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Pubblicato il 18 Marzo 2025
Il capolavoro tragico di Vincenzo Bellini esaltato da regia e concertazione eccellenti
Norma da manuale
servizio di Simone Tomei
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FIRENZE - Dopo oltre quarantacinque anni di assenza, Norma torna a Firenze in un allestimento che non si limita a celebrare il capolavoro di Vincenzo Bellini, ma lo reinterpreta con una chiave scenica e musicale di forte impatto. La regia di Andrea De Rosa e la direzione del M° Michele Spotti plasmano uno spettacolo che, pur rispettando la tradizione, osa con scelte teatrali e musicali capaci di sorprendere; ma andiamo con ordine. Il sipario si alza su un mondo sospeso, lontano da qualsiasi ricostruzione storica rigorosa, ma denso di un’infelice universalità che trascende il tempo e lo spazio. Andrea De Rosa evita ogni lettura archeologica proponendo una Gallia oppressa dai Romani non come un luogo specifico, ma come un simbolo di terra martoriata dall'occupazione straniera. Questo spazio astratto, che potrebbe appartenere a qualsiasi epoca, diventa il teatro di un dramma senza tempo che parla di oppressione e resistenza, slegato da contesti particolari ma carico di un significato universale. Le scenografie di Daniele Spanò, essenziali e mobili, sfruttano magistralmente il nuovo sistema di ponti della Sala Grande, creando un doppio livello narrativo che emerge con forza visiva. Da un lato il mondo esterno della dominazione romana, con i suoi riferimenti impliciti alle guerre moderne e alle brutalità militari; dall'altro la dimensione privata e sofferta di Norma, Pollione e Adalgisa, i cui drammi personali si intrecciano con le grandi tragedie della storia. Le scenografie sono un intreccio perfetto di forme e spazi vuoti, che si trasformano e si adattano alle necessità della narrazione, creando una fluidità visiva che accentua il dinamismo della trama.



L'uso delle luci di Pasquale Mari è cruciale nell’accentuare la contrapposizione tra questi mondi. Le luci scolpiscono lo spazio, con tagli netti e significativi che non solo isolano i personaggi nei momenti chiave, ma amplificano le loro solitudini interiori. L’alternanza tra luci fredde e calde accentua il contrasto tra la durezza e la freddezza degli invasori romani e la passione irruente dei druidi, creando un’atmosfera visivamente potente e drammaticamente incisiva. Andrea De Rosa, nella sua lettura, non si limita a far supportare il canto dalla recitazione, ma cerca una verità drammatica che dia vita ai personaggi, restituendo loro una tridimensionalità emozionale. La sua Norma non è solo un’eroina tragica, ma una donna in balia di un conflitto interiore devastante: il dovere verso la sua missione sacerdotale si scontra con l’impulso inarrestabile dell’amore, creando una tensione che non lascia respiro. La sua interpretazione non è solo quella di un personaggio eroico, ma quella di una donna lacerata da una scelta impossibile, dove ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio parlano di un dolore profondo e di una fatale inevitabilità. Il canto, pur rimanendo al centro della narrazione, si intreccia con la recitazione in una fusione che rende ogni frase musicale parte di una confessione intima. La direzione vocale è tesa e intensa, con i cantanti che non solo interpretano ma vivono il loro ruolo, dando corpo a una tragicità che travalica i confini dell’opera per farsi esperienza universale. La produzione si fa così portavoce di una riflessione sull’intensità del sacrificio umano e sull’irreparabilità delle scelte, mettendo in scena non solo la lotta di Norma e dei suoi compagni, ma anche una battaglia universale combattuta in ogni epoca tra il dovere e il desiderio, tra la forza delle circostanze e la fragilità dell’animo umano. Questo doppio binario emotivo, supportato dalla visione scenica che trascende il tempo e da una recitazione coinvolgente, lascia il pubblico con una sensazione di struggente verità, una riflessione sulla condizione umana che non si limita alla storia ma si estende alle esperienze quotidiane di ogni essere umano.

Dal punto di vista musicale, Michele Spotti guida l’Orchestra e il Coro del Maggio con una lettura attenta e stratificata, mettendo in risalto la straordinaria architettura sonora dell’opera. Una partitura scolpita con precisione, con tempi serrati che non lasciano spazio a indulgenze, ma anche con momenti di sospensione e tensione drammatica che amplificano il pathos della vicenda. La sua visione si distacca da una lettura puramente lirica, mettendo in luce la forza drammatica della partitura belliniana e l’intreccio continuo tra orchestra e canto. L’attenzione alla dinamica, il gioco sapiente tra legato e staccato e la scelta di mantenere intatti quasi tutti i recitativi conferiscono all’opera un respiro narrativo di rara intensità. Il direttore ha scelto una lettura vibrante, in cui la tensione drammatica e la trasparenza orchestrale si fondono in una narrazione musicale avvincente. La sua bacchetta ha saputo esaltare la fluidità della scrittura belliniana, mantenendo una coesione esemplare tra palcoscenico e buca. L’equilibrio fra il respiro ampio delle frasi melodiche e l’energia ritmica ha permesso di evidenziare le strutture interne della partitura, senza mai cadere in rigidità o in eccessi di pathos. L’elemento più riuscito di questo allestimento, a mio avviso, è la coerenza tra regia e direzione musicale; De Rosa e Spotti sembrano condividere la stessa idea di Norma: non solo un’opera monumentale del belcanto, ma un dramma umano di straordinaria modernità in cui amore, potere e tradimento si intrecciano in una spirale di passioni incontenibili. È una narrazione che emoziona e scuote, che non si accontenta di sedurre con la bellezza del canto, ma vuole far riflettere su cosa significhi oggi essere prigionieri di una società, di un amore, di un destino. Jessica Pratt ha affrontato per la prima volta il ruolo eponimo con un'intensità e una padronanza tecnica che hanno confermato il suo status di interprete d’eccezione nel repertorio belcantista, mostrando una rara eleganza vocale e spessore drammatico. Il suo approccio si colloca nella grande tradizione delle interpreti belcantiste con in più una cifra personale che evita ogni manierismo, scolpendo il personaggio con una musicalità raffinata e una gestione del fiato impeccabile, privilegiando la linea di canto e la purezza dell’emissione. Il suo timbro luminoso e l’abilità negli slanci virtuosistici hanno trovato la massima espressione nella celeberrima "Casta diva", eseguita con una purezza cristallina e una cantabilità quasi eterea; l’acuto sfolgorante e il controllo dei fiati hanno reso l’aria di sortita un momento di assoluta magia, accolta da un’ovazione incontenibile. Ma se la dimensione lirica era prevedibilmente impeccabile, è stata la sua capacità di introspezione drammatica a sorprendere: Norma è una figura complessa, una donna dilaniata tra il ruolo di sacerdotessa e la sua umanità più fragile. Il soprano australiano ha saputo tradurre questa dicotomia con intelligenza espressiva, cesellando i recitativi con accenti scolpiti e sfumature dinamiche sapientemente calibrate; il finale ha racchiuso tutta la potenza emotiva della serata: la sacerdotessa, ormai consapevole del proprio destino, ha trovato un’espressione di straziante bellezza, culminando in un "Deh! Non volerli vittime" che ha lasciato il pubblico senza fiato.


Una delle piacevoli scoperte di questa produzione è stata l'arte di Maria Laura Iacobellis, che ha saputo incarnare il ruolo di Adalgisa con una sensibilità raffinata e una tecnica vocale impeccabile. La scelta, già lungimirante, di affidare a due soprano i ruoli femminili - tenendo conto della voce della Pratt -, ha dato vita a una fusione armoniosa nei duetti, capace di esaltare il dramma attraverso un intreccio sonoro di rara profondità. La Iacobellis si distingue per una voce solida, che si piega con naturalezza alle esigenze della partitura, rivelando una maturità artistica straordinaria. Il suo fraseggio amabile, unito a un'intonazione sicura e a una delicatezza nell'interpretazione, le consente di trasmettere emozioni autentiche, rendendo ogni frase musicale particolarmente intensa. Nel finale del primo atto, ad esempio, la sua interpretazione non si risparmia, affrontando le invettive verso Pollione con potenza emotiva, per poi infondere al duetto "Mira o Norma" un’oasi di bellezza sonora, rapendo l’ascoltatore con una delicatezza che sfiora l’incredibile. Mert Süngü, nel ruolo di Pollione ha offerto una prestazione vocale di grande livello. La sua voce, calda e ricca, si distingue per un timbro avvolgente che, pur nella sua potenza, mantiene una straordinaria finezza. Tecnicamente ha un saldo controllo del respiro ed una buona proiezione con un’ottima distribuzione del suono tra il registro grave e quello acuto; affronta con sicumera le note più alte che sono eseguite con squillante naturalezza senza mai inficiare nella corposità del timbro. La voce poi riesce a modellarsi sulle diverse sfumature emotive del personaggio: nei momenti più drammatici esprime la lotta interiore del proconsole romano con grande intensità, alternando passaggi di forza a momenti più lirici e introspettivi. Questo contrasto, ben gestito, arricchisce l'interpretazione, dando un dinamismo che non si limita alla sola espressione vocale ma si riflette nella costruzione psicologica del personaggio. Il basso Riccardo Zanellato si conferma ancora una volta un artista di grande valore offrendo un Oroveso di rara profondità e raffinatezza. Il suo canto è impeccabile, caratterizzato da una limpidezza straordinaria che consente a ogni nota di risuonare con precisione, senza mai perdere in ricchezza timbrica. La sua voce potente e avvolgente riesce a emergere con naturalezza anche nei momenti più intensi dei concertati, dove la sua capacità di sovrastare il coro senza mai risultare prepotente è la testimonianza di una tecnica vocale di altissimo livello. Egli sa come governare la scena con una padronanza assoluta, riuscendo a trasmettere la forza e la dignità del suo personaggio con ogni movimento e ogni parola; ogni suo intervento è misurato, ricco di significato e sa come calarsi nel personaggio con naturalezza. Nella scena di entrata ha saputo esprimere tutta la “gravitas” del personaggio, ma è nel secondo atto che la sua interpretazione raggiunge vette straordinarie, quando la sua drammaticità si fa più intensa e la sua voce, forte e incisiva, si fonde perfettamente con l’interpretazione psicologica e la trama musicale. Elizaveta Shuvalova ha interpretato Clotilde con una voce interessante, caratterizzata da un timbro che ha attirato la mia attenzione seppur in un ruolo di fianco. Sarebbe interessante ascoltarla in una situazione più sviluppata dove potrebbe esprimere maggiormente il suo potenziale. Anche Yaozhou Hou, nel ruolo di Flavio, ha offerto una performance solida; la sua voce ha ben sostenuto la parte adattandosi adeguatamente al contesto senza mai risultare fuori posto.


Il coro come sempre, ottimamente istruito dal M° Lorenzo Fratini, ha corredato le scene d’insieme con grande professionalità. Pubblico in delirio per tutti con punte per Jessica Pratt sia in corso d’opera che alla fine. (La recensione si riferisce alla recita di domenica 16 marzo 2025)
Crediti fotografici: Michele Monasta per il Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze Nella miniatura in alto: Jessica Pratt (Norma) Sotto in sequenza: la Pratt con Maria Laura Iacobellis (Adalgisa) e Mert Süngü (Pollione); bella panoramica di Michele Monasta su costumi e allestimento con Riccardo Zanellato (Oroveso) in primo piano Al centro e in fondo, in sequenza: scena della "Casta Diva"; Yaozhou Hou (Flavio) con Mert Süngü; Riccardo Zanellato (di spalle) con Elizaveta Shuvalova (Clotilde) e Jessica Pratt
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Pubblicato il 21 Febbraio 2025
Il Maggio Musicale Fiorentino si affida al regista ex tenore che fa di tutto per scandalizzare il pubblico
L'orgiastico Rigoletto secondo Livermore
servizio di Nicola Barsanti
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FIRENZE - Il Rigoletto messo in scena da Davide Livermore al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino prende vita in un contesto scenico marcato da toni goliardici e, in alcuni momenti, quasi orgiastici. Al centro della scena, un letto monumentale diventa il fulcro attorno al quale si muove il Duca di Mantova, circondato da donne seminude che lo venerano, rafforzando l’idea di una corte decadente e viziosa. Questa scelta si dimostra particolarmente efficace nell’aria di sortita “Questa o quella per me pari sono”, dove la sfacciata indifferenza del Duca verso l’amore si manifesta visivamente nel suo sguardo di superiorità e possesso sulle donne che lo circondano. L’ingresso di Monterone, che avviene in modo teatrale dal corridoio centrale della platea, contribuisce a creare un forte impatto scenico. La sua maledizione, pronunciata in mezzo alla folla come un’invettiva contro l’orgia di potere e lussuria che domina la corte, trova una resa potente nella regia di Livermore. Il suo “Ah sì, a turbare sarò vostr’orgie” risuona come una condanna inevitabile, enfatizzata da un’illuminazione improvvisamente cupa e minacciosa. Se nel primo quadro del primo atto le scelte registiche rimangono in linea con il libretto, senza forzature eccessive, le problematiche emergono con forza nel secondo quadro. Gilda, invece di essere semplicemente protetta da Rigoletto, viene relegata in una lavanderia, costretta a lavorare incessantemente. La sua aria “Caro nome”, che nel libretto rappresenta un momento di abbandono ai sogni d’amore, qui viene cantata mentre la protagonista è intenta a sfilare lenzuola e ripiegare bucato, una scelta che distoglie dal carattere etereo e sognante del brano.
  

Ma l’incoerenza più evidente si manifesta nella scena del rapimento: nel libretto, Rigoletto è bendato e ingannato, mentre in questa messa in scena assiste inerme alla sottrazione della figlia, disperandosi senza però intervenire. Una scelta che non trova riscontro drammaturgico e che risulta poco credibile. Le incongruenze proseguono nei successivi atti fino a culminare nel finale, dove Rigoletto stringe tra le braccia quella che inizialmente appare come una bambola, ma che poi si rivela essere un mimo. Intanto, Gilda canta “Lassù in cielo presso a Dio” alle sue spalle, separata dal contatto diretto con il padre. Una trovata scenica che può suscitare interpretazioni diverse, ma che nel contesto generale risulta più estraniante che commovente. Il Duca di Mantova interpretato da Celso Albelo fatica a imporsi vocalmente. Se nel primo atto la sua interpretazione è almeno accettabile, dal secondo atto in poi la dizione si fa incerta e l’emissione nasale compromette la brillantezza del timbro, rendendo l’interpretazione poco incisiva. Di tutt’altro spessore è il Rigoletto di Daniel Luis Vicente, un baritono dalla presenza scenica solida e autorevole. La voce, potente e ben proiettata, si arricchisce di sfumature espressive capaci di trasmettere l’evoluzione emotiva del personaggio, dal sarcasmo iniziale alla disperazione finale. La sua interpretazione si rivela una delle più convincenti della serata. La Gilda di Olga Peretyatko appare vocalmente meno luminosa rispetto alle sue precedenti interpretazioni. L’emissione, un tempo brillante e sicura, sembra meno fresca, forse segno di un po’ di stanchezza. Ciononostante, riesce a portare a termine una recita dignitosa, con un fraseggio attento e musicalmente raffinato. Ottima prova per Alessio Cacciamani nei panni di Sparafucile: la sua voce profonda e avvolgente incarna perfettamente la freddezza e il cinismo del sicario. Non convince, invece, la Maddalena di Eleonora Filipponi, la cui emissione risulta troppo debole per emergere rispetto all’orchestra. La presenza scenica è buona, ma vocalmente la sua interpretazione si disperde senza lasciare il segno. Tra i comprimari, spicca il Conte di Monterone di Manuel Fuentes, il cui timbro caldo e autorevole conferisce al personaggio la solennità necessaria. Bene anche la Giovanna di Janetka Emilia Hosco, che delinea un personaggio credibile e ben inserito nell’azione. Marullo è interpretato da Yurii Strakhov, mentre Borsa trova una buona caratterizzazione grazie alla verve scenica di Daniele Falcone. Il Conte di Ceprano di Huigang Liu e la Contessa di Ceprano di Letizia Bertoldi completano la rappresentazione della corte, con un’interpretazione che, sebbene in ruoli minori, contribuisce a dare spessore all’ambiente corrotto del Duca. L’ Usciere di corte di Egidio Massimo Naccarato e il Paggio della duchessa di Aloisa De Nardis portano a termine il loro compito con precisione. Venendo all’aspetto musicale l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, guidata dal maestro Stefano Ranzani, offre una lettura attenta della partitura verdiana. La direzione mette in evidenza alcuni passaggi musicali chiave, in particolare quelli che sottolineano il tema della maledizione, filo conduttore dell’opera. Tuttavia, in più di un’occasione si avvertono squilibri tra buca e palco, con momenti in cui l’insieme manca di coesione. Ma nonostante qualche disallineamento, l’interpretazione complessiva è di buon livello. Ottima la prova del coro del Maggio, preparato dal maestro Lorenzo Fratini, che si dimostra compatto e incisivo, specialmente nelle scene di insieme. La serata si conclude tra applausi calorosi, segno di un pubblico comunque soddisfatto, nonostante alcune scelte registiche abbiano diviso gli spettatori. Se da un lato l’impianto visivo e narrativo di Livermore offre spunti interessanti, dall’altro alcune forzature risultano difficili da accettare per chi conosce e ama il capolavoro verdiano. Resta il merito di un’operazione scenica che, nel bene e nel male, ha il coraggio di proporre una lettura personale e provocatoria. (La recensione si riferisce alla recita di giovedì 20 febbraio 2025)
Crediti fotografici: Michele Monasta per il Maggio Musicale Fiorentino - Teatro dell'Opera di Firenze Nella miniatura in alto: il baritono Daniel Luis Vicente (Rigoletto) Sotto in sequenza: scene con Celso Albelo (Duca di Mantova), Olga Peretyatko (Gilda), Eleonora Filipponi (Maddalena) e ancora Daniel Luis Vicente
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Pubblicato il 18 Gennaio 2025
Una bella regia di Andrea Cigni inscena l'opera di Umberto Giordano nella sua precisa epoca
Chénier un poeta al tempo del Terrore
servizio di Simone Tomei
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LUCCA - Al Teatro del Giglio "Giacomo Puccini" è andato in scena il capolavoro di Umberto Giordano Andrea Chénier un dramma che intreccia amore, ideali e morte. Ambientata nella Parigi rivoluzionaria tra il 1789 e gli anni del Terrore, l’opera racconta la struggente storia d’amore tra Maddalena di Coigny, una giovane aristocratica caduta in disgrazia, e Andrea Chénier, poeta idealista travolto dagli eventi storici. La vicenda si apre con un contrasto vibrante: durante un ballo nella dimora dei Coigny, il cameriere Gérard, stanco delle ingiustizie sociali, guida una sommossa di diseredati che interrompe la festa. È il preludio di un crescendo drammatico che culminerà anni dopo, quando il Terrore del periodo storico di Robespierre segna il destino dei protagonisti. Maddalena, ridotta in miseria dopo aver perso tutto, si rifugia da Chénier, che nel frattempo è divenuto un bersaglio dei giacobini della Rivoluzione. Gérard, ora luogotenente di Robespierre e segretamente innamorato di Maddalena, si trova combattuto tra il desiderio di vendetta e il rimorso: nonostante i suoi tentativi tardivi di salvare Chénier, condannato a morte dal tribunale rivoluzuionario, l’inesorabile macchina del Terrore manda il poeta alla ghigliottina. Nel commovente epilogo, Maddalena sceglie di condividere il destino dell’amato, sacrificandosi per morire al suo fianco. La nuova messa in scena firmata dal regista Andrea Cigni, si presenta come un viaggio emozionante tra storia e simbolismo, capace di unire rigore filologico e profonda intensità emotiva. Cigni disegna una lettura coinvolgente, restituendo con autenticità il contesto della rivoluzione francese e, al tempo stesso, approfondendo le complessità interiori dei protagonisti.


Queste le sue parole: «Nel lavoro di regia su Andrea Chénier ho cercato di far dialogare la dimensione sociale con quella intima, dando vita ai personaggi con profondità e realismo. Il contrasto tra le classi sociali, sconvolte dalla Rivoluzione Francese, è centrale, ma viene vissuto attraverso le emozioni e i conflitti personali dei protagonisti. La scenografia assume un ruolo chiave nel raccontare questa evoluzione: inizialmente, si presenta con un’immagine quasi oleografica e idealizzata del mondo aristocratico, dove il lusso e l’eleganza suggeriscono un’illusione di stabilità e ordine, dove i vizi della nobiltà e l’insipienza dei nobili vengono caricati quasi all’eccesso. Tuttavia, sotto la superficie, si avverte il fermento del cambiamento. Con l’ingresso del popolo e l’avanzare della rivoluzione, l’estetica si fa via via più cruda e realistica, riflettendo la violenza e il caos del collasso del vecchio regime. Questo progressivo disfacimento visivo accompagna l’intensificarsi della storia d’amore tra Chénier e Maddalena, che si sviluppa in parallelo al crollo delle vecchie strutture sociali.» Sin dalle prime battute, lo spettatore viene immerso in una Parigi arcaica, ricca e opulenta, ma già carica di tensioni e fermento. Le scenografie curate da Dario Gessati dipingono con minuzia la città, mentre i costumi di Chicca Ruocco, un raffinato equilibrio tra l’eleganza dell’Ancien Régime e le stravaganze degli Incredibili e delle Meravigliose, enfatizzano il contrasto tra un’aristocrazia in declino e il tumulto delle nuove ideologie rivoluzionarie. Questo accurato impianto visivo non si limita a una semplice adesione storica, ma diventa il mezzo attraverso cui la regia esplora il tema centrale dell’opera: il conflitto tra le spinte politiche collettive e le aspirazioni personali dei protagonisti. Il respiro corale dello spettacolo trova il suo apice nelle scene di insieme, animate dalle coreografie di Isa Traversi tra le quali merita ricordare il “passo a due” del primo atto, rappresentante una storia d’amore tra un fauno e una ninfa tanto delicato quanto sfrontato, denso di eros e ghiaccio ardente; esso si sviluppa partendo da un’accensione guardinga, poi la gioia luminosa, l’abbandono totale e infine l’addio raggelato nel timido eterno. I movimenti dei quadri centrali, orchestrati con precisione e dinamismo, restituiscono la vitalità e le contraddizioni di una comunità in tumulto, arricchendo la narrazione di sfumature e profondità.


Sono momenti in cui la regia riesce a intrecciare le dimensioni collettive e intime della storia, offrendo una rappresentazione che pulsa di umanità. Nella parte conclusiva, la realtà tangibile del realismo si trasforma in una sfera più simbolica e evocativa. La prigione, ridotta a una grata attraverso cui filtra una luce dall’alto, diventa un potente simbolo di oppressione e speranza, un’immagine che prepara lo spettatore al drammatico epilogo. Questo passaggio stilistico amplifica l’impatto emotivo del finale, trasformando il sacrificio dei protagonisti in un momento di pura catarsi. Le luci, firmate da Fiammetta Baldisseri e Oscar Frosio, giocano un ruolo cruciale nel creare un’atmosfera sospesa e densa di significato. Il M° Francesco Pasqualetti si impegna al massimo nel dirigere l’Orchestra Filarmonia Veneta, ma il risultato complessivo lascia a desiderare. L’esecuzione si caratterizza per un suono spesso “sporco” e insicuro, con numerose imprecisioni soprattutto negli ottoni e nei legni. Le dinamiche appaiono limitate, forse nel tentativo di nascondere una scarsa padronanza della partitura da parte dei professori d’orchestra. Il volume dell’esecuzione è costantemente roboante, talvolta sgraziato e i tempi scelti (o subiti) dal direttore risultano generalmente lenti, arrivando a stancare gli interpreti. Il secondo atto, in particolare, si trasforma in un momento troppo dilatato che toglie leggerezza e intensità a passaggi come Ora soave, sublime ora d’amore, privandoli del loro naturale incanto. Nonostante i tentativi eroici del Pasqualetti di ricomporre l’insieme con gesto preciso e trascinante, il risultato finale non riesce a risollevare le sorti dell’esecuzione, lasciando una generale impressione di irrisolutezza. Nel ruolo del titolo il tenore Samuele Simoncini offre un’interpretazione schietta e passionale, dominata da un canto sempre centrato e da una vocalità estesa e potente; il suo Andrea Chénier gode di un’ampia linea melodica ed eroicità che sovrasta gli accenti sentimentali. Nel ruolo di Maddalena di Coigny, Maria Teresa Leva si distingue per una vocalità ricca e sfaccettata, con un timbro caldo e avvolgente che presenta una tessitura morbida e bronzea. Il soprano brilla particolarmente nel registro acuto, dove la sua voce si eleva con luminosità e grande sicurezza. Tra le caratteristiche più evidenti della sua interpretazione, spiccano le mezzevoci cristalline e un fraseggio delicato e ricco di sfumature, che conferiscono alle frasi un’intensità unica, rivelando la capacità dell’artista di esprimere con forza evocativa ogni aspetto del personaggio. La sua evoluzione si dispiega con maestria nel corso dell’opera: inizialmente vivace e spensierata, la sua figura diventa progressivamente più intensa e drammatica, arricchendosi di nuove sfumature emotive. La famosa aria "La mamma morta" emerge come uno dei momenti più potenti della serata, interpretata con passione e raffinato equilibrio, ha restituito al pubblico un'emozione profonda. Angelo Veccia offre un ritratto incisivo di Carlo Gérard, tratteggiando con maestria ogni sfumatura del complesso carattere del personaggio. La sua interpretazione, impeccabile sia sul piano attoriale che vocale, mette in luce una padronanza scenica naturale e un'emissione vocale sicura e vigorosa. Fin dalla romanza d’esordio, si impone per solidità e intensità espressiva, dando vita a un patriota credibile e appassionato. Il monologo "Nemico della patria" diventa poi il fulcro del suo percorso interpretativo: attraverso un fraseggio articolato e una voce dotata di grande robustezza, il baritono riesce a trasmettere con forza il tormento interiore del personaggio, sospeso tra collera, ideali e una struggente umanità, che culminano infine in un sentimento di perdono e misericordia. Alessandra Palomba risulta alquanto insufficiente sia nel ruolo della Contessa di Coigny che in quello della commovente Madelon, mostrando un vibrato troppo incontrollato. Il mezzosoprano Shay Bloch interpreta una Bersi affascinante con voce elegante e timbro caldo. Fernando Cisneros, nel doppio ruolo di Fléville e Mathieu, si distingue per un’interpretazione ben centrata e vivace, arricchita da una vocalità spavalda e cristallina che esprime appieno la complessità del suo personaggio. Marco Miglietta, dà vita a L’ Abate e a Un Incredibile vivaci e intriganti, usando uno strumento vocale sempre a fuoco, luminoso che ben si adatta alle diverse sfumature dei due ruoli. Alessandro Abis è solido e preciso nel ruolo di Roucher, conferendo al personaggio un timbro sonoro, ironico e controllato. Gianluca Lentini, nei panni di Fouquier Tinville e Schmidt, si dimostra preciso e puntuale, mentre Giorgio Marcello, nel ruolo del Maestro di Casa e Dumas, si fa apprezzare per la sua correttezza e affidabilità. Il Coro Arché preparato e diretto dal M° Marco Bargagna, regala una prestazione impeccabile e variegata, capace di passare con facilità dalla grazia e delicatezza del primo quadro a una potenza e incisività notevoli nelle scene successive. Teatro poco affollato, ma caloroso con tutti gli artisti. (La recensione si riferisce alla recita del 17 gennaio 2025)
Crediti fotografici by Kiwi per il Teatro del Giglio "Giacomo Puccini" di Lucca Nella miniatura in alto: il regista Andrea Cigni Sotto, in sequenza, scene dell' Andrea Chénier andato in scena a Lucca
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L'elisir col bis della lagrima
intervento di Athos Tromboni FREE
ROVIGO - La provincia, si dice, potrebbe salvare il mondo dell'Opera. E riproporre il ritorno ad una teatralizzazione del genere fuori da psicodrammi inventati e fughe oniristiche dentro la provocazione, ridonando alla drammaturgia di un genere da museo (l'Opera, appunto, genere da museo ma vivente e vivace) la propria incontestabile significanza. La provincia, si dice, rappresenta la stragrande maggioranza del popolo dei melomani - chi considerasse dispregiativo questo sostantivo (melomani), oppure termine offensivo, o anche attributo di una categoria di "care salme" invaghite di acuti svettanti oltre il do di petto, è preda di sussieghi irritanti - e per questa verità statistica si può dire che la provincia è il campione rappresentativo dell'universo: se ciò è vero (ed è vero), il Teatro Sociale di Rovigo o il Luglio Musicale Trapanese, così come il Teatro Sociale di Como o il Teatro Pergolesi di Jesi, e tanti altri piccoli teatri, analizzati nella reazione del pubblico ad un allestimento operistico, valgono quanto i grandi templi della lirica italiani e stranieri
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Nuove Musiche
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Conti Cavuoto Santini il trio
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Ferrara Musica al Ridotto è una rassegna "parallela" e si affianca alla programmazione maggiore di quella Ferrara Musica fondata da Claudio Abbado nel 1989. La rassegna maggiore ha il pregio di proporre i grandi interpreti (solisti, direttori, orchestre) in un cartellone che mira alto; la rassegna "parallela" si assume invece il compito di valorizzare
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Ferrara e Vivaldi connubio in musica
redatto da Edoardo Farina FREE
È il quarto anno consecutivo che il maestro Federico Maria Sardelli è presente nel cartellone musicale del Teatro Comunale "Claudio Abbado" di Ferrara. Questa volta ha proposto al pubblico estense una Serenata a tre che è praticamente una pagina dimenticata del catalogo del "Prete Rosso". Sardelli è direttore d'orchestra, compositore,
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Serenata d'amore torna a cantare
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - La prima esecuzione assoluta in tempi moderni di una pagina musicale molto bella di Antonio Vivaldi, la Serenata a tre RV 690, ha richiamato nel Teatro Comunale "Claudio Abbado" un buon numero di spettatori ed estimatori della musica del "prete rosso", tanto da registrare praticamente il tutto esaurito. Ancora una volta il majeuta è
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Il ritorno dei Cardelli
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FERRARA - Il ritorno dei Cardelli. Sembra quasi il titolo di una saga, e tale parrebbe se si considerasse la regolarità con cui da un paio di lustri i recital solististici di Matteo (pianoforte) o di Giacomo (violoncello), nonché i concerti in Duo, fanno registrare una loro presenza nelle rassegne cameristiche di Ferrara. Stavolta, per gli appuntamenti dei
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FERRARA - Continua la ricca programmazione del Teatro Comunale “Claudio Abbado” luogo simbolo della tradizione culturale locale, nell’ambito della Stagione Opera & Danza 2024-2025 con in scena il decimo appuntamento dei quattordici previsti, Lo Specchio di Dioniso - Risonanze polifoniche erranti venerdì 21 marzo 2025 (replicatosi nella serata successiva)
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Elektra nella Repubblica di Weimar
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VERONA – Nei fermenti intellettuali dei primi anni del Novecento, quando le teorie di Sigmund Freud e gli studi sull'isteria e sull'inconscio scuotevano le fondamenta del pensiero occidentale, il mito degli Atridi subì una profonda umanizzazione; il letterato e poeta Hugo von Hofmannsthal, reinterpretando la leggenda mitologica in chiave
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Norma da manuale
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Chansons e Canzonette un viaggio raffinato
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GENOVA - La domenica mattina può trasformarsi in un’oasi di rigenerazione, un momento in cui ricaricare le energie prima di affrontare una nuova settimana. Così è stato domenica 9 marzo 2025, quando il Primo Foyer del Teatro Carlo Felice di Genova ha accolto il pubblico per un raffinato appuntamento di musica da camera dal titolo
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FERRARA - Se a un gruppo di ottime musiciste si unisce una straordinaria violinista, il gioco è fatto: Jordi Savall, il direttore filologo specialista nella musica antica, non lesina mai sorprese (ogni volta che l'abbiamo ascoltato a Ferrara e in altri teatri o festival d'altre città, è sempre stato... sorprendente) anche stavolta non ha mancato di stupire:
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Bologna Festival programmi divulgativi
servizio di Athos Tromboni FREE
BOLOGNA - Presentato oggi nelle sale più bohèmienne che rustiche della Birreria Popolare della città felsinea il programma divulgativo di Bologna Festival, titolare anche del prestigioso calendario che va sotto il nome «Libera la musica» (i concerti di questa sezione del Festival fanno perno sulla presenza di "Grandi interpreti" che per il 2025 vedranno
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Opera dal Nord-Est
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Vecchio Barbiere sempre nuovo
servizio di Nicola Barsanti FREE
VENEZIA - Tornare al Teatro La Fenice per assistere a Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini in un’atmosfera gioiosa come solo il Carnevale di Venezia sa offrire, è un’emozione unica. Il pubblico, avvolto dalla magia della festa, accoglie con entusiasmo questa produzione che si conferma ancora una volta un successo. La regia tradizionale di
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Opera dal Centro-Nord
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L'orgiastico Rigoletto secondo Livermore
servizio di Nicola Barsanti FREE
FIRENZE - Il Rigoletto messo in scena da Davide Livermore al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino prende vita in un contesto scenico marcato da toni goliardici e, in alcuni momenti, quasi orgiastici. Al centro della scena, un letto monumentale diventa il fulcro attorno al quale si muove il Duca di Mantova, circondato da donne seminude che lo venerano,
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Opera dal Nord-Ovest
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Uno Chénier dalla travolgente energia
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA - Uno spettacolo che coniuga eleganza e incisività visiva, nitidezza narrativa e varietà stilistica: Andrea Chénier di Umberto Giordano al Teatro Carlo Felice si conferma un trionfo senza riserve. La regia di Pier Francesco Maestrini, già apprezzata nei prestigiosi allestimenti di Bologna e Monte-Carlo, si distingue per la sua fedeltà alla
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Ballo and Bello
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Giselle comme ci comme įa
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il Russian Classical Ballet diretto da Evgeniya Bespalova ha recentemente portato in Italia Giselle, uno dei capolavori più amati del repertorio romantico: le diverse città italiane toccate prima di Ferrara sono state Lecce, Catanzaro e Avezzano. Si tratta di un balletto in due atti, con musiche di Adolphe-Charles Adam (e Ludwig Minkus,
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Opera dal Nord-Ovest
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La Moreno grande Traviata
servizio di Simone Tomei FREE
GENOVA - Continua a riscuotere un grande successo di pubblico la stagione operistica del Teatro Carlo Felice con il quarto titolo in cartellone che rappresenta uno dei capolavori assoluti del repertorio lirico, nonché l’opera più rappresentata al mondo: La Traviata di Giuseppe Verdi. Inserire Traviata in stagione si è rivelata una
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Opera dal Nord-Est
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Ratto un po' in tedesco un po' in italiano
servizio di Rossana Poletti FREE
TRIESTE - Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. Ci sono innumerevoli questioni storiche ne Il Ratto del Serraglio (Die Entführung aus dem Serail) di Wolfgang Amadeus Mozart, in scena al Teatro Verdi di Trieste. C’è la questione del Turco. Soggetto di moda al tempo, perché la paura che fino a qualche tempo prima le invasioni ottomane avevano ingenerato
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Opera dal Centro-Nord
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Chénier un poeta al tempo del Terrore
servizio di Simone Tomei FREE
LUCCA - Al Teatro del Giglio "Giacomo Puccini" è andato in scena il capolavoro di Umberto Giordano Andrea Chénier un dramma che intreccia amore, ideali e morte. Ambientata nella Parigi rivoluzionaria tra il 1789 e gli anni del Terrore, l’opera racconta la struggente storia d’amore tra Maddalena di Coigny, una giovane aristocratica caduta in disgrazia
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Classica
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Saccon Genot Slavėk una meraviglia
servizio di Athos Tromboni FREE
FERRARA - Il Comitato per i Grandi Maestri fondato e guidato dal prof. Gianluca La Villa ha ripreso l'attività concertistica dopo alcuni mesi di pausa: saranno quattro gli appuntamenti fissati per la corrente stagione, il primo dei quali si è svolto ieri, 10 gennaio, nella sede che ospiterà anche gli altri appuntamenti: era la sala nobile del Circolo dei
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Eventi
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Apre Puccini chiude Rossini
redatto da Athos Tromboni FREE
BOLOGNA - Come anticipato nella conferenza stampa di “anteprima” dal sovrintendete Fulvio Macciardi nel luglio dello scorso anno, la Stagione d’Opera 2025 del Teatro Comunale di Bologna proporrà 8 opere in scena e 2 opere in forma di concerto. Le recite si terranno anche per questa stagione al Comunale Nouveau in Piazza della Costituzione 4
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