Pubblicato il 11 Novembre 2025
Il regista Andrea Bernard sposta al secondo dopoguerra la vicenda della duchessa figlia del Papa
Il labirinto mentale di Lucrezia Borgia servizio di Simone Tomei

20251111_Fi_00_LucreziaBorgia_JessicaPratt_phMicheleMonastaFIRENZE - A oltre quarantacinque anni dall’ultima rappresentazione fiorentina, Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti è tornata al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, dove mancava dal 1979. La nuova produzione andata in scena domenica 9 novembre 2025 ha riportato sul palcoscenico un capolavoro donizettiano di intensa forza drammatica, tratto dall’omonima tragedia di Victor Hugo.
Composta nell’autunno del 1833 e rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno, Lucrezia Borgia segna uno dei vertici della produzione tragica di Donizetti, in cui il compositore bergamasco dà forma musicale a una figura femminile di straordinaria complessità psicologica.
La fonte letteraria di Hugo, con le sue tinte fosche e la commistione di passione, crudeltà e redenzione, offriva al teatro musicale dell’Ottocento un materiale ideale, capace di intrecciare pathos romantico e introspezione morale.
Felice Romani, autore del libretto, adattò il dramma in un prologo e due atti assecondando il gusto melodrammatico italiano ma anche la necessità di temperare gli aspetti più cupi della vicenda.
Donizetti evitò infatti di indugiare sul lato più truculento del soggetto preferendo illuminare la dimensione umana e materna della protagonista.
Già dal recitativo iniziale "Tranquillo ei posa", emerge una Lucrezia non solo temibile duchessa di Ferrara, ma madre dolente, lacerata dal segreto che la lega al giovane Gennaro.
L’opera è dominata da una tensione costante tra due poli opposti: la ferocia politica e la tenerezza privata.
Nella scrittura vocale Donizetti plasma il ruolo di Lucrezia come un vero banco di prova per un soprano drammatico d’agilità, capace di unire maestria tecnica e profondità espressiva, mentre il tenore che impersona Gennaro incarna l’innocenza tragica di chi ignora il proprio destino. L’intero impianto musicale alterna episodi di apparente luminosità come lo splendido brindisi di Maffio Orsini, en travesti, di ascendenza rossiniana, a momenti di cupa tensione e lirismo struggente, fino al celebre duetto finale tra madre e figlio, "M'odi, ah m'odi", culmine di pathos e di pietà umana.
Nella sua visione di Lucrezia Borgia il regista Andrea Bernard sceglie di spostare la vicenda dal Rinascimento al secondo dopoguerra italiano, collocandola in un periodo che egli stesso definisce “fondativo della nostra società moderna”, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta. Un tempo sospeso tra la voglia di rinascere e la paura di cambiare in cui fede e politica si intrecciano e il potere si traveste da morale.
In questa cornice, ispirata alla Roma ambigua e contraddittoria del dopoguerra popolata di prelati, aristocratici e intellettuali, sospesa fra penitenza e mondanità, Bernard immagina la protagonista come una donna travolta dal proprio potere e al tempo stesso prigioniera di un desiderio di maternità negata.
Lo spazio scenico ideato da Alberto Beltrame traduce questa visione in un labirinto mentale, metafora visiva della mente di Lucrezia, dove amore e colpa, desiderio e rimorso si inseguono senza tregua.
La scelta del palco girevole, utilizzato per la prima volta al Teatro del Maggio, intende rendere la rapidità e la tensione narrativa dell’opera, conferendo movimento a un dramma che alterna introspezione e impeto.

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L’idea sulla carta funziona: dinamica, simbolica, capace di creare un flusso continuo tra le diverse dimensioni del racconto. Tuttavia la realizzazione tecnica ha mostrato qualche fragilità (non sarebbe guastato un po'  d’olio per lubrificare gli ingranaggi della pedana rotante nuova di pacca), e il dispositivo scenico, più che favorire la lettura drammatica, finisce talvolta per distrarre e complicare la visione.
Bernard ambisce a un’operazione di trasposizione psicologica: non tanto un aggiornamento di epoca fine a se stesso, quanto un tentativo di far emergere le contraddizioni interiori di Lucrezia in un contesto storico segnato da nuovi dilemmi morali. Alcuni elementi risultano indubbiamente efficaci, come le culle rovesciate che ritornano come simbolo della maternità negata, o la dimensione visiva che restituisce la fragilità del personaggio sotto la maschera del potere. Ma nel voler dire molto e nel cercare di tradurre in immagini concetti complessi, la regia cade spesso nell’eccesso sacrificando chiarezza e coerenza drammaturgica.
Il rapporto insinuato tra Maffio Orsini e Gennaro, così come l’uscita finale di Lucrezia in abiti da “papessa”, risultano scelte di gusto discutibile che spostano l’asse del racconto verso un territorio di provocazione più che di introspezione. L’effetto è quello di un accumulo di simboli che rischiano di confondere lo spettatore allontanandolo dal cuore autentico del dramma: la tensione tra potere e amore, tra la madre e la donna colpevole.

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Pur muovendosi su un terreno fertile di idee, lo spettacolo finisce quindi per risultare più concettuale che emozionale, a tratti macchinoso e disomogeneo. L’intento di attualizzare la materia donizettiana e di restituirle una dimensione morale moderna è certamente apprezzabile, ma la regia di Bernard non sempre riesce a conciliare l’intelligenza del progetto con la limpidezza della narrazione teatrale. Restano, nondimeno, la coerenza visiva dell’allestimento e alcuni spunti di forte suggestione che testimoniano una ricerca sincera, anche se non del tutto compiuta, di un nuovo modo di leggere l’universo drammatico di Donizetti.
Sul podio il M° Giampaolo Bisanti offre una lettura lucida, solida e appassionata della partitura donizettiana, restituendone la tensione drammatica e la sottile modernità orchestrale. Nelle sue mani Lucrezia Borgia acquista coesione, chiarezza narrativa e un respiro teatrale di notevole intensità.
Il maestro ha scelto di proporre una versione filologicamente articolata che riunisce le diverse redazioni dell’opera frutto delle numerose revisioni cui Donizetti sottopose il lavoro negli anni: «... Mettiamo in scena uno spettacolo che include tutte le modifiche e le correzioni apportate dal compositore nel tempo – ha spiegato Bisanti – unendo i tre finali alternativi.»
Il prologo segue dunque la versione parigina del 1840, con l’aria "Com’è bello" e la cabaletta "Si voli il primo a cogliere", mentre il finale del secondo atto adotta la variante londinese del 1839, con la romanza di Gennaro "Madre, se ognor lontano": una scelta che al di là del valore musicologico, restituisce al pubblico la ricchezza espressiva e la flessibilità creativa di Donizetti in un momento di piena sperimentazione linguistica.
Sul piano interpretativo evidenzia con intelligenza la doppia natura dell’opera: il contrasto fra il dramma e la leggerezza, fra la tinta cupa del destino e la vitalità del canto. La sua concertazione dosa con cura l’energia ritmica e la tensione narrativa senza indulgere né nell’enfasi né nel sentimentalismo. Nei passaggi più concitati imprime all’orchestra un impeto teatrale vibrante, serrato ma sempre controllato; nei momenti lirici, invece, dilata il tempo con un fraseggio denso e morbido lasciando emergere la purezza melodica e il respiro della parola cantata.
La compagine orchestrale del Maggio risponde con compattezza e duttilità restituendo i colori variegati di una partitura che alterna raffinate trasparenze cameristiche a impasti sinfonici di sorprendente modernità.
Bisanti guida con mano ferma e sensibilità stilistica, attento al dialogo fra buca e palcoscenico, valorizzando le voci senza mai coprirle ma nemmeno privare l’orchestra della sua forza espressiva. Il risultato è un equilibrio maturo e ben calibrato dove la chiarezza del gesto si coniuga con una genuina intensità teatrale.
Sul piano vocale il cast schierato dal Maggio Musicale Fiorentino si è dimostrato nel complesso equilibrato con prove di solido livello e alcune punte di particolare rilievo.
Jessica Pratt, al suo debutto nel ruolo di Donna Lucrezia Borgia, ha vinto con pieno merito la sfida confermando ancora una volta la sua statura di interprete d’eccellenza del repertorio belcantista. La parte, ardua per estensione, agilità e densità drammatica, trova nella cantante australiana un’interprete tecnicamente impeccabile e musicalmente ispirata. La voce, luminosa e omogenea, attraversa con naturalezza i diversi registri; le agilità sono nitide, le colorature scolpite con eleganza e precisione. Ma oltre alla perfezione vocale, la Pratt riesce a restituire la doppia natura del personaggio - madre e assassina, vittima e carnefice - con un’intensità interpretativa coerente e misurata senza mai cadere nell’enfasi o nel manierismo.
Nel ruolo di Gennaro René Barbera offre una prova di notevole qualità dispiegando una linea di canto curata, un legato impeccabile e un timbro luminoso di indubbia bellezza. Il fraseggio sempre elegante riesce a dare spessore psicologico a un personaggio spesso trattato come mero giovane amante. La romanza "Madre, se ognor lontano", eseguita nella versione londinese dell’opera, è stata resa con partecipazione e toccante morbidezza, segno di una sensibilità musicale non comune.
Laura Verrecchia, Maffio Orsini, si distingue per sicurezza vocale e disinvoltura scenica. Affronta con slancio e precisione le agilità della scrittura donizettiana offrendo un canto sempre ben centrato e saldo. Il celebre brindisi, pagina di virtuosismo e di contagiosa vitalità, trova in lei una protagonista piena di energia capace di equilibrare spavalderia e lirismo.
Nel ruolo di Don Alfonso dEste, Mirco Palazzi mostra eleganza e controllo tecnico, con un’emissione ben gestita e una linea di canto pulita. Tuttavia manca un po' di quella solennità e autorevolezza che il personaggio richiede: la voce, pur timbrata e salda, non sempre riesce a proiettare la necessaria dimensione di potere e minaccia che caratterizza il Duca di Ferrara.
Apprezzabile il gruppo degli amici di Gennaro e Maffio: Daniele Falcone (Jeppo Liverotto), Davide Sodini (Ascanio Petrucci) e Yaozhou Hou (Oloferno Vitellozzo) formano un trio affiatato e ben bilanciato, vocalmente coeso e scenicamente efficace.
Mattia Denti (Gubetta) convince per solidità vocale e gusto interpretativo, gestendo con fermezza una parte che sfocia nel baritonale; Antonio Mandrillo (Rustighello) si segnala per eleganza e chiarezza di emissione, sempre a fuoco e musicalmente calibrato.
Completano degnamente la compagnia Gonzalo Godoy Sepúlveda (Don Apostolo Gazella), Huigang Liu (Astolfo) e Dielli Hoxha (Un coppiere), tutti puntuali nei rispettivi interventi.

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Intenso e vibrante il contributo del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, preparato con la consueta dovizia dal M° Lorenzo Fratini. L'ensemble mostra grande coesione e precisione con un suono pieno, controllato e sempre in linea con la visione musicale complessiva. Attenta la costruzione dei volumi e degli equilibri interni che alternano con naturalezza la potenza drammatica dei grandi momenti collettivi a passaggi di più sottile intensità lirica. 
Alla fine applausi sentiti per la compagine musicale e sonore contestazioni per quella visuale.
(La recensione si riferisce alla prima” di domenica 9 novembre 2025)

Crediti fotografici: Michele Monasta per il Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze
Nella miniatura in alto: il soprano Jessica Pratt (Lucrezia Borgia)
Al centro: la Pratt con Mirco Palazzi (
Don Alfonso dEste
) e René Barbera (Gennaro)
Sotto, in sequenza: panoramiche su scene e costumi dell'allestimento curato dal regista Andrea Bernard





Pubblicato il 23 Ottobre 2025
Andata in scena a Busseto l'edizione primiera del dramma verdiano tratto da Willliam Shakespeare
Macbeth ancestrale e misterico servizio di Angela Bosetto

20251023_00_Busseto_Macbeth_AndreaBorghini_FotoDiRepertorioBUSSETO (PR) – «Penso che l’attrazione di Verdi per Shakespeare fosse legata più alla sua convinzione di poter trasformare in musica la grande letteratura che non ad affinità personali. Sicuramente aveva un istinto formidabile per l’Arte con la a maiuscola. Ma se oggi, come allora, nessuno sa nulla della vita di Shakespeare, è innegabile che Verdi era molto attratto dalle tematiche che dominano la sua letteratura.»
Così il musicologo e storico Philip Gossett commenta il legame fra il Bardo dell’Avon e il Cigno di Bussetto, che sosteneva di aver letto e scoperto Shakespeare già da ragazzo, complice l’arrivo in Italia delle sue “vere” opere, finalmente tradotte senza errori o modifiche per riadattarle al gusto di un pubblico che plaudiva il classicismo del teatro francese e reputava troppo brutale quello inglese.
Fu proprio Andrea Maffei, uno dei più raffinati traduttori italiani del Bardo, ad aiutare l’amico Verdi nella stesura di Macbeth, titolo di cui, citando ancora Gossett, «... era chiaramente innamorato, sia al momento di scriverlo, nel 1847, sia quando l’ha rivisto e ampliato definitivamente del 1865.»
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Risulta quindi assai simbolico che, nell’ambito del XXV Festival Verdi (dedicato al connubio fra Verdi e Shakespeare), al Teatro Verdi di Busseto sia stata riservata proprio la prima edizione del “Macbetto”, la stessa che debuttò a Firenze il 14 marzo 1847 (diretta dal compositore stesso), con protagonisti Felice Varesi (al cui usurpatore venne concesso di morire intonando “Mal per me che m’affidai”) e Marianna Barbieri-Nini (impegnata nella virtuosistica cabaletta “Trionfai! securi alfine”, che, nel 1865, sarebbe stata sostituita dall’aria “La luce langue”).
La recita conclusiva va in scena venerdì 17 alle ore 17, con buona pace delle superstizioni che circondano il dramma scozzese.
A lavorare efficacemente sulla dimensione occulta dell’opera provvede la regia di Manuel Renga, che combina l’approccio minimalista del teatro contemporaneo (complici le scene e i costumi elegantemente essenziali di Aurelio Colombo, ben valorizzati dalle luci – e soprattutto dalle ombre – di Emanuele Agliati) con gli stilemi di quello elisabettiano, a partire dalla piattaforma che circonda la buca dell’Orchestra Giovanile Italiana, diretta con polso e sentimento da Francesco Lanzillotta (votato alla restituzione dell’aura ancestrale, misterica e introspettiva che pervade il titolo).
Accompagnate da due sorelle velate (che incarnano la Morte e la Guerra), le streghe fluiscono sul palco come nebbia notturna (coadiuvate in tal senso, dalle coreografie di Paola Lattanzi), tessendo i destini degli uomini a foglie di ungarettiana memoria, evocando spiriti e creature pagane, spogliando cadaveri di soldati e pronunciando quel “vaticinio” che si palesa anche in forma di scritta luminosa.
I colori dominanti sono il nero delle tenebre, il bianco glaciale, il verde spettrale e il rosso del sangue.
Oltre a un limitato uso di oggetti in scena (spade, sedie, un bacile, vasi di verzura e poco altro), le dimensioni ridotte del luogo rendono ancor più necessario il ricorso a stratagemmi che spingano gli spettatori a lavorare di fantasia (dalla venuta di Duncano, resa con le ombre cinesi, all’assalto finale, ridotto a un singolo scontro), mentre il Coro del Teatro Regio (ben preparato da Martino Faggiani) compensa le restrizioni spaziali con grande professionalità.
Grazie a un adeguato scavo introspettivo, Andrea Borghini delinea un Macbeth nevrotico e sconfitto, che lotta per tenere a bada i propri peggiori istinti, ma che finisce inevitabilmente sopraffatto da un fato più grande e fagocitato dalla divorante ambizione della moglie.
Quest’ultima si avvale della voce copiosa e della coinvolgente performance di Maria Cristina Bellantuono, la quale (spalleggiata dalla regia) sceglie di rinunciare a ogni umanità per abbracciare il dettame verdiano secondo cui la diabolica Lady Macbeth dovrebbe “strisciare sul palcoscenico con caratteri da demone più che da donna”.

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Sugli scudi il Banco di Adolfo Corrado: timbro scuro e generoso, presenza nobile e, al tempo stesso, commovente.
Di bello smalto e ardente slancio il Macduff di Matteo Roma e più che onorevoli gli ex allievi dell’Accademia Verdiana, ovvero Francesco Congiu (Malcolm), Melissa d’Ottavi (Dama), Emil Abdullaiev (Medico) e Matteo Pietrapiana (Domestico, Sicario e Prima apparizione), affiancati da Caterina Premori (Seconda e Terza apparizione).
Se la passerella riduce ulteriormente la capienza di un Teatro già molto piccolo, il pubblico gremisce comunque palchi e platea, compensando il proprio numero con meritati applausi e ovazioni.
(La recensuine si riferisce alla recita di venerdì 17 ottobre 2025)

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Crediti fotografici: Roberto Ricci per il Festival Verdi - Teatro Regio di Parma
Nella miniatura in alto: il baritono Andrea Borghini (Macbeth)
Al centro, a destra: il direttore Francesco Lanzillotta
Sotto, in sequenza: belle istantanee di Roberto Ricci sul Macbeth nel piccolo teatro di Busseto





Pubblicato il 23 Settembre 2025
Ripresa a Firenze dell'opera giovanile di Georges Bizet con la bella regia di Wim Wenders
Una perla i Pescatori di perle servizio di Simone Tomei

20250923_Fi_00_IPescatoriDiPerle_JavierCamarena_phMicheleMonastaFIRENZE - La perfezione, si sa, non è di questo mondo. Eppure l’arte, nei suoi momenti più ispirati, ci consente di sfiorarne il mistero, in quella rara alchimia che fa dialogare la forza arcana della musica, la purezza del canto e la poesia della scena. È questa, precisamente, la sensazione che ho provato uscendo dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino dopo la recita de Les pêcheurs de perles di Georges Bizet: non un semplice spettacolo, ma un incontro totale con un mondo sonoro e visivo di sorprendente attualità.
Opera in tre atti, rappresentata per la prima volta a Parigi il 30 settembre 1863, viene troppo spesso liquidata - con una certa sufficienza critica - come un mero esercizio giovanile, un prologo alla monumentalità di Carmen. Opinione diffusa, certo, ma profondamente riduttiva. Se è indubbio che Carmen sia l’unicum che ha consegnato Bizet all’Olimpo dei compositori, Les pêcheurs de perles possiede una dignità artistica autonoma e folgorante: in essa si colgono, già pienamente dispiegate, le intuizioni timbriche e teatrali di un genio. L’opera intreccia amore e amicizia in un triangolo di passioni ambigue e struggenti, innesta l’esotismo - così caro al gusto francese di metà Ottocento - in una scrittura musicale che rivela, sin da subito, la mano di un melodista finissimo e di un orchestratore visionario. Dalla tensione dei duetti al celebre coro Brahma, divin Brahma, dai languori notturni dell’aria di Nadir alla nobiltà tragica del sacrificio di Zurga, ogni pagina è un sigillo di quel genio che non può più essere confinato nell’etichetta di “giovane promessa”.
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Ed è proprio questa consapevolezza a essere colta e magnificamente rilanciata dalla regia di Wim Wenders, qui ripresa da Derek Gimpel. Il celebre cineasta, alla sua prima esperienza operistica in Italia, sceglie con intelligenza la via della sottrazione poetica: spoglia la vicenda da ogni orpello esotico, da ogni cartolina di maniera, per restituirla a una essenzialità senza tempo. Lo spazio scenico, disegnato da David Regehr, si compone di pochi, potentissimi elementi evocativi: proiezioni di mari in tempesta, cieli cupi, ombre di palme e improvvisi bagliori di luce che non illustrano pedissequamente la musica, bensì ne amplificano le suggestioni più profonde. Alla stessa logica rispondono i costumi di Montserrat Casanova: linee semplici, tonalità austere, squarciate solo dall’irruzione luminosa del coro nel primo atto, con abiti giallo-zafferano e chiome rosse come un lampo di vita primordiale.
Wenders ha dichiarato di voler condurre il pubblico non verso “qualcosa da vedere”, ma verso la scoperta della musica, affinché sia essa, in ultima istanza, a raccontare la storia. Ebbene, l’intento è pienamente riuscito. La sua regia non è un apparato spettacolare distraente, ma un filtro raffinatissimo che conduce l’occhio e l’orecchio verso un’esperienza di ascolto totale, amplificata. Non si esce dal teatro con l’impressione di aver ammirato una grande mise en scène, bensì con la certezza di aver incontrato, o forse riscoperto, la musica di Bizet nella sua freschezza originaria e nella sua straordinaria capacità di evocare universi interiori. In questo senso il lavoro registico diventa un autentico luogo di riflessione sulla natura del teatro musicale: un’arte che vive della tensione tra suono e immagine, ma che trova la sua verità più profonda quando il gesto scenico ha l’umiltà di farsi servitore della partitura.

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La regia è diventata quindi il fulcro concettuale dello spettacolo, distinguendosi per una coerenza drammaturgica e una raffinatezza estetica ammirevoli. Non ci si è limitati a una mera illustrazione, ma si è costruito un percorso di lettura autentico, capace di mettere in risalto i contrasti interni al dramma e di scandirne le tensioni con precisione chirurgica. I movimenti scenici, sempre funzionali, sono calibrati per far emergere la psicologia dei personaggi e imprimere una fluida continuità al flusso drammatico. È stata resa palpabile la dialettica tra l’intimità dei protagonisti e la dimensione corale della vicenda, orchestrando masse e azioni individuali in un intreccio sempre equilibrato. Un’eleganza figurativa che si è unita a una potente capacità di suggestione.
A completare questo impianto visivo, così sobrio eppure così intenso, hanno contribuito inoltre le luci di Olaf Freese (riprese da Oscar Frosio), che hanno modulato atmosfere e tensioni con un’intelligenza visiva commovente.
La drammaturgia di Detlef Giese ha offerto infine una chiave di lettura limpida e coerente, cucendo insieme regia e musica in un disegno unitario e persuasivo.
Dal podio la direzione del M° Jérémie Rhorer si è rivelata fin dalle prime battute un’altra colonna portante dello spettacolo, una guida sapiente e sensibile per l’intero “popolo” del palcoscenico. I suoi tempi, sempre giusti, gli impeti ben misurati e mai gratuiti, hanno conferito all’opera una freschezza inattesa e un colore esotico degno delle migliori interpretazioni di riferimento. Lodevole, in particolare, la sua capacità di instaurare una sintonia perfetta con i cantanti, i quali hanno sempre recepito e valorizzato ogni più piccola sfumatura suggerita dalla sua bacchetta. La concertazione ha così offerto una visione viva, pulsante, capace di coniugare il vigore ritmico alla più cristallina trasparenza, restituendo appieno la ricchezza di una partitura che non smette di stupire.
Se la regia e la direzione hanno tracciato il solido confine entro cui la magia ha potuto compiersi, la piena riuscita della serata è stata sancita da un cast vocale di primissimo ordine.

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Nei panni di Léïla, Hasmik Torosyan ha letteralmente incantato la sala. La giovane sacerdotessa da lei incarnata è stata una figura di intensità cangiante, sospesa tra innocenza, abbandono amoroso e tormento interiore. Ha dispiegato una padronanza tecnica esemplare: voce omogenea in tutti i registri, timbro chiaro e luminoso, acuti precisi, sicuri e proiettati con eleganza innata. La linea di canto, sempre morbida e controllatissima, le ha permesso di transitare senza la minima frattura dalla delicatezza sognante del primo atto alle tensioni passionali del secondo, fino ai picchi drammatici del terzo. Il suo Ô Dieu Brahma è stato un momento di pura suggestione: una voce sospesa nell’etere, capace di avvolgere il pubblico in un abbraccio sonoro di rara, commovente intensità.
Al suo fianco, Javier Camarena ha firmato un Nadir che si candida a essere un’interpretazione di riferimento. Tenore di cristallina classe, ha saputo coniugare l’eleganza del fraseggio a un ardore contenuto ma palpabile, esibendo un legato fluido e una gestione delle dinamiche di rara finezza. La celebre aria Je crois entendre encore è diventata, nelle sue mani, un autentico momento di grazia: ogni nota cesellata con amore, ogni parola scolpita con senso drammaturgico, culminata in un sovracuto pianissimo - non previsto in partitura - che ha percorso la sala come una vibrazione di luce, strappando un applauso spontaneo e travolgente. Non era semplice virtuosismo, era canto che tocca l’anima.
Un’altra rivelazione per il sottoscritto è stato Lucas Meachem nel ruolo di Zurga. La sua interpretazione ha rivelato un artista completo, di rara versatilità, capace di fondere con naturalezza il rigore belcantistico a una forza teatrale di prim’ordine. La voce, di splendida proiezione e timbro pieno e luminoso, ha impressionato per l’ampiezza del fraseggio e per la raffinata capacità di modulare il colore con intelligenza espressiva, conferendo a ogni frase un significato preciso. Nel duetto con Nadir del primo atto, così come nella grande aria e nel duetto del terzo, ha dato una vera lezione di equilibrio tra canto e azione scenica: veemenza e dolcezza si alternavano con naturalezza, delineando un personaggio al tempo stesso autorevole e vulnerabile, credibile nella tensione emotiva e potente nella presenza. La sua magnetica presenza scenica, unita a un controllo stilistico impeccabile, ha restituito a Zurga quella statura tragica e maestosa che troppo spesso in altre produzioni viene sacrificata, confermandolo come interprete di altissimo livello, capace di elevare la partitura a un autentico esempio di drammaturgia musicale e teatrale.
Completava il quartetto principale Huigang Liu, un Nourabad di grande solidità e autorevolezza. La sua voce, dal timbro scuro e compatto ma non eccessivamente cupo, ha conferito al sommo sacerdote una dignità ieratica, evitando con acume ogni rigidità monocorde. Ha scolpito con precisione le sue poche ma decisive battute, imponendo un’autorevolezza naturale che ha dato al tessuto drammaturgico una base solida e credibile.
In questo disegno così coerente, un ruolo da assoluto protagonista è stato svolto dal Coro del Maggio Musicale Fiorentino, preparato con mano sapiente dal M° Lorenzo Fratini. Le sue voci non sono semplicemente un commento alla vicenda ma ne diventano l’anima stessa, la coscienza collettiva della comunità di pescatori. L’invocazione Brahma, divin Brahma non è solo un momento di colore locale ma un evento drammaturgico di enorme impatto: un blocco sonoro compatto, potente, che fissa l’atmosfera di sacralità e mistero. La presenza scenica, orchestrata dai movimenti registici con impeccabile fluidità, è sempre funzionale alla narrazione. Sono il mare che circonda i personaggi, la legge che li incalza, la folla il cui umore cambia come il vento. La compattezza degli ensemble, la duttilità nel passare dalle preghiere sussurrate all’ira tumultuosa, e la resa impeccabile delle dinamiche più sfumate testimoniano una preparazione meticolosa e una direzione corale di altissimo livello. È il coro a tessere, con le sue trame, l’ambiente stesso in cui la tragedia prende vita.
In definitiva, questa produzione approdata a Firenze non è stata un semplice, pur lodevole, recupero di repertorio; è stato un autentico atto d’amore verso Bizet, un incontro in cui la magia della musica, la sobrietà poetica della scena e l’eccellenza del canto si sono fuse per restituire al pubblico un’opera che, liberata da ogni incrostazione, vibra ancora con intatta, potente bellezza nel nostro tempo. Uno di quegli spettacoli che, per dirla con le parole dello stesso Wenders, non si vedono, ma si scoprono.
E che, una volta scoperti, non si dimenticano… ed aggiungo io PIÙ!
Platea colma e generosa di applausi per tutti.
(La recensione si riferisce alla recita del 21 settembre 2025)

Crediti fotografici: Michele Monasta per il Teatro dell'Opera di Firenze - Maggio Musicale Fiorentino
Nella miniatura in alto: il tenore
Javier Camarena (Nadir)
Sotto, a destra:
Huigang Liu (Nourabad), Hasmik Torosyan (Léïla),
Javier Camarena e il Coro
Al centro e sotto, in sequenza: Hasmik Torosyan e Javier Camarena; Huigang Liu con Lucas Meachem (Zurga); ancora Lucas Meachem; Hasmik Torosyan con Lucas Meachem; panoramiche di Michele Monasta su scene e costumi





Pubblicato il 15 Settembre 2025
La seconda opera di Pietro Mascagni č andata in scena al festival di Livorno con poco pubblico
L'amico Fritz fra sostenitori e detrattori servizio di Simone Tomei

20250915_Li_00_LAmicoFritz_BengisuYamanKoyuncuLIVORNO - Dopo l’esplosione dirompente del successo di Cavalleria rusticana (1890), Pietro Mascagni si trovò davanti a una sfida tutt’altro che semplice: dimostrare di non essere l’autore “di un’opera sola”, consacrato dalla fortuna di un libretto tratto da Verga. Ed è in questo clima che nacque L’amico Fritz, andato in scena per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma il 31 ottobre 1891. L’accoglienza fu calorosa e il successo immediato, ma presto l’opera conobbe un lento declino, fino a scomparire quasi del tutto dai cartelloni.
Come spesso accade con Mascagni, anche L’amico Fritz ha suscitato reazioni critiche discordanti, oscillanti tra l’entusiasmo e la stroncatura. Una contraddittorietà che ben fotografa l’intera produzione del compositore, definita da Cesare Orselli “capace di fornire validi argomenti tanto ai propri sostenitori quanto ai propri detrattori”. Nella sua musica si alternano, spesso nello spazio di poche battute, intuizioni luminose e soluzioni convenzionali, freschezza melodica e formule stereotipate. Mancava forse quel cesello formale che contraddistingue Puccini, ma proprio questa tensione tra impeto creativo e irregolarità strutturale rappresenta il tratto più affascinante dello stile mascagnano: l’immediatezza espressiva, nutrita da una ricchezza melodica che sembra sgorgare con naturalezza.

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L’opera prende spunto dal romanzo Ami Fritz di Émile Erckmann e Alexandre Chatrian. La storia del libretto fu travagliata: inizialmente affidato a Zanardini su incarico dell’editore Sonzogno, passò poi a Nicola Daspuro e infine venne rielaborato dai fidati Menasci e Targioni Tozzetti, che firmarono con lo pseudonimo “P. Suardon”. Mascagni voleva un testo semplice, quasi esile, che lasciasse pieno spazio alla musica: dopo i toni tragici e sanguigni di Cavalleria rusticana, la sua scommessa era misurarsi con un libretto leggero, di stampo idillico, dove potessero emergere lirismo e sentimento.
La trama, prevedibile ma coerente con il genere, si muove nei binari della commedia sentimentale: Fritz, scapolo benestante e convinto celibe, finisce per innamorarsi della giovane Suzel, figlia di un contadino. Attorno a loro ruotano figure di contorno, come il rabbino David, che con sagacia favorisce l’unione. Non ci sono grandi colpi di scena: il fascino dell’opera sta piuttosto nei quadretti agresti e nell’atmosfera serena e idillica, in netto contrasto con il realismo drammatico di Cavalleria.
Dal punto di vista musicale, Mascagni abbandona i colori forti e i contrasti violenti per una scrittura più lieve e variata, dal gusto impressionista, con orchestrazioni leggere e linee melodiche ariose. L’opera procede come una successione di bozzetti lirici, in cui spiccano la freschezza melodica e il colore orchestrale. Celebre resta il “Duetto delle ciliegie”, apparentemente ingenuo ma ricco di raffinatezze armoniche e timbriche. Mascagni predilige la proliferazione melodica e la variazione continua, evitando schemi troppo simmetrici o prevedibili: più che una costruzione rigorosa, sembra un dipinto di atmosfere.
Non a caso Gustav Mahler, che diresse l’opera ad Amburgo nel 1893, ne colse la sottigliezza e la difficoltà di esecuzione, impegnandosi personalmente per imporla al pubblico.

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Anche la ricezione di L’amico Fritz è rimasta sempre ambivalente. Alcuni l’hanno considerata un piccolo gioiello di grazia melodica, una partitura “per cuori buoni”, come la definì Mascagni stesso scrivendo a Sonzogno. Altri, invece, l’hanno giudicata un’opera ruffiana, costruita su melodie facili e artifici sentimentali. Ma è proprio in questa semplicità che risiede la sua originalità: L’amico Fritz disegna un mondo di buoni sentimenti, un idillio sereno che si oppone tanto al pessimismo verista di Giovanni Verga quanto alla violenza tragica di Cavalleria rusticana.
La scelta di riprendere l’allestimento del centenario 1991, firmato dalla Fondazione Teatro Goldoni, conferisce a questa produzione il valore di un omaggio alla tradizione, pur nella volontà di restituire all’opera la sua freschezza originaria.
La regia di Carlo Antonio De Lucia ha saputo trovare un equilibrio tra fedeltà all’impianto scenico e valorizzazione della dimensione intima della vicenda, evitando sovrastrutture concettuali e lasciando che la musica di Mascagni parlasse con la sua immediatezza lirica. Di notevole impatto il disegno luci di Michele Rombolini, capace di creare atmosfere delicate e suggestive: i chiaroscuri, calibrati con sensibilità, sottolineano i passaggi più introspettivi, mentre le aperture luminose accompagnano i momenti corali e gli slanci melodici della partitura. L’utilizzo dello spazio scenico si rivela armonioso e ben proporzionato: i movimenti degli interpreti sono fluidi e misurati, senza eccessi, e contribuiscono a mantenere l’equilibrio complessivo tra azione e musica. De Lucia ha inoltre lavorato con attenzione sulle relazioni interpersonali, delineando con cura sia le dinamiche di gruppo sia i momenti più intimi, in particolare quelli legati alla progressiva consapevolezza dei sentimenti tra Fritz e Suzel.
Il cast riunito dal Teatro Goldoni ha mostrato un buon equilibrio complessivo, frutto di un riuscito incontro tra professionisti già affermati e giovani promesse provenienti dalla Mascagni Academy e dal concorso dedicato al compositore livornese. Ne è scaturito un insieme coeso, capace di restituire lo spirito dell’opera, pur con qualche disomogeneità legata all’inesperienza di alcuni interpreti.
Enrico Guerra, nel ruolo del protagonista Fritz Kobus, ha offerto una prova di eleganza e misura. La sua linea di canto si è rivelata particolarmente a suo agio nella zona centrale, dove il fraseggio trovava naturalezza e la parola scenica era sempre ben collocata. Diverso il discorso per il registro acuto che ha mostrato qualche fragilità: gli attacchi non sempre risultavano perfettamente centrati e talvolta le note tendevano a calare, smorzando l’intensità del discorso musicale. Si tratta comunque di un’interpretazione costruita con intelligenza e coerenza, che ha saputo restituire al personaggio i tratti di signorile malinconia richiesti dalla scrittura mascagnana.
Suzel aveva il volto e la voce di Bengisu Yaman Koyuncu, che ha portato in scena la freschezza ingenua e quasi trattenuta della giovane contadina. Il suo canto, delicato e composto, ha però sofferto di una certa uniformità espressiva: mancano ancora quelle sfumature di colore e quella maturità interpretativa che permetterebbero al personaggio di vibrare di autentica emozione. La zona grave, in particolare, ha evidenziato un vibrato molto accentuato che rendeva l’emissione talvolta un po’ stentorea, meno limpida e precisa. Ne emerge una prova corretta, ma ancora acerba, che non riesce a superare la soglia della semplice esecuzione ben preparata.

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Un tocco di poesia lo ha portato in scena Arlene Miatto Albeldas, nei panni di Beppe, ruolo en travesti dalla natura lirica e simbolica. La sua vocalità, più vicina a mio avviso al registro del soprano che a quello del mezzosoprano, ben si adattava a questa parte ibrida, che da sempre lascia spazio a interpretazioni differenti. La linea di canto è stata sempre intonata e a fuoco, con una resa scenica spontanea e convincente: un piccolo cameo, capace però di illuminare i momenti in cui Beppe irrompe in scena con la sua leggerezza quasi pastorale.
Su tutti ha primeggiato Stavros Mantis, un David il Rabbino di grande carisma, in grado di riempire la scena con la sola presenza. La sua vocalità, ampia, sonora e al tempo stesso nitida, si è sposata con un fraseggio elegante e incisivo, che ha conferito al rabbino amico di Fritz una profonda autorevolezza morale e una dimensione quasi paterna. La sua interpretazione è stata un punto fermo della serata, il più solido riferimento sia vocale che drammaturgico.
Anche i ruoli minori sono stati tratteggiati con cura: Orlando Polidoro (Federico), Davide Chiodo (Hanezò) e Virginia Moretti (Caterina) hanno dato vita a caratterizzazioni ben delineate, sempre al servizio della coralità dell’opera. Hanno contribuito a creare quell’equilibrio d’insieme che, in una partitura come questa, dove i toni idilliaci e pastorali prevalgono sul dramma, risulta fondamentale.
Un cenno merita anche il lavoro del Coro, preparato e diretto dal M° Maurizio Preziosi. Resta inspiegabile l’assenza del coro al termine del primo atto – scelta che rimane un piccolo “mistero” e che ha sottratto un momento di coralità all’economia drammaturgica dell’opera. Per il resto, nella sua collocazione fuori scena, il complesso ha saputo inserirsi con misura e proficuità all’interno del melodramma, restituendo quei brevi ma significativi squarci di partecipazione collettiva che contribuiscono a definire l’atmosfera pastorale e comunitaria dell’opera mascagnana.
Alla guida dell’Orchestra del Teatro Goldoni “Massimo de Bernart”, il M° Stefano Vignati ha offerto una lettura che si è mossa lungo coordinate in parte divergenti rispetto all’essenza più intima dell’opera. L’amico Fritz, per sua natura, è un esercizio di sottrazione, un microcosmo pastorale dove la delicatezza orchestrale e la linearità descrittiva prevalgono sulle tensioni drammatiche. Mascagni, in questa partitura, predilige un registro lirico e contemplativo: il celebre duetto delle ciliegie nel secondo atto non rappresenta un culmine narrativo in senso tradizionale, bensì un passaggio poetico che, con grazia e semplicità, illumina l’intero intreccio. È qui che emerge la sua maestria armonica e timbrica, in un tessuto musicale che sembra evocare tanto il leitmotiv wagneriano quanto le raffinate sfumature impressionistiche di area francese, prossime a Debussy e Fauré. L’approccio del direttore, tuttavia, ha privilegiato un piglio più energico e talvolta roboante, che ha finito per sacrificare quelle sottili perle disseminate nella scrittura, piccoli dettagli timbrici e dinamici che costituiscono l’anima segreta dell’opera. Se lo spazio più sinfonico dell’introduzione e del celebre intermezzo è stato gestito con chiarezza e una certa brillantezza orchestrale, meno convincente è parso l’accompagnamento nelle sezioni con canto: qui il tessuto strumentale, invece di farsi diafano sostegno, è risultato talvolta troppo denso, fino a sommergere frasi e inflessioni dei cantanti, creando un effetto di impasto sonoro che ha penalizzato la trasparenza della scrittura. Ne è emersa dunque una concertazione che, pur solida nella tenuta complessiva, non sempre ha saputo restituire quella leggerezza drammaturgica che fa dell’opera mascagnana un gioiello di equilibrio e misura, distante anni luce dai furori veristi di Cavalleria rusticana.
In conclusione sottolineo l’ottimo apporto del violinista Brad Rapp nello struggente intervento del primo atto.
Sala semivuota, ma calorosa.
(La recensione si riferisce alla recita di sabato 13 settembre 2025)

Crediti fotografici: Ufficio stampa del Festival Mascagni - Teatro Goldoni di Livorno
Nella miniatura in alto: il soprano Bengisu Yaman Koyuncu (Suzel)
Sotto, in sequenza: Enrico Guerra (Fritz) e Bengisu Yaman Koyuncu; Stavros Mantis (David il Rabbino), VirginiaMoretti (Caterina), Enrico Guerra; Stavros Mantis e Bengisu Yaman Koyuncu
Al centro e sotto, in sequenza: panoramiche su costumi e allestimento





Pubblicato il 03 Settembre 2025
Diamo conto dell'eccellente resa artistica di un dittico al Mascagni Festival anche prima della ''prima''
Ode a Leopardi e Medium prova generale servizio di Simone Tomei

20250901_Li_00_OdeALeopardi_Mascagni Festival2025LIVORNO – In un Mascagni Festival sempre più attento al dialogo fra memoria storica e ricerca espressiva, la serata del dittico Ode a Leopardi di Pietro Mascagni e The Medium di Gian Carlo Menotti, presentata agli Hangar Creativi, ha offerto un accostamento insolito ma fecondo tra due poetiche distanti eppure unite dalla tensione verso il mistero della parola e del suono. È opportuno chiarire che la la presente cronaca dell'evento musicale si riferisce alla prova generale del 2 settembre 2025: circostanza non usuale per chi scrive, ma resa necessaria dall’eccellente qualità di tutti i musicisti e protagonisti.
L’Ode a Leopardi è un poema musicale che Mascagni concepì nel 1898, durante la direzione del Liceo Musicale di Pesaro, con debutto a Recanati il 29 giugno dello stesso anno: il compositore, nella nota introduttiva alla partitura, ne tracciava l’itinerario come un vero invito all’ascolto: «... così che ho cominciato con il dolore della nascita che ci dà subito il tema della tristezza che non abbandonerà il Poeta mai più, poi accenno alla gioventù viene il palpito d’amore, poi l’amor di Patria, l’amore infelice e infine la morte, la morte liberatrice…»

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Parole che riflettono l’ammirazione sincera e un entusiasmo giovanile, ma che suscitarono anche dure reazioni critiche: Giannotto Bastianelli, in Pietro Mascagni. Con nota delle opere e ritratto (Napoli, Riccardo Ricciardi, 1910), non esitava a scrivere: «Mi resterebbe, avanti di passare all'Iris, di parlare del Poema leopardiano. Ma io chiedo venia ai lettori se per rispetto alla innocente gioventù della fresca melodia mascagnana, e per rispetto alla dignità della mia critica, io getto un velo pietoso su questo fallo di gioventù del Mascagni. Ho già troppo robustamente lineato il profilo di quest'arte, perché ne debba ancora dimostrare l'indifferenza adolescentesca davanti alle altezze più pure e più formidabili dello spirito umano. Mascagni e Leopardi sono due spiriti che, avvicinati, fanno provare la vertigine; appartengono quasi a due mondi diversi. Credo che sarebbe un giochetto puerile dimostrare una cosa a cui tutti credono: che Mascagni non può capire nè quindi cantare Giacomo Leopardi. È possibile che Riccardo Strauss, decadente fin nella midolla delle ossa, senta tutto il decadentismo raffinato ed astuto che già s'annida nel nietzschiano Also sprach Zarathustra. Ma è impossibile che un fanciullo, un monello livornese possa comprendere il pensiero di Leopardi. Tutt'al più farà, come ha fatto Mascagni, un compito diligente sul tipo di quelli dal tema: ditemi che sentimenti vi suggerisce la tomba di Torquato Tasso, o qualche altra tomba o destino umano di cui si sia impadronita senza remissione la retorica scolastica.»
Queste parole, gettano un ponte diretto fra la sensibilità compositiva di Pietro Mascagni e la proposta cameristica del Festival a lui intitolato, sottolineando come il dolore leopardiano diventi filo conduttore non solo poetico ma anche formale.

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Nella nuovissima versione per due pianoforti e soprano curata da Gabriele Baldocci e presentata in prima assoluta, la scrittura si fa nitida, cameristica, capace di valorizzare trasparenze timbriche e raccordi motivici spesso inghiottiti dall’impasto orchestrale. Lo stesso Baldocci, al pianoforte insieme a Massimo Salotti, ha guidato l’esecuzione con gesto concertante: tempi mobili, articolazione fluida, contrasti calibrati, mentre Salotti ha offerto un sostegno duttile e un respiro orchestrale che ha reso credibile la riduzione a due tastiere.
Il soprano Sara Di Fusco, anche nella prova generale, ha restituito la parola leopardiana con intelligenza e sobrietà: voce dal centro raccolto, acuti luminosi, fraseggio curato, nessuna concessione a verismi di maniera, piuttosto un cesello sulla dizione e sulle mezzevoci che hanno restituito l’atmosfera metafisica del Canto notturno e l’energia civile di All’Italia.
L’accostamento con The Medium di Gian Carlo Menotti, tragedia in due atti composta nel 1946 e subito diventata un successo internazionale, ha rivelato un altro versante del teatro musicale Novecentesco: qui il soprannaturale e la riflessione psicologica si intrecciano in un tessuto musicale costruito su recitativi intensi e aperture melodiche struggenti, con un linguaggio prevalentemente tonale ma non privo di tensioni politonali e atonali funzionali al dramma. La versione per due pianoforti, approntata dallo stesso autore e riproposta al Festival livornese, ha reso con essenzialità l’incisività della scrittura, sostituendo all’orchestrazione cameristica una tensione nervosa scandita dai tasti, affidati anche in questo caso ai maestri Gabriele Baldocci e Massimo Salotti, capaci di sottolineare con chiarezza i leitmotiv e i nervosismi della partitura.
In tale contesto il M° Jacopo Suppa ha avuto un ruolo decisivo: la sua concertazione è stata esemplare per rigore e musicalità, unendo ritmo serrato e afflati lirici, capace di cesellare i non semplici intrecci menottiani senza mai appiattirne le asperità. Ha trovato un equilibrio raro tra precisione agogica e respiro teatrale, sostenendo i cantanti con elasticità e tenendo sempre vivo il filo della narrazione, facendo emergere motivi e cellule drammatiche con chiarezza e coerenza.
Anastasia Egorova ha disegnato una Madama Flora a fuoco: proiezione centrale robusta, parola masticata con intelligenza, declamato che non cade nel parlato, con un crollo finale costruito per piani progressivi e mai affidato a un urlato gratuito.
Sara Di Fusco, tornata in scena come Monica, ha sfoggiato un colore più luminoso e un fraseggio morbido: la ninna nanna “Black Swan” è stata tratteggiata con semplicità, mentre la linea vocale si è mantenuta sempre a fuoco nelle mezzevoci.
Lorenzo Liberati e Ginevra Gentile, nei panni dei coniugi Gobineau, hanno offerto tempo teatrale e precisione sillabica, diventando utile bussola nelle zone di ensemble.
Esterina Esposito, Mrs Nolan, ha colpito per il timbro brunito e omogeneo, risolvendo bene il cameo del racconto con accenti naturali e fraseggio elegante.
Fabio Vannozzi, nel ruolo muto di Toby, ha convinto con presenza scenica forte, tempi interiori misurati e gestualità essenziale ma sempre eloquente.
La regia di Vincenzo Maria Sarinelli ha scelto un registro volutamente didascalico, che in questo caso si è rivelato punto di forza: linee di azione chiare, movimenti semplici ma efficaci, arricchiti dall’uso di proiezioni video e fotografiche curate con la collaborazione degli studenti e docenti del Liceo Artistico Vespucci/Colombo di Livorno, capaci di amplificare la dimensione sospesa fra realtà e illusione del dramma menottiano.
Queste immagini, insieme all’ambiente quasi “esoterico” degli Hangar Creativi e alle luci curate da Massimiliano Calvetti, hanno aggiunto profondità visiva senza mai distrarre dal cuore teatrale.
La prova generale del 2 settembre 2025 ha mostrato una tenuta complessiva solida: la coesione tra interpreti, regia e direzione musicale hanno dato vita a un dittico che non è semplice accostamento di rarità, ma percorso coerente tra poesia e teatro musicale, tra introspezione e dramma, con una qualità esecutiva che già in prova ha avuto la compiutezza di una “prima”.

Crediti fotografici: E. Baldanzi per il Mascagni Festival di Livorno
Nella miniatura in alto: Pietro Mascagni giovane in un ritratto a matita
Sotto in sequenza: scena da Ode a Leopardi e The Medium in scena al Festival Mascagni di Livorno





Pubblicato il 31 Agosto 2025
Il regista Daniele De Plano riprende e valorizza il lavoro di Igor Mitoraj di ventidue anni prima
Manon Lescaut fra le sculture blu servizio di Simone Tomei

20250831_TorreDelLago_00_ManonLescaut_MariaJoseSiri_phGiorgioAndreuccettiTORRE DEL LAGO (LU) - Il 71° Festival Puccini si avvia alla conclusione con l’ultimo debutto operistico della stagione in una serata di fine agosto molto suggestiva: Manon Lescaut è tornata al Gran Teatro sulle sponde del Massaciuccoli nella produzione di Igor Mitoraj del 2003, ripresa con cura nella regia di Daniele De Plano, scene di Luca Pizzi e costumi di Cristina Da Rold. Dopo giorni incerti sul fronte meteorologico, un ampio arcobaleno comparso poco prima dell’inizio ha dato alla serata un’aura quasi simbolica, come a siglare l’unione tra natura e teatro.
Non è stata una semplice riproposizione ma un'opera d'arte che tornava a vivere. La scenografia di Mitoraj non si limita a "raccontare" la storia, la filtra attraverso un'estetica senza tempo. I volti blu giganti restaurati per l'occasione, i nudi scultorei (uno maschile, uno femminile) e il possente torso finale non sono semplici elementi scenici: sono la lente attraverso cui osserviamo la tragedia. Daniele De Plano ha abbracciato questa visione, creando una regia quasi scultorea. Le figure si muovono con gesti essenziali, spesso inserite in quadri statici o contro superfici monocrome, come in una fotografia d'altri tempi. È un'esperienza che ci allontana dalla cronaca per immergerci in un'allegoria universale di caduta e desiderio, dove i dettagli svaniscono per far posto a un impatto visivo e simbolico di enorme potenza.
Il lavoro di Luca Pizzi è stato magistrale, ottimizzando l'intera macchina scenica per il palcoscenico del Gran Teatro. Cristina Da Rold, con i suoi costumi, ha rispettato e valorizzato la tavolozza di Mitoraj: tessuti opachi, ori delicati, bianchi gessosi che si fondono con il blu delle sculture, creando un'armonia visiva rara.

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E poi c'erano le luci di Valerio Alfieri. Non semplici illuminazioni ma una vera e propria partitura invisibile. Ha saputo dipingere l'atmosfera: un fondale lattiginoso nel primo atto, controluce che scolpivano i corpi nel salotto del secondo, un'alba quasi metallica per il porto e infine un deserto abbacinato dove i corpi sembravano fondersi con la pietra.
La bellezza di Manon Lescaut risiede proprio nel suo essere un'opera-collage. È come un grande affresco musicale costruito con pezzi presi da diverse mani poetiche e soluzioni sonore che, in modo sorprendente, si uniscono in un tutto coerente. Puccini, con il libretto scritto a "sette mani", ha trasformato le discontinuità narrative in una forza drammaturgica.
Il tessuto musicale è un tesoro di auto-prestiti, con melodie che tornano e si evolvono, come vecchi amici che si ritrovano in un nuovo contesto. La partitura è un dialogo aperto con i grandi maestri: si sente l'ombra di Wagner, con i suoi accordi sospesi, specialmente nell'Intermezzo e nel duetto del secondo atto, e poi l'energia di Verdi, con i suoi ritmi e le sue fughe. Ma Puccini non si limita a copiare: assorbe, piega e trasforma, usando questi modelli per esaltare il suo genio.
Il terzo atto si è confermato un autentico capolavoro di anticonformismo: invece di aprirsi con un’aria lirica, Puccini affida l’avvio alla voce del sergente che chiama all’appello, innestando un progressivo accumulo di tensione orchestrale che culmina nell’esplosione emotiva del celebre "Guardate, pazzo son" di Des Grieux nel terzo atto.

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Ma è stato il quarto atto, spesso oggetto di discussione, a trovare ieri sera una dimensione particolarmente intensa grazie alla prova del soprano Maria José Siri: al suo debutto al Festival Puccini, la Siri ha delineato una Manon di grande spessore, voce duttile e capace tanto di morbidezza nelle “trine” del secondo atto quanto di accenti drammatici nel finale. Colpita da un incidente poco prima dell’ultimo quadro, ha scelto di proseguire da seduta: una condizione che avrebbe potuto limitare la resa scenica si è trasformata invece in una forza drammaturgica inattesa. La grande aria "Sola, perduta, abbandonata" è diventata così un monologo quasi disarmante per intensità e raccoglimento, in cui la sospensione dell’azione e la “pienezza” sonora della partitura si sono tradotte in un rito di immobilità, restituendo un deserto interiore che ha fatto percepire al pubblico tutta la disperazione di Manon. L’ovazione che ne è seguita ha suggellato una prova di grande coraggio artistico ed espressivo.
Luciano Ganci (Des Grieux) ha delineato un cavaliere appassionato, lirico nello slancio del primo atto e vigoroso nel monologo del terzo, sempre attento al fraseggio e alla parola.
Claudio Sgura (Lescaut) ha dato spessore e colore al fratello della protagonista, mentre Giacomo Prestia (Geronte di Ravoir) ha portato in scena un personaggio saldo e autorevole, mai caricaturale.
Paolo Antognetti (Edmondo), fresco e brillante, ha aperto l’opera con un tono vivace e luminoso, mentre Matteo Mollica (L’oste), Alessandra Della Croce (Un musico), Nicola Pamio (Maestro di ballo), Manuel Pierattelli (Un lampionaio), Roberto Rabasco (Sergente degli arcieri) e Omar Cepparolli (Comandante di marina) hanno completato il cast con precisione e stile.
Il Coro del Festival, diretto dal M° Marco Faelli, ha garantito compattezza ed equilibrio, con particolare efficacia nella scena del porto, vero cuore corale dell’opera.
L’orchestra, sotto la guida del M° Valerio Galli, ha saputo trovare un equilibrio non semplice: la sua direzione ha evitato ogni compiacimento e ha restituito il senso di un’opera che vive di contrasti e di varietà, alternando momenti di morbida cantabilità ad altri di tensione serrata. Ha avuto il merito di sottolineare le differenze di stile senza frammentare il discorso, restituendo unità a un’opera che nasce dalla pluralità.

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Alla fine il pubblico - meno numeroso di altre “prime” - ha tributato un successo caloroso, con applausi prolungati a tutti gli interpreti e una riconoscenza speciale per la generosità di Maria José Siri.
(La recensione si riferisce alla recita di sabato 30 agosto 2025)

Crediti fotografici: Giorgio Andreuccetti, Marilena Imbrescia e Nicola Gnesi per il Festival Puccini 2025
Nella miniatura in alto: il soprano Maria José Siri (Manon Lescaut)
Sotto in sequenza: Claudio Sgura (Lescaut) e Giacomo Prestia (Geronte di Ravoir); Luciano Ganci (Des Grieux); Paolo Antognetti (Edmondo) con Luciano Ganci; ancora Luciano Ganci con Maria José Siri; panoramica di Giorgio Andreuccetti sul primo atto
Al centro, in sequenza: altra panoramica di Andreuccetti; ancora Luciano Ganci con Maria José Siri; l'angelo/demone dalle ali rosse davanti a una scultura di Mitoraj; altre panoramiche su allestimento e costumi
In fondo: Luciano Ganci, Maria José Siri e l'angelo/demone nel finale dell'opera





Pubblicato il 25 Agosto 2025
Anche la replica dell'opera ''giapponese'' di Giacomo Puccini conferma il gradimento del pubblico
Sepe una delicata Butterfly servizio di Nicola Barsanti

20250825_00_TorreDelLago_MadamaButterfly_AntoninoFogliani_phGiorgioAndreuccettiTORRE DEL LAGO (LU) – Diamo conto ai nostri lettori della replica del quarto titolo in cartellone nell’ambito del 71° Festival Puccini: Madama Butterfly. Per regia, scene e costumi rimandiamo alla recensione della prima rappresentazione che potete consultare qui .
La principale differenza rispetto al debutto riguarda il ruolo del titolo, qui affidato al soprano Valeria Sepe, che si distingue per un canto sfaccettato, pur con un’emissione talvolta “piccolina”, la quale le impedisce in alcuni momenti di affondare pienamente nella drammaticità richiesta dalla scrittura pucciniana. Tale impressione si avverte in particolare nell’estrema "Tu, tu piccolo Iddio", mentre la sua vocalità appare più funzionale nel celebre "Un bel dì vedremo" e nel lirico duetto d’amore che conclude il primo atto. Ne deriva una Butterfly delicata, intessuta di grazia e raffinatezza, dal carattere mesto ma al contempo deciso.
Vincenzo Costanzo (Pinkerton) conferma le positive impressioni della prima recita: il tenore mostra un timbro chiaro, con acuti sostenuti da un fiato saldo, capace di un fraseggio elegante e di un legato pregevole. Sa restituire con efficacia la passione e la spavalderia del personaggio, rendendo particolarmente convincente il contrasto emotivo del suo 2Addio, fiorito asil", dove il rimorso e il rimpianto si fanno intensamente palpabili.

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La Suzuki di Chiara Mogini si presenta più a fuoco rispetto al debutto, con una tessitura vocale meglio distribuita e una dinamica più sicura. Permane a tratti l’impressione che la tavolozza timbrica non sia sfruttata in tutta la sua gamma, ma la resa scenica, intensa e partecipata, compensa questa parziale limitazione, rendendo il personaggio credibile e funzionale al dramma.
Nel ruolo di Sharpless, Luca Micheletti offre una prova di grande maturità vocale e artistica: il timbro caldo e avvolgente si presta a restituire con autorevolezza la figura del console, mentore e coscienza morale contrapposta a un Pinkerton goliardico e incosciente. La sua interpretazione restituisce al personaggio spessore, originalità e una convincente forza narrativa.
Qualche difficoltà timbrica si nota nella performance di Nicola Paimo (Goro), che tuttavia risulta efficace sul piano scenico, assolvendo con sicurezza al ruolo di “agente di ventura” che orchestra il destino della protagonista.
Completano il cast con buon rendimento musicale e teatrale Francesca Paoletti (Kate Pinkerton), Manuel Pierattelli (Yamadori), Andrea Tabili (Lo zio Bonzo), Francesco Auriemma (Yakusidé), Roberto Rabasco (Il Commissario imperiale), Francesco Lombardi (LUfficiale del registro), Claudia Belluomini (La Zia), Maria Salvini (La Madre), Irene Celle (La Cugina), Valentin DallAmico Brambach (Dolore).
La direzione dell’Orchestra del Festival Puccini è affidata al maestro Antonino Fogliani, che valorizza la scrittura struggente della partitura, restituendo il dramma con contrasti netti e progressivi fino all’inevitabile culmine dell’atto estremo. L’intensità degli archi e la precisione delle percussioni conferiscono profondità dinamica e un respiro immersivo che amplifica la tensione emotiva.
Bene anche il Coro del Festival Puccini, istruito dal maestro Marco Faelli, che partecipa con compattezza e precisione.
La serata si conclude tra grandi emozioni e una viva partecipazione del pubblico, che tributa applausi convinti a tutti gli interpreti, suggellando un successo condiviso e sentito.
(la recensione si riferisce alla recita di sabato 23 agosto 2025)

Crediti fotografici: Giorgio Andreuccetti per il Festival Puccini 2025
Nella miniatura in alto; il direttore Antonino Fogliani
Sotto, in sequenza: Luca Micheletti (Sharpless) con Vincenzo Costanzo (Pinkerton); Valeria Sepe (Cio Cio San): Vincenzo Costanzo con Valeria Sepe






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Otello l'incoerenza č di scena
intervento di Simone Tomei FREE

20251007_Pr_00_Otello_Parliamone_YusifEyvazov_phRobertoRicciPARMA - Esiste un patto segreto, antico e nobilissimo, tra il palcoscenico e la platea. È un atto di fede: lo spettatore si affida alla visione degli artisti, promettendo in cambio sospensione dell'incredulità e apertura del cuore. Aprire il sipario sull' Otello al Teatro Regio di Parma, nel cuore del Festival Verdi 2025, avrebbe dovuto significare rinnovare questo patto, immergendosi nel gorgo della più compiuta tragedia shakespeariana in musica. E, in effetti, la partitura di Verdi ha mantenuto fede al suo compito: un fiume in piena, potente e inesorabile, che dal golfo mistico ha continuato a scorrere, travolgente e commovente. Il problema, ahimè, è sorto quando ho alzato gli occhi perché ciò che si vedeva apparteneva a un altro pianeta drammaturgico, a un universo visivo che con il fiume verdiano dialogava poco o punto.
Le note di regia di Federico Tiezzi, un denso manifesto intriso di Freud, Welles, Dostoevskij e Pasolini, promettevano una discesa negli inferi della psiche.
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VideoCopertina
La Euyo prende residenza a Ferrara e Roma

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Classica
Shostakovic per altri tre
servizio di Athos Tromboni FREE

20251117_Fe_00_PianoforteContemporaneo_DmitrjiShostakovicFERRARA - Dmitrji Shostakovic era nato a San Pietroburgo (seconda città della Russia per numero di abitanti, "ribattezzata" col nome di Leningrado sotto il regime staliniano) nel 1906 ed è deceduto a Mosca nel 1975: ha dunque attraversato come uomo e come musicista tutto il periodo sovietico e soprattutto il periodo più buio dell'oppressione comunista
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Echi dal Territorio
Comitato per i Grandi Mastri nuova stagione
servizio di Athos Tromboni FREE

20251114_Fe_00_ComitatoGrandiMaestri2025-2026_SebastianuttoChristianFERRARA - Si intensifica l'attività concertistica per il prossimo inverno/primavera del Comitato per i Grandi Maestri fondato e diretto da Gianluca La Villa: ben sette concerti cameristici, dei quali 3 organizzati da Ferrara Musica nel Ridotto del Teatro Comunale "Claudio Abbado" su indicazione proprio del Comitato per i Grandi Maestri, e 4 concerti del calendario
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Opera dal Centro-Nord
Il labirinto mentale di Lucrezia Borgia
servizio di Simone Tomei FREE

20251111_Fi_00_LucreziaBorgia_JessicaPratt_phMicheleMonastaFIRENZE - A oltre quarantacinque anni dall’ultima rappresentazione fiorentina, Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti è tornata al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, dove mancava dal 1979. La nuova produzione andata in scena domenica 9 novembre 2025 ha riportato sul palcoscenico un capolavoro donizettiano di intensa forza drammatica, tratto
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Classica
Shostakovic per tre
servizio di Athos Tromboni FREE

20251110_Fe_00_PianoforteContemporaneo_RobertoRussoFERRARA - Si chiama "Il pianoforte contemporaneo" la rassegna della domenica mattina dedicata al pianoforte del Novecento e primi anni del Terzo Millennio, inserita nel calendario 2025/2026 del Concerti al Ridotto programmati da Ferrara Musica nel Teatro Comunale "Claudio Abbado" con la collaborazione del Conservatorio Girolamo Frescobaldi.
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Opera dalle Isole
Le ossessioni carnali di Salome
servizio di Simone Tomei FREE

20251109_Ss_00_Salome_AnastasiaBoldyrevaSASSARI - L’opera di Richard Strauss, Salome apre la Stagione Lirico-Sinfonica Autunnale 2025 del Teatro Comunale di Sassari. Accostarsi a questo capolavoro significa entrare in un universo febbrile, sensuale e lucidamente spietato, dove la materia musicale e quella drammatica coincidono in un vortice di immagini sonore e pulsioni
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Classica
Lü Jia perfetta intesa con Pagano
servizio di Simone Tomei FREE

20251031_Ge_00_ConcertoEttorePaganoLuJia_PaganoGENOVA - La sera del 30 ottobre 2025 il Teatro Carlo Felice ha inaugurato la Stagione Sinfonica 2025/26 con un concerto interamente dedicato alla musica francese fra Ottocento e primo Novecento, affidato alla direzione di Lü Jia e alla partecipazione del giovane violoncellista Ettore Pagano, accompagnato dall’Orchestra della Fondazione.
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Classica
Taverna per Prokofiev
servizio di Athos Tromboni FREE

20251028_Fe_00_ConcertoOPV-AngiusTaverna_Orchestra PadovaEVenetoFERRARA - Il corpus dei cinque concerti per pianoforte e orchestra e delle nove sonate per pianoforte, oltre a vari pezzi minori, testimonia l'impegno di Sergej Prokofiev per i tasti bianconeri. Tutti i più grandi pianisti si sono cimentati (e continuano a cimentarsi) nei concerti per pianoforte di Prokofiev, con assoluta predominanza - almeno
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Ballo and Bello
Centenario di Dietrich Fischer-Dieskau
servizio di Athos Tromboni FREE

20251027_Ro_00_ProsperoSVoice_DietrichFischerDieskauROVIGO - In occasione del centenario della nascita di Dietrich Fischer-Dieskau, prestigioso baritono e raffinato interprete della grande tradizione Liederistica e operistica internazionale, Rovigo ha dedicato una masterclass presso il conservatorio cittadino e una giornata speciale al suo lascito musicale e intellettuale, con eventi di altissimo profilo
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Eventi
Donizetti Opera apre il sipario
redatto da Athos Tromboni FREE

20251023_Bg_00_DonizettiOpera2025_CaterinaCornaro_PierluigiLongoBERGAMO - Quella che qui presentiamo è la prima edizione del Donizetti Opera 2025 firmata dal direttore d'orchestra Riccardo Frizza, nella doppia veste di direttore artistico e musicale. È un festival da tempo riconosciuto a livello internazionale come irrinunciabille appuntamento annuale dedicato al celebre compositore bergamasco Gaetano
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Opera dal Centro-Nord
Macbeth ancestrale e misterico
servizio di Angela Bosetto FREE

20251023_00_Busseto_Macbeth_AndreaBorghini_FotoDiRepertorioBUSSETO (PR) – «Penso che l’attrazione di Verdi per Shakespeare fosse legata più alla sua convinzione di poter trasformare in musica la grande letteratura che non ad affinità personali. Sicuramente aveva un istinto formidabile per l’Arte con la a maiuscola. Ma se oggi, come allora, nessuno sa nulla della vita di Shakespeare, è innegabile che Verdi
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Eventi
Bologna va 'Verso Itaca'
redatto da Athos Tromboni FREE

20251021_00_Bo_StagioneComunale2025-2026_RobertoAbbadoROMA - La stagione di Opera, Danza e Concerti 2006 firmata dalla nuova sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna, Elisabetta Riva e dal direttore artistico Pierangelo Conte si chiama “Verso Itaca”: è un appellativo che racconta metaforicamente l’ultima tappa del viaggio della fondazione lirico-sinfonica felsinea verso il rientro
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Opera dal Nord-Ovest
Francesca da Rimini tra forza e fragilitā
servizio di Simone Tomei FREE

20251020_To_00_FrancescaDaRimini_AndreaBattistoniTORINO -  C’è un destino che sembra non conoscere oblio: quello di Francesca da Rimini, eroina sospesa tra colpa e innocenza, tra desiderio e condanna, che continua a esercitare il suo fascino attraverso i secoli e i linguaggi. Quando il sipario del Teatro Regio di Torino si alza sull’opera di Riccardo Zandonai, aprendo la stagione lirica 2025/2026, non
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Opera dal Nord-Est
Cosė fan tutte di successo
servizio di Athos Tromboni FREE

20251018_Ro_00_CosiFanTutte_MiloManaraROVIGO - Zeus e le sue metamorfosi alla caccia delle femmine: così lo scenografo e costumista Milo Manara (al suo debutto sulle scene dell'opera) ha illustrato Così fa tutte di Wolfgang Amadeus Mozart per l'inaugurazione della 210.ma stagione lirica del Teatro Sociale di Rovigo, venerdì 17 ottobre 2025. L'allestimento si è rivelato giocoso,
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Dischi in Redazione
Disco che celebra un grande Autore
recensione di Simone Tomei FREE

20251016_CD_00_EnnioPorrino_ritrattoEnnio Porrino
I Canti dell'esilio (Songs of Exile)
Angela Nisi soprano - Enrica Ruggiero pianoforte
Brilliant Classics 2025
Il compositore sardo Ennio Porrino (1910-1959) appare oggi come un autore al tempo stesso elegante e complesso, il cui percorso creativo è segnato dalla tensione fra la ricerca delle radici identitarie
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Opera dal Nord-Ovest
Don Giovanni claustrofobico
servizio di Simone Tomei FREE

20251014_Ge_00_DonGiovanni_ConstantinTrinksGENOVA - C’è qualcosa di emblematico nel vedere il Don Giovanni di W.A. Mozart intrappolato in un labirinto di pareti rotanti; forse è il destino stesso di certe regie nate come provocazione e finite per diventare autocitazione. Al Teatro Carlo Felice di Genova, l’allestimento firmato da Damiano Michieletto (produzione della Fenice di Venezia datata
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Classica
Gibboni e Mariotti bella accoppiata
servizio di Athos Tromboni FREE

20251008_00_Fe_Concerto_GiuseppeGibboniMicheleMariotti_Gibboni_phMarcoCaselliNirmalFERRARA - Brahms presentato (le sue Sinfonie), Brahms eseguito (la Sinfonia n.4): così si è aperta lunedì 6 ottobre la stagione 2025/2026 di Ferrara Musica nel Teatro Comunale "Claudio Abbado", dopo l'anteprima del 14 settembre scorso dell'Ensemble Nova Ars Cantandi presso la Pinacoteca Nazionale di Palazzo Diamanti. Per approfondire la
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Jazz Pop Rock Etno
Ferrara in Jazz primo week-end
servizio di Athos Tromboni FREE

20251006_Fe_00_FerraraInJazz_PietroBittoloBonFERRARA - Il 3 ottobre scorso il Jazz Club Ferrara ha dato avvio alla prima parte dei concerti della nuova stagione "Ferrara in Jazz" che si svolgerà ogni fine settimana (il venerdì, il sabato e la domenica) fino al 21 dicembre 2025. L'appuntamento d'apertura, nel Torrione San Giovanni, ha visto in pedana il sassofonista Piero Bittolo Bon con Alessandro
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Eventi
Partenza con le canzoni di Guccini
servizio di Francesco Franchella FREE

20251004_Fe_00_GruppoDei10_FrancescoGucciniFERRARA - Alla volta dei primi freddi (o freschi) settembrini, il mondo si divide: chi si dà già ai pranzi autunnali vestendosi come se fosse il 1° di gennaio; chi ogni weekend, nostalgico del caldo, chiede al coniuge di fare “l’ultima” gita al mare; chi guarda in continuazione le mail, per sapere quando inizieranno le prime serate della stagione
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Personaggi
Porto in scena le parole che non scrisse
servizio di Ludovica Zambelli FREE

20250927_Fe_00_IntervistaAlessioBoni_OmaggioAPucciniDiEliosLippiFERRARA - Al Teatro Abbado andrà in scena lo spettacolo Concerto a due per Puccini, con Alessio Boni e Alessandro Quarta, regia di Boni stesso e Francesco Niccolini ("prima" lunedì 29 settembre, replica sabato 30 settembre 2025 ore 20,30); è uno spettacolo con  parole e musica, che si incontrano per restituire la complessità di un compositore che
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Echi dal Territorio
Ferrara in Jazz si parte!
redatto da Athos Tromboni FREE

20250926_Fe_00_FerraraInJazz2025-2026_FedericoDAnneoFERRARA - È giunta alla 27.esima edizione la stagione del Jazz Club Ferrara, presso il Torrione San Giovanni di via Rampari di Belfiore incrocio di via Porta Mare: a partire da venerdì 3 ottobre 2025, proprio il Torrione riapre le porte di Ferrara in Jazz con il programma della prima parte di stagione (ottobre-dicembre 2025), dove sono in calendario
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Classica
Saccon-Genot e fanno tre
servizio di Athos Tromboni FREE

20250925_Fe_00_ConcertoSacconGenotPerLuigiCostatoFERRARA - Il Comitato per i Grandi Maestri fondato e presieduto da Gianluca La Villa ha organizzato un concerto cameristico a Palazzo Roverella, sede del Circolo Negozianti di Ferrara, in memoria del prof. Luigi Costato: protagonisti del concerto sono stati due musicisti già noti e molto apprezzati nella città estense, il violinista Christian Joseph
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Ballo and Bello
Ecco le Stanze della Danza
FREE

20250924_Ro_00_LeStanzeDellaDanza_ClaudioRondaROVIGO - Per due giorni, sabato 27 e domenica 28 settembre 2025, Rovigo diventa una finestra sul panorama della danza contemporanea. È stato presentato il 19 settembre scorso allo spazio Fs del Censer, in conferenza stampa, la prima edizione del festival Le stanze della Danza, un itinerario di performance che si inaugurerà alle ore 17,00 di
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Opera dal Centro-Nord
Una perla i Pescatori di perle
servizio di Simone Tomei FREE

20250923_Fi_00_IPescatoriDiPerle_JavierCamarena_phMicheleMonastaFIRENZE - La perfezione, si sa, non è di questo mondo. Eppure l’arte, nei suoi momenti più ispirati, ci consente di sfiorarne il mistero, in quella rara alchimia che fa dialogare la forza arcana della musica, la purezza del canto e la poesia della scena. È questa, precisamente, la sensazione che ho provato uscendo dal Teatro del Maggio Musicale
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Pagina Aperta
Un luogo dove il cuore rimane giovane
redatto da Athos Tromboni FREE

20250920_Ro_00_Stagione2025-2026_ValeriaCittadinROVIGO - La platea del Teatro Sociale per la prima volta si è trasferita in piazza Giuseppe Garibaldi: l’evento dal titolo Sotto il cielo di Rovigo – Cult dove il cuore rimane giovane, a cura della regista Anna Cuocolo, ha voluto essere un incontro speciale della autorità locali e del management del teatro con il pubblico, per celebrare insieme a tutta la città,
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Echi dal Territorio
Lucca nuova stagione d'Opera
redatto da Simone Tomei FREE

20250918_Lu_00_StagioneOpera2025-2026_AngelaMiaPisanoLUCCA - È stata presentata il 17 settembre 2025, nel Ridotto del Teatro del Giglio "Giacomo Puccini", la Stagione lirica 2025-2026 della quale vi portiamo a conoscenza attraverso il comunicato stampa dell’ente lucchese. La Stagione Lirica del Teatro del Giglio "Giacomo Puccini" si presenta, per il 2025-2026, come un’autentica celebrazione del
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Vocale
Concerto degli allievi di Magiera
FREE

20250917_Fe_00_ConcertoStagioneLiricaEDanza2025-2026_LeoneMagieraFERRARA - La presentazione della Stagione di Opera & Danza 2025/2026 del Teatro Comunale "Claudio Abbado" - avvenuta nella mattinata di martedì 16 settembre - ha avuto il suo epilogo alle ore 20,00 con un concerto lirico nel Ridotto del teatro, dove si sono esibiti i giovani allievi del corso di perfezionamento tenuto dal maestro Leone Magiera
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Eventi
Ferrara nuova stagione d'Opera e Danza
redatto da Athos Tromboni FREE

20250916_Fe_00_StagioneLiricaEDanza2025-2026_StefanoRanzani_phAlfredoTabocchiniFERRARA - Un "Concerto a due per Puccini" e dodici spettacoli di opera, danza, musical, sono la dote della Stagione d'Opera & Danza 2025/2026 del Teatro Comunale "Claudio Abbado" che si aprirà il prossimo 29 settembre per concludersi il 24 maggio del prossimo anno.

La conferenza-stampa
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Opera dal Centro-Nord
L'amico Fritz fra sostenitori e detrattori
servizio di Simone Tomei FREE

20250915_Li_00_LAmicoFritz_BengisuYamanKoyuncuLIVORNO - Dopo l’esplosione dirompente del successo di Cavalleria rusticana (1890), Pietro Mascagni si trovò davanti a una sfida tutt’altro che semplice: dimostrare di non essere l’autore “di un’opera sola”, consacrato dalla fortuna di un libretto tratto da Verga. Ed è in questo clima che nacque L’amico Fritz, andato in scena per la prima volta al
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Personaggi
Cantami o Diva gli intrighi...
intervista a cura di Athos Tromboni FREE

20250915_Personaggi_00_MassimoCrispi_CantamiODivaMassimo Crispi è un tenore particolare, ribelle per molte cose e dal repertorio quanto mai vario. Vive una parte dell'anno a Palermo e l'altra parte dell'anno a Firenze. Vario - si diceva - il suo repertorio, ma varia è anche la sua maniera di essere artista. Da sempre ha infatti coltivato la scrittura, in ogni campo, e, oggi, non frequentando più
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Echi dal Territorio
Frescobaldi Day a Palazzo Schifanoia
FREE

20250914_Fe_00_FrescobaldiDay_MarinaDeLisoFERRARA - Marina De Liso, mezzosoprano e docente di musica antica nel Conservatorio "Girolamo Frescobaldi" nonché coordinatrice del "Concentus Musicus Fe' Antica"  ha presentato ieri nella bella e confortevole sala pubblica di Palazzo Schifanoia il primo concerto della stagione 2025/26 di Ferrara Musica: quest'anno l'associazione concertistica
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Vocale
Dalla romanza alla canzone napoletana
servizio di Simone Tomei FREE

20250913_00_PonteAMoriano_Concerto_AntonioCiprianiPONTE A MORIANO (LU) - La serata del 12 settembre 2025 al Teatro Idelfonso Nieri di Ponte a Moriano si è chiusa l’edizione di "Un Teatro Sempre Aperto", confermando ancora una volta la qualità e la coerenza di una rassegna che, pur in assenza della storica sala cittadina del Teatro del Giglio, ha saputo mantenere viva la propria presenza sul
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Opera dall Estero
Una Traviata trasposta nel Novecento
servizio di Ramón Jacques FREE

20250910_00_Bogota_LaTraviata_JuliaMuzychenko_phJuanDiegoCastilloBOGOTÀ (Colombia) - 24 agosto 2025, Teatro Mayor Julio Mario Santo Domingo.
In occasione della quindicesima stagione del Teatro Mayor Julio Mario Santo Domingo, attualmente il palcoscenico più importante della Colombia, si è tenuta una nuova rappresentazione di La traviata. L’opera,
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Opera dal Centro-Nord
Ode a Leopardi e Medium prova generale
servizio di Simone Tomei FREE

20250901_Li_00_OdeALeopardi_Mascagni Festival2025LIVORNO – In un Mascagni Festival sempre più attento al dialogo fra memoria storica e ricerca espressiva, la serata del dittico Ode a Leopardi di Pietro Mascagni e The Medium di Gian Carlo Menotti, presentata agli Hangar Creativi, ha offerto un accostamento insolito ma fecondo tra due poetiche distanti eppure unite dalla tensione verso il mistero
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Eventi
ROF bilancio 2025 e programma 2026
redatto da Athos Tromboni FREE

20250901_Ps_00_ROF-Bilancio2025Programma2026PESARO - A Pesaro si dichiarano soddisfatti per i risultati non solo artistici del Rossini Opera Festival 2025. Ecco qui sotto, in sintesi, la valutazioni che illustrano sommariamente gli obiettivi raggiunti e anche le anticipazioni per l'edizione 2026.

I numeri che contano
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Opera dal Centro-Nord
Manon Lescaut fra le sculture blu
servizio di Simone Tomei FREE

20250831_TorreDelLago_00_ManonLescaut_MariaJoseSiri_phGiorgioAndreuccettiTORRE DEL LAGO (LU) - Il 71° Festival Puccini si avvia alla conclusione con l’ultimo debutto operistico della stagione in una serata di fine agosto molto suggestiva: Manon Lescaut è tornata al Gran Teatro sulle sponde del Massaciuccoli nella produzione di Igor Mitoraj del 2003, ripresa con cura nella regia di Daniele De Plano, scene di Luca Pizzi
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Classica
SummerFest grande musica da camera
servizio di Ramón Jacques FREE

20250831_00_SanDiego_SummerFest2025_ReneFleming_phKenJacquesSAN DIEGO (USA) - SummerFest 2025, The Baker-Baum Concert Hall. Il festival di musica da camera SummerFest, che si tiene ogni estate a San Diego, California dal 1986 ed è organizzato dall'associazione musicale locale La Jolla Musical Society (LJMS), è diventato un appuntamento imperdibile per gli amanti della musica cameristica (nel sud
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Vocale
Giovane Scuola al Mascagni Festival
servizio di Simone Tomei FREE

20250929_Li_00_ GalaVerismo_FestivalMascagni_PietroMascagniLIVORNO - Il Mascagni Festival 2025, nell’anno dell’ottantesimo della scomparsa del compositore, si conferma laboratorio vivo di idee più che semplice contenitore di eventi: una geografia del suono disseminata tra Livorno, la provincia e luoghi simbolici d’Italia e del mondo, capace di intrecciare concerti, opere, letture sceniche e creazioni originali
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Opera dal Centro-Nord
Sepe una delicata Butterfly
servizio di Nicola Barsanti FREE

20250825_00_TorreDelLago_MadamaButterfly_AntoninoFogliani_phGiorgioAndreuccettiTORRE DEL LAGO (LU) – Diamo conto ai nostri lettori della replica del quarto titolo in cartellone nell’ambito del 71° Festival Puccini: Madama Butterfly. Per regia, scene e costumi rimandiamo alla recensione della prima rappresentazione che potete consultare qui .
La principale differenza rispetto al debutto riguarda il ruolo
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Eventi
Turandot e le altre
redatto da Athos Tromboni FREE

20250824_TorreDelLago_00_FestivalPuccini2026_TurandotiELeAltre_DisegnoDiEliosLippiTORRE DEL LAGO (LU) -  Questa volta si parte in largo anticipo: è ormai definitivo - infatti - il programma della 72.esima edizione del Festival Puccini di Torre del Lago (Viareggio) che si svolgerà nel Gran Teatro all’aperto sul Lago di Massaciuccoli nell’estate 2026 e che era stato anticipato nella conferenza stampa dello scorso maggio dal presidente
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Opera dal Centro-Nord
Alina Tkachuk la rivelazione
servizio di Nicola Barsanti FREE

202516_TorreDelLago_00_Turandot_AlinTkachukTORRE DEL LAGO (LU) - La rappresentazione di Turandot al Gran Teatro Giacomo Puccini, nell’ambito del 71° Festival Puccini, propone una lettura scenica affidata alla regia di Alfonso Signorini, la cui impronta visiva rimanda all’articolo della prima rappresentazione che potete trovare qui. L’allestimento conferma la forza visiva e simbolica dell’opera, ma
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