdono tutti…”
La trama si snoda attraverso due oggetti principali, simbolici: un anello ed una sciarpa cui possiamo aggiungere se vogliamo la corona: L’elemento portante che apparentemente lega tutti i personaggi è il tradimento - tutti e quattro amano nobilmente in maniera vera e disinteressata, e tutti e quattro,  in maniera tragicamente umana, tradiscono ignobilmente i loro doveri - ma in una visione più attenta delle situazioni forse non è proprio così; chiedo aiuto anche in questo caso a Francesco Bellotto: “… La drammaturgia di Roberto si basa dunque su di un espediente teatrale semplice ed antichissimo: lo scambio degli oggetti… nelle opere tragiche gli oggetti spostati diventano motore della catastrofe finale. In Roberto Devereux l’anello di Elisabetta passa dal conte di Essex a Sara. Sara ricambia il dono regalando a Roberto una sciarpa da lei ricamata durante quelle notti di veglia piangente alle quali Nottingham, il marito, assisteva preoccupato e ignaro. L’anello così perde il suo potere di salvacondotto, e la sciarpa diventa invece la prova di un adulterio (forse più mentale che fisico). Per conseguenza si arriva allo spostamento del terzo vincolo: Elisabetta, distrutta come donna e sconfitta come regina, depone la corona a favore di Giacomo I.”
Antoniozzi, facendo leva su pochi elementi scenici - in quanto il libretto è denso di per sé di una ricca drammaturgia - non ha fatto mai venir meno il senso umano e psicologico dei personaggi, delineando sempre con acume e somma intelligenza ogni attimo e ogni sospiro tale da rendere l’opera fruibile, anche ai neofiti (che per questo titolo suppongo siano stati molti), riuscendo a far emergere con disarmante semplicità ogni più piccolo risvolto drammaturgico. Una tale interpretazione scenica piuttosto essenziale ed asciutta, ha trovato comunque il suo arricchimento nei costumi che, in quanto a sontuosità e spettacolarità, nulla avevano ad invidiare ai quadri cinquecenteschi rappresentanti la dinastia Tudor; ho visto nelle mise sceniche, una grande aderenza ai tempi e ai luoghi dove i colori talvolta cupi e talvolta sgargianti hanno trovato una loro propria evidenziazione anche grazie al lavoro del light designer che ha dato risalto con grande inventiva alle idee registiche e alle suggestioni orchestrali.
Delineato il contenitore visivo, adesso non mi resta che parlare del contenuto musicale. È arduo decidere da dove iniziare, ma forse elemento principe da tenere in considerazione è proprio lo spartito e quindi l’interpretazione che il M° Francesco Lanzillotta ha dato a questa partitura. Ho avuto il piacere e l’onore di incontrarlo il giorno della generale - e darò ampio spazio nei prossimi giorni al suo pensiero come uomo e come musicista nella pubblicazione dell’intervista che ha concesso alla nostra testata - dove ha fornito alcuni spunti di riflessione che ho cercato di fare miei, trovandone conferma nell’esecuzione la sera della “prima”. Innanzitutto come già dicevo all’inizio, proprio su suggestione dello stesso concertatore, questa è un’opera visionaria che non tradisce al contempo l’esperienza passata; la sinfonia ne è un esempio lampante; possiamo trovare dentro tutto il passato, assaporare il presente e pregustare il futuro. Il giovane direttore ha saputo mettere a fuoco tutti i colori e tutte le sfumature con gesto sempre preciso e sicuro dove gesto è diventato spesso anche il respiro che si faceva talvolta più concitato e talaltra più disteso; in tutta l'esecuzione ho potuto godere dei colori di un giardino ricco delle piante ormai senza fiore, ma con i frutti dell’esperienza rossiniana, fiorito delle primizie belcantiste proprie del suo tempo e con i bocci in attesa di esplodere delle innovazioni che hanno dato un assaggio del tempo che verrà. È proprio questa attenzione allo spartito alla voce, alla regia che non ha mai fatto venire meno una sinergia forte con il palcoscenico come a prendere il cantante sotto braccio e assecondarlo nelle difficili esigenze, che la partitura impone. Mi preme sottolineare alcuni punti importanti dell’opera che sono stati veramente il cardine di un’attenta lettura: come già detto la sinfonia che, come un crescendo rossiniano, ha trovato uno sfogo nel finale con una dinamica sempre più variegata dotata di intensità ed espressività; il finale del secondo atto che mi ha riportato alla mente le parole di William Ashbrook: “Nel secondo atto di Roberto Devereux si realizza, in modo molto italiano, l'ideale wagneriano dal brano musicale”; il “preludio” nel terzo atto all’aria di Roberto dove in certi momenti ho potuto assaporare la visione futuristica di Donizetti, ben sottolineata da Lanzillotta, che evoca alla mente la scena di Ulrica nel primo atto di Ballo in Maschera di Verdi; infine sul finale d’opera proprio prima dell’aria conclusiva di Elisabetta, alcune “strappate” degli archi e alcune note del corno hanno vagamente portato alla mente un’idea avveniristica di armonizzazione orchestrale che possiamo riscontrare nelle composizioni più moderne. In siffatta situazione l’interprete sul palco non può che aver trovato un valido bastone per affrontare l’irta salita dello spartito.
Ed eccoci alle voci che hanno completato questo quadro musicale.
Cavalleria di gentiluomo o no, credo che sia doveroso iniziare parlando della più “matura” tra le interpreti, per rispetto, stima, gratitudine ed encomio, perché è una tra le più amate e complete artiste del repertorio belcantista. Elisabetta I d’Inghilterra ha trovato in Mariella Devia una strepitosa interprete; cosa si può dire di lei? Ha cantato bene? Ha la voce proiettata? Non ha cala? Queste cose le sappiamo bene se conosciamo anche solo un po’ la cantante e seguiamo quello che si scrive di lei ogni volta che sale sopra un palcoscenico; qui vorrei, però, parlare di lei in altro modo; oltre la bravura tecnica, mi preme mettere in luce l’aspetto più importante che si richiede a colei che deve affrontare questo ruolo controverso e impegnativo; è necessario calarsi nel personaggio, svuotarsi dentro per prendere le forme dell’amore prima sognante poi vendicativo, del potere regale e infine della disperazione e della sconfitta come donna e come regina. Sono infatti questi gli stati d’animo nei tre atti del personaggio; ognuno richiede una vocalità diversa, si passa da inflessioni belcantiste a sferzate più spinte dove il crescendo della tensione emotiva è tale da arrivare in finale di opera quasi ad una trasfigurazione di sé; ed è stato proprio qui che la Devia ha donato tutta se stessa al pubblico; da Vivi ingrato fino a Quel sangue versato e poi Mirate quel palco; è stato come essere trascinati in un’altra dimensione; non era possibile battere ciglio, perché la forza calamitante della sua voce ha reso la platea come ipnotizzata per poi, una volta eseguita l’ultima corona sull’accordo finale di Re maggiore, esplodere in un tripudio ed un’ovazione unici. Lo stesso Lanzillotta sulla sua pagina ha scritto una frase molto significativa che voglio qui riportare: “... Fra trent’anni mi ritroverò seduto davanti ad un caffè a raccontare cosa ha fatto al signora Devia nella scena finale del Roberto Devereux. Sono sicuro che le parole non possono descrivere cosa sia successo in teatro, quella magia però non la dimenticherò mai. Quella voce che veniva da un altro pianeta, non si può descrivere. Credetemi non si tratta di legato, fraseggio, capacità incredibili vocali, ieri sera la signora Devia era su un altro pianeta, un pianeta irraggiungibile per noi, ieri sera la signora Devia ha lasciato una traccia indelebile nella mia mente e in quella di tutto il pubblico facendoci vivere uno degli eventi più straordinari che possano capitare nella vita degli appassionati di musica. Questa scena finale non esiste, non potrà mai più esistere. Per questo posso dire e dirò per sempre io c’ero”. Non serve aggiungere altro.

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L’altro ruolo femminile (Sara) è stato appannaggio di Sonia Ganassi; non ha avuto una partenza brillante nell’aria di sortita All’afflitto è dolce il pianto, forse dovuta all’emozione della “prima”, ma ha saputo mirabilmente riscattarsi nel prosieguo dell’opera con un duetto finale di primo atto degno delle più grandi interpreti di rifermento; anche il duetto del terzo atto, dove il dramma della paura e della gelosia sono padroni, è stato affrontato dalla Ganassi con mirabile sapienza; bella emissione, giusti accenti e grande partecipazione emotiva, gli sono valsi il plauso di una prestazione di grande effetto e trasporto.
Nel ruolo del titolo il tenore Stefano Pop; il cantante di origine rumena ha dato prova di grande professionalità e dote vocale conferendo al personaggio una sua propria dimensione che è difficile talvolta evidenziare proprio per un discorso sia musicale che psicologico; già dal primo atto si capisce che pur essendo colui che dà il titolo all'opera non ha una sua propria aria che lo distingue; è un po' trascinato sul palco dagli eventi e dagli altri protagonisti, dapprima proprio dalla regina con il quale duetta in maniera sempre più serrata con un epilogo di fuoco, poi con l'amico Nottingham ed alla fine il duetto con Sara, in una grande pagina piena di lirismo e sentimento, dove anche qui trova una sua collocazione, ma non da protagonista.
Per trovarlo partecipe in prima linea dobbiamo aspettale la grande scena del terzo atto dove nella sua romanza classica sullo stile della solita forma possiamo godere appieno di tutte le sfumature della voce; ottimo il porgere le note sul fiato, grande fraseggio e robusto sostegno del suono, che specie in acuto trova un'emissione morbida e sempre ben proiettata conferendo corpo ed anima ad un personaggio. come detto prima, vittima degli altri. La cabaletta che segue, infuoca l'ugola di Pop e la veemenza fornita dagli accenti non è mai casuale, ma dosata e sempre in simbiosi con il significato propio delle parole; un quadro nel quadro, ricco di generosità, di tecnica, di passione, che mai l'abbandonano e sempre abbondano nella sua eccelsa prova.
Un gradino sotto il baritono Marco Di Felice nei panno del Duca di Nottingham. L'ottimo timbro ha trovato un limite piuttosto notevole nell'emissione che talvolta è risultata piuttosto slegata e priva di quel fraseggio necessario a conferire eleganza e naturalezza ad un canto, che proprio per volontà stessa dell'autore, trova la sua esplicitazione in una necessità oggettiva di fluidità e naturalezza; la parte di Nottingham in realtà passa attraverso due fasi vocali: nel primo atto abbiamo un canto affettuoso legato all’amicizia con Roberto dove le arie appartengono ad un genere sentimentale e talvolta paternal-patetico, costruite su frasi molto legate seppur con stile sillabico che richiedono una vocalità tonda e morbida: l'aria Forse in quel cor sensibile ne è un mirabile esempio; si lega su questa linea anche l’implorazione - Su lui non piombi il fulmine - del secondo atto dove seppur con qualche scala ascendente o discendente non si tradisce lo stile sillabico e spianato che richiede un accento più vibrante, ma ancora legati ad un lirismo quasi puro dove la tessitura rimane piuttosto centrale. La seconda fase vocale, “vilain”, si snoda dal terzetto del secondo atto che viene risolto talvolta con frasi di canto vigoroso, anche se disteso e legato, e talaltra con formule declamatorie furenti e rabbiose, ma mai spinte ad estremi acuti, arrivando al suo apice nel duetto iniziale del terzo atto con la moglie Sara, Duchessa di Nottingham, dove si percepisce un tono di drammaticità che ci porta ad azzardare che questo ruolo di basso cantante donizettiano, possa essere diretto antesignano del baritono drammatico verdiano “Più tremendo avvampa e rugge”. - cit. Rodolfo Celletti -. Proprio la prima aria, la immagino come una collana fatta di perle preziose dove ogni gemma deve seguire l'altra con naturalezza, in virtù del fatto che sono legate tra loro da un filo invisibile; molto spesso i troppi accenti conferiti hanno tolto l' invisibilità di quel filo conferendo, conferendo al canto un senso di discontinuità che talvolta è stato motivo di perdita del collegamento naturale con la buca; peccato perché un siffatto timbro vocale è molto incline al personaggio, ma è necessario saper distinguere le intenzioni mutevoli all’interno del dipanarsi della vicenda.

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Ottimo il comprimariato che ha visto impegnato Claudio Ottino nel ruolo di Sir Gualtiero Raleigh, dove il serioso timbro basso-baritonale rotondo e pulito ha delineato il momento del secondo atto - in cui l'azione trova un suo importante nodo di sviluppo - con estrema chiarezza;  nel ruolo di Cecil un bravo Alessandro Fantoni, con ottima intonazione e serica presenza scenica; nel ruolo del Paggio, Matteo Armanino e come Familiare di Nottingham Loris Purpura. Di rilievo anche la prestazione del Coro diretto da Pablo Assante con una pecca dispositiva  - che possiamo assurgere a peccato veniale registico - perché nel concertato finale del secondo atto la collocazione sullo sfondo del palco ha fatto perdere di incisività alla scena. Mirabile invece il coro iniziale del secondo atto e ottimi tutti gli interventi di assieme con i vari protagonisti.
Il pubblico, devo dire poco numeroso per un titolo di così grande fascino e per un nome come quello di Mariella Devia, non ha mancato di tributare alla Regina di nome e di fatto, il suo calorosissimo applauso, come pure a tutti gli altri interpreti, direttore e autori della messinscena, con lanci di fiori sul proscenio ed un lungo coro di “bravi, bravi, bravi!”.
Concludo con una frase felice del regista Antoniozzi, da lui scritta dopo la sera della prima: “Ho letto in parecchi commenti che Mariella Devia ieri sera, al finale dell'opera, ha messo un Re naturale. Nego recisamente. Mariella Devia ieri sera alla fine dell'opera ha messo un Re INNATURALE, dopo un'aria che sembrava provenire da un altro pianeta. Fidatevi.”

Crediti fotografici: Marcello Orselli per il Teatro Carlo Felice di Genova
Nella miniatura in alto: Mariella Devia grande protagonista (Elisabetta)
Sotto: il tenore rumeno Stefano Pop (Devereux)
Nella sequenza al centro: ancora la Devia; poi Sonia Ganassi (Sara) e Marco Di Felice (Nottingham)
In fondo: due scatti di Marcello Orselli su scene (di Monica Manganelli), costumi (di Gianluca Falaschi) e luci (di Luciano Novelli)






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Verdi e il jazz un dialogo
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20250727_Fabbiano_00_ValtidoneFestival_AlessandroBertozziFABBIANO, Borgonovo Val Tidone (PC) - Nella serata di sabato 26 luglio 2025, un angolo a me ancora misconosciuto della Val Tidone, la suggestiva piazzetta di Fabbiano, frazione di Borgonovo Val Tidone, si è trasformato in un crocevia di sublime audacia musicale. Il Valtidone Festival, giunto alla sua 27ª edizione e promosso dalla
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Opera dal Centro-Nord
Ecco la Bohème che ti aspetti
servizio di Athos Tromboni FREE

20250720_TorreDelLago_00_LaBoheme_PierGiorgioMorandi_phGiorgioAndreuccettiTORRE DEL LAGO PUCCINI (LU) - Un po' meno pubblico per La bohème rispetto alla Tosca della sera precedente, nel Gran Teatro all'aperto sul Lago di Massaciuccoli. Comunque una buona presenza (diciamo a spanne, oltre 2 mila spettatori?) per un ritorno, quello della regia "cinematografica" di Ettore Scola del 2014 ripresa da
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Opera dal Centro-Nord
Un magico Elisir
servizio di Simone Tomei FREE

20250716_Fi_00_LElisirDAmore_AntonioMandrrillo_phMicheleMonastaFIRENZE - L'elisir d'amore di Gaetano Donizetti è un capolavoro senza tempo che, a quasi due secoli dalla sua prima rappresentazione, continua a incantare e commuovere. Definito "melodramma giocoso", fonde mirabilmente la profondità patetica con l'arguzia dell'opera buffa italiana, creando una "commedia agrodolce" capace di strappare
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Echi dal Territorio
79 anni di emozioni
redatto da Athos Tromboni FREE

20250715_Spoleto_00_Stagione2025_AntonioAgostini_phRomboniDalleLucheSPOLETO (PG) - Partirà il 7 agosto 2025 per concludersi il 24 settembre la nuova Stagione lirica del Teatro Lirico Sperimentale "A. Belli" giunta al lodevole traguardo della 79.ma edizione. Gli spettacoli, oltre che nella città spoletina, andranno in scena anche nei principali teatri dell'Umbria: «79 anni di emozioni, una stagione da vivere!» è lo slogan
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Jazz Pop Rock Etno
La notte degli Oscar
servizio di Athos Tromboni FREE

20250711_Vigarano_00_GruppoDei10_DadoMoroniVIGARANO MAINARDA (FE) - La "Notte degli Oscar" del Gruppo dei 10 idea uscita dalla testa di Alessandro Mistri (così come Pallade Atena uscì dalla testa di Zeus, ci racconta il poeta greco Esiodo) ha visto una nutrita partecipazione di pubblico allo Spirito di Vigarano Mainarda.
Non poteva essere altrimenti
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Jazz Pop Rock Etno
De Silva amore che vieni amore che vai
servizio di Athos Tromboni FREE

20250707_Comacchio_00_GruppoDei10_DiegoDeSilvaCOMACCHIO (FE) - Ha preso il via ieri sera con una nutrita partecipazione di pubblico il ciclo di sei concerti del "Gruppo dei 10" versione estiva: Tutte le direzioni in summer time 2025. Ospite per l'apertura era il Trio Malinconico formato da Diego De Silva (voce e chitarra acustica), Stefano Giuliano (sax alto) e Aldo Vigorito (contrabbasso). Prima della
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Eventi
Opera tra tradizione e novità
redatto da Simone Tomei FREE

20250703_Ge_00_StagioneCarloFelice_MicheleGalliGENOVA - È un viaggio simbolico e culturale quello che il Teatro Carlo Felice di Genova propone per la stagione 2025-2026, presentata ufficialmente alla stampa lo scorso 2 luglio. Un viaggio che coinvolge artisti e pubblico come naviganti di una stessa rotta, guidati da una bussola che punta al repertorio lirico più amato, ma non rinuncia a
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Opera dal Nord-Est
L'Aida di cristallo è tornata
servizio di Simone Tomei FREE

20250701_Vr_00_Aida_DanielOren_phEnneviFotoVERONA - Quando l’Aida di Giuseppe Verdi risuona all’Arena di Verona non si tratta di una semplice replica, è un rito collettivo, un appuntamento simbolico che scandisce il calendario della lirica estiva. Questa nuova ripresa dell’allestimento firmato da Stefano Poda, definito “di cristallo” per le sue trasparenze e gli inediti giochi di luce, ha riaperto il sipario
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Opera dall Estero
Idomeneo a San Francisco
servizio di Ramón Jacques FREE

20250701_00_SanFrancisco_Idomeneo_MatthewPolenzani_phCoryWeaverSAN FRANCISCO (USA) War Memorial Opera House - Sebbene Idomeneo, l’opera seria in tre atti di Wolfgang Amadeus Mozart (1756–1791), abbia avuto la sua prima americana il 4 agosto 1947 al Berkshire Music Festival di Tanglewood, nel Massachusetts (ora sede estiva della Boston Symphony Orchestra), fu la San Francisco Opera a
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Opera dal Nord-Est
Blue Traviata in Arena
servizio di Angela Bosetto FREE

20250630_Vr_00_LaTraviata_AngelBlue_phEnneviFotoVERONA – “È spenta!” Quando la tonante voce di Giorgi Manoshvili risuona nell’Arena, segnando il termine della prima Traviata stagionale, si viene quasi colti da un senso di sorpresa. Per quanto chiunque frequenti il teatro lirico conosca a menadito il libretto di Francesco Maria Piave, è inevitabile chiedersi da quanto tempo non si assisteva
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Opera dal Centro-Nord
Matrimonio in camera da letto
servizio di Athos Tromboni FREE

20250630_Fe_00_IlMatrimonioSegreto_GerardoFelisatti_phMarcoCaselliNirmalFERRARA - L'allestimento di Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa su libretto di Giovanni Bertati ha chiuso la stagione d'opera del Teatro Comunale "Claudio Abbado" con un vero successo di pubblico: sia per la presenza di tanti spettatori in platea e nei palchi, sia per il calore con cui è stata salutata la recita a fine serata. La produzione era il
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Opera dal Nord-Est
Tosca sugli spalti di San Giusto
servizio di Rossana Poletti FREE

20250630_Ts_00_Tosca_EnricoCalesso_phFabioParenzanTRIESTE – Castello di San Giusto. Non è l’Arena di Verona e men che meno Castel Sant’Angelo, ma gli spalti di San Giusto, le pietre antiche che contornano il grande piazzale delle Milizie, suscitano nella Tosca di Giacomo Puccini, in scena a Trieste, il senso di incombenza del pericolo, della morte che la musica del grande compositore regala al pubblico,
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Opera dal Centro-Nord
Aida nella palestra
servizio di Nicola Barsanti FREE

20250628_Fi_00_Aida_DamianoMichielettoFIRENZE –  Opera emblema del grande repertorio verdiano, Aida è spesso associata all’idea di spettacolarità, grandi masse corali, scene sontuose e sontuosi costumi esotici. Tuttavia, dietro la patina dell’epico e del monumentale, si cela un’anima intimista, quasi cameristica: Aida è, in fondo, una tragedia dell'amore e del potere, fatta di sguardi, silenzi,
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Echi dal Territorio
Torna la rassegna Tutte le Direzioni Estate
servizio di Athos Tromboni FREE

20250627_Fe_00_GruppoDei10_MassimoCavallerettiFERRARA - Torna l'estate e, come ogni anno, torna anche la programmazione "balneare" del Gruppo dei 10: Tutte le direzioni in summertime 2025, la canonica rassegna estiva conterà quest'anno sei appuntamenti, dal 6 luglio al 12 settembre che si svolgeranno per due concerti nella consolidata location del Bar Ragno di Comacchio in via Cavour 1
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Opera dal Nord-Est
Candide da Voltaire a Bernstein
servizio di Rossana Poletti (13 giugno 2025) FREE

20250614_Ts_00_Candide_KevinRhodes_phFabioParenzanTRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. Per quale motivo Leonard Bernstein scelse il romanzo filosofico “Candide” di Voltaire per scrivere un’opera che lo proiettasse nel mondo lirico? Il primo motivo è certamente la questione politica. Nel dopoguerra l’America è dominata dal Maccartismo (un po’ come oggi dal trumpismo, ma guarda
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